Mediche e studiose finora poco conosciute, a esclusione di Trotula: Federica Garofalo ha scritto “Mulieres Salernitane” per narrare le loro vita.
Di Antonella Festa
Spesso la risposta inattesa ad una domanda lanciata in un istante apre percorsi di ricerca appassionata che durano anni. Così è successo a Federica Garofalo quando, studentessa universitaria di filosofia medievale, alla domanda quale era il posto delle donne in filosofia durante il Medioevo? Inaspettatamente si è sentita rispondere che mai, prima del Medioevo, le donne hanno avuto tanto spazio in filosofia. Inciampare nei nomi di Dhouda e Rosvita, oltre a quello ben più noto di Ildegarda, ha fatto sì che Federica Garofalo iniziasse una lunga e appassionata ricerca, divulgata attraverso il blog “Il palazzo di Sichelgaita” da lei curato e infine culminata nel 2020 con la pubblicazione di “Mulieres Salernitanae, storie di donne e di cura”.
Un lavoro originale tanto per i contenuti quanto per la forma: protagoniste sono sei mediche – e sottolineiamo che medica è termine attestato nelle lingue romanze – operanti intorno alla famosa Scuola medica Salernitana tra l’XI e il XV secolo. Fatta eccezione per Trotta o Trotula di Guglielmo de Ruggiero, al cui nome è associato un corpus di opere che la tradizione ci ha consegnato, delle altre, ovvero Rebecca Guarna, Sabella Castellomata, Mercuriade, Venturella Consinata, Costanza Calenda possediamo scarne informazioni che ci provengono da eruditi napoletani e salernitani del Cinque-Seicento e dell’Ottocento. L’autrice utilizza fonti d’archivio e le arricchisce di una sicura conoscenza della storia, della filosofia, della medicina, ma anche delle condizioni materiali di vita per immaginare una serie di dialoghi tra ciascuna delle mediche e personaggi del calibro di Costanza di Sicilia e Tommaso d’Aquino.
Ne risulta una lettura del Medioevo ricca, composita, ma soprattutto lontana dalle immagini fuorvianti associate alla barbarie, all’oscurantismo e alla miseria, anche culturale, confezionate a partire dall’Umanesimo. Emblematico è il racconto “I due volti di Febo”, in cui la medica Sabella Castellomata dialoga con la trovatrice provenzale Garsenda, con cui Garofalo apre uno squarcio sull’esistenza delle trovatrici che, pur numerose, non hanno ancora trovato posto nei manuali di storia della letteratura.
Le Mulieres Salernitanae discutono di letteratura e filosofia, suonano la tamorra, concepiscono la cura non solo come guarigione, ma nell’accezione più ampia possibile del termine. Che si tratti di propiziare una gravidanza, di accompagnare un bagno, di preparare ad una cerimonia, le Mulieres appaiono straordinariamente consapevoli del fatto che la salute non è soltanto assenza di malattia e che la capacità di cura necessita di un bagaglio di conoscenze molto più ampio di una mera competenza tecnica. Attraverso un’operazione narrativa, Federica Garofalo ci restituisce così un’immagine del Medioevo anni luce lontana dai “secoli bui” inventati dall’Illuminismo e ci invita, proprio come è accaduto a lei, a gettare lo sguardo e il cuore oltre le stereotipie purtroppo ancora oggi ripetute e consolidate da troppi manuali e libri di testo.
Federica Garofalo, Mulieres Salernitanae, storie di donne e di cura, Robin edizioni 2020.
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Antonella Festa
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