Nel giugno 1979 andai a Mondovì a casa di Lidia Beccaria Rolfi, inviata dal settimanale “Noi donne” per guardare con lei in televisione il film americano “Olocausto”, che per la prima volta portò nelle case di milioni di persone le atrocità dei Lager nazisti. Lidia, staffetta partigiana, era stata deportata a Ravensbrück come politica. L’anno prima aveva descritto, insieme alla storica Anna Maria Bruzzone, i mesi di prigionia nel Lager: era un libro unico, il primo in Italia dove si narrava la condizione delle prigioniere politiche e quella, ancora peggiore, delle ebree. Lo avevo letto e mi aveva colpita al cuore.