Filosofe nel medioevo

Antonella Festa, 15 marzo 2021

Mediche e studiose finora poco conosciute, a esclusione di Trotula: Federica Garofalo ha scritto “Mulieres Salernitane” per narrare le loro vita.

Di Antonella Festa

Spesso la risposta inattesa ad una domanda lanciata in un istante apre percorsi di ricerca appassionata che durano anni. Così è successo a Federica Garofalo quando, studentessa universitaria di filosofia medievale, alla domanda quale era il posto delle donne in filosofia durante il Medioevo? Inaspettatamente si è sentita rispondere che mai, prima del Medioevo, le donne hanno avuto tanto spazio in filosofia. Inciampare nei nomi di Dhouda e Rosvita, oltre a quello ben più noto di Ildegarda, ha fatto sì che Federica Garofalo iniziasse una lunga e appassionata ricerca, divulgata attraverso il blog “Il palazzo di Sichelgaita” da lei curato e infine culminata nel 2020 con la pubblicazione di “Mulieres Salernitanae, storie di donne e di cura”.

Un lavoro originale tanto per i contenuti quanto per la forma: protagoniste sono sei mediche – e sottolineiamo che medica è termine attestato nelle lingue romanze – operanti intorno alla famosa Scuola medica Salernitana tra l’XI e il XV secolo. Fatta eccezione per Trotta o Trotula di Guglielmo de Ruggiero, al cui nome è associato un corpus di opere che la tradizione ci ha consegnato, delle altre, ovvero Rebecca Guarna, Sabella Castellomata, Mercuriade, Venturella Consinata, Costanza Calenda possediamo scarne informazioni che ci provengono da eruditi napoletani e salernitani del Cinque-Seicento e dell’Ottocento. L’autrice utilizza fonti d’archivio e le arricchisce di una sicura conoscenza della storia, della filosofia, della medicina, ma anche delle condizioni materiali di vita per immaginare una serie di dialoghi tra ciascuna delle mediche e personaggi del calibro di Costanza di Sicilia e Tommaso d’Aquino.

Ne risulta una lettura del Medioevo ricca, composita, ma soprattutto lontana dalle immagini fuorvianti associate alla barbarie, all’oscurantismo e alla miseria, anche culturale, confezionate a partire dall’Umanesimo. Emblematico è il racconto “I due volti di Febo”, in cui la medica Sabella Castellomata dialoga con la trovatrice provenzale Garsenda, con cui Garofalo apre uno squarcio sull’esistenza delle trovatrici che, pur numerose, non hanno ancora trovato posto nei manuali di storia della letteratura.

Le Mulieres Salernitanae discutono di letteratura e filosofia, suonano la tamorra, concepiscono la cura non solo come guarigione, ma nell’accezione più ampia possibile del termine. Che si tratti di propiziare una gravidanza, di accompagnare un bagno, di preparare ad una cerimonia, le Mulieres appaiono straordinariamente consapevoli del fatto che la salute non è soltanto assenza di malattia e che la capacità di cura necessita di un bagaglio di conoscenze molto più ampio di una mera competenza tecnica. Attraverso un’operazione narrativa, Federica Garofalo ci restituisce così un’immagine del Medioevo anni luce lontana dai “secoli bui” inventati dall’Illuminismo  e ci invita, proprio come è accaduto a lei,  a gettare lo sguardo e il cuore oltre le stereotipie purtroppo ancora oggi ripetute e consolidate da troppi manuali e libri di testo.

Federica Garofalo, Mulieres Salernitanae, storie di donne e di cura, Robin edizioni 2020.

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Antonella Festa

Docente di materie letterarie e blogger. Nel 2010 è docente di italiano nel carcere di massima sicurezza di Spoleto e racconta l’esperienza, scolastica ed umana, nei suoi Appunti di una precaria dal supercarcere, che vincono il concorso letterario Lune di primavera, organizzato dal Comitato internazionale 8 marzo di Perugia. Dalla narrativa, si concentra sulla critica femminista, traducendo articoli di Paul Beatriz Preciado, Brigitte Vasallo, Christine Delphine e scrivendo per blog e testate indipendenti come Femminismo a sud, Abbatto i muri, Incroci De-generi, Carmilla online. Dopo un lungo periodo di nomadismo e precarietà, lavorativa ed esistenziale, oggi è docente di ruolo presso il Liceo classico Vittorio Emanuele II di Lanciano (Ch), dove ha curato il progetto “Un altro genere di poesia”, da cui è nato il saggio Né d’altri son che mia, Carabba 2017, scritto insieme alle sue alunne e ai suoi alunni.

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