Ecco la prima delle autrici che LM consiglia come regalo delle prossime feste. Partiamo con Emilia Bersabea Cirillo che racconta di un’area industriale abbandonata e contaminata in una città indifferente. Tanti personaggi: le signore borghesi, un parroco, un ex sindacalista e Beatrice, fuggita tanti anni prima piena di sensi di colpa. Editrici Le plurali che pubblicano solo testi di donne
Di Nadia Tarantini
Beatrice vive un’inquietudine che la isola dal mondo. Mantiene il segreto di una figlia che ha abbandonato perché si sente incapace di affrontarne i gravi problemi di sviluppo. Matilde e Ausilia vivono un dolore che sanno esprimere soltanto con un gesto di rivolta, aspro e forte: vanno a rifugiarsi in una fabbrica abbandonata e pericolosa, s’imbarboniscono alla ricerca di una verità nascosta, che vogliono rivelare al mondo. Attorno alla sofferenza personale di tre donne, lontane e in apparenza inavvicinabili le altre all’una, Emilia Bersabea Cirillo intreccia un dramma collettivo in una città indifferente, intenzionata ad ignorare per sempre i gravi rischi che hanno corso e continuano a correre l’aria e la terra. Accompagnano le tre protagoniste due ambienti che si oppongono a distanza, e che si trovano a condividere momenti cruciali del racconto. Un gruppo di donne “di beneficenza”, in realtà frivole e indifferenti come la città; e una comunità già operaia, guidata da un prete e da un ex sindacalista che non ci pensano ad arrendersi al meno peggio.
L’abilità della scrittrice, radicata ad Avellino e in Irpinia anche in questo romanzo illuminato, è di rappresentare e intrecciare una doppia alchimia, entrambe ruotano intorno alla figura di Beatrice: quella che la donna genera nell’ambiente, ciò che invece l’ambiente le restituisce come ricchezza inaspettata.
Azzurro Amianto, nel continuo tessere il mondo-di-dentro e il mondo-di-fuori delle protagoniste e dei protagonisti, ci rivela continuamente che non si può dare pace nel mondo esterno se non si trova pace in se stesse/i: e viceversa. L’amianto, seppellito e nascosto agli occhi e alle coscienze, è il simbolo di ciò che facciamo alla Terra e alle nostre vite personali. Ingannevoli brillii di azzurro/argento, luminose illusioni che si spengono dentro la morchia scura degli interessi.
Come simbolico è il vento – unica concessione alla fantasia in un romanzo fortemente realistico – che si alza impetuoso verso la fine del libro; e che invece di spazzar via la sporcizia e purificare il mondo (e la città indifferente), alza ogni tipo di immondizie, serra le case come in una prigione e suscita fantasmi nei cuori impuri ed ammalati. «Una bufera di libeccio si impossessò della città. L’intensità della forza dell’aria, a memoria umana mai verificatasi in quella valle stretta e incassata fra i monti, restò costante per due giorni e una notte. L’anemometro del dottor D’Avanzo si spezzò e volò, chissà dove. Il dottore si salvò per miracolo, perché non riuscì per la seconda volta ad andar fuori di casa, altrimenti sarebbe volato anche lui, magro e piccolino com’era». Il vento arriva a 140 km orari, il tornado scoperchia tetti e manda all’aria ogni cosa.
Temi anche nuovi, inediti, per una scrittrice che ci ha deliziato con i suoi racconti d’intimità negate e ferite, di assurdità del quotidiano e di terre arse con ricchezze inesplorate – sono circondati da atmosfere che le sono più che mai congeniali. I fili e i nodi che sorreggono e inciarmano le vite, il presente che non può alimentarsi solo dell’oggi o del futuro, ma deve tenere i piedi ben piantati, a sfiorare e ricordare le radici del passato. È certamente con l’incontro delle dissestate, “matte”, Ausilia e Matilde, che Beatrice capisce di avere in sé la forza per pensare in modo differente alla sua vita con la figlia. Ma è il ricordo delle fragilità della madre, radici e simbolo delle sue paure, che le si presenta a fotogrammi, come in un film, a permetterle di autorizzarsi ad avvicinare la figlia in un modo nuovo (Emilia Bersabea Cirillo, oltre che di letture raffinate, è esperta e amante di cinema).
Beatrice lo fa coi gesti e non con le parole – come dovette fare con la madre, fuggita e persa. «Un pomeriggio d’estate in cui sua madre sembrava svanita nel nulla, Beatrice la trovò addormentata in mezzo alle pietre delle mura, in un fosso morbido di muschio. Aveva una scarpa squarciata e senza tacco. Beatrice vide i piedi di sua madre nudi, l’alluce torto sull’indice e un durone sul mignolino. Non erano piedi aristocratici, piuttosto plebei, larghi e tozzi, sporchi e con i talloni spaccati. Anche sua madre era una donna fatta di carne, veniva dalla terra e dall’acqua, il suo corpo era corruttibile, le sue dita deformabili, questo pensò delusa Beatrice, che aveva allora sedici anni e la certezza di essere speciale. (…) Sedette sul muschio, accanto alla madre, le prese il piede nudo, in mano, lo massaggiò delicatamente, freddo e sporco com’era». Simbolo del tema della cura che percorre tutto il romanzo.
Un’amica mi ha detto di non ritrovare del tutto, in Azzurro Amianto, la scrittura di Emilia Bersabea Cirillo: e certo, le ho risposto, ci vuole coraggio ad abbandonare i luoghi fantasiosi di donne con le ali o fuori misura, delle giovani in calzini che non smettono di avere freddo, la poesia del pane e l’argilla – per avventurarsi nel crudo mondo degli affaristi senza scrupoli; di una clinica impenetrabile ad una madre; di miseria cui si pone rimedio a rischio della propria vita. Eppure lei lo fa con la medesima gentilezza di parola, con la pacatezza del tratto che non è mai compiacenza, anzi, si potrebbe dire, “te lo scrivo senza alzare la voce, così ti penetra meglio nel cervello”. E te le dice chiare: «La loro era una famiglia specializzata in discorsi banali, che manteneva la conversazione a livello di pasticcini e aria fritta, anziché farsi domande su ciò che fa un po’ male».
Ps. Con lo stesso coraggio, con il suo pedigree da gatta persiana, si è buttata all’avventura con una casa editrice nuovissima, appena un anno di età, che su Letterate Magazine avete già sentito nominare, Le plurali di Beatrice Gnassi, Hanna Suni, Clara Stella e Valentina Torrini. Quattro collane come quattro sono le fondatrici del marchio.: Le Radici, dove per prima è stata pubblicata Charlotte Perkins Gilman con il suo Muoviamo le montagne; Le Sagge, dove si riflette sul mondo; Le Cantastorie, il cui nome si spiega da sé, ultimo acquisto Suite per Irène di Federica Lauto; e infine Le Bussole, guide alla vita di piccolo formato, come Ben venga il piacere.
Emilia Bersabea Cirillo ha pubblicato Azzurro Amianto in Cantastorie. Le quattro editrici, specializzate una per una in grafica, traduzione, editing, ufficio stampa, prima leggono tutte insieme e poi, sempre tutte insieme, decidono le pubblicazioni dai quattro angoli d’Italia e non solo, in un confronto a distanza che le nuove tecnologie permettono. Con sito e social molto attivi – e report periodici e settimanali su donne artiste e scrittrici che conta conoscere. Uniche e plurali, come dice il loro slogan. le Plurali pubblicano soltanto autrici.
Emilia Bersabea Cirillo, “Azzurro Amianto”, Le plurali editrice, 2022
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Nadia Tarantini
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