Eleonora ci parla di sua madre Bruna. Ricordi, anche lontani nel tempo, si accavallano nella testa della figlia che accudendo l’anziana ormai morente, evoca aneddoti, cita brani del diario materno, si inerpica tra i sentimenti di tutta la famiglia senza rispettare, nel racconto, un ordine temporale. I suoni e i colori, gli odori di casa, le gioie, le liti, le speranze, i lutti, le risate. La prima volta che Bruna la portò dal dentista raccomandandole di non piangere e lei, piccola e terrorizzata, ci riuscì. La rabbia che faceva (e ancora fa) a Bruna il fatto che la nonna materna Elena proteggesse la bimba Eleonora dai suoi schiaffi. E ancora: la messa in piega che la madre si fece la sera prima che le togliessero il polmone malato di cancro. E poi la gelosia che Eleonora ha sempre provato verso di lei, le ribellioni fatte per essere notata, per restare al centro dell’attenzione materna. Tuttora si confessa gelosa se trova china sul letto della malata la sorella o il fratello. E subito lo dice alla madre, ancora ruvidamente esasperata da tanta passione filialedivertita e nello stesso tempo divertita.
Si mescolano passato e presente, la scrittura va avanti e indietro, dallo zio rimasto traumatizzato dalla ritirata di Russia alla madre che vide i tedeschi uccidere un contadino e la moglie. Davvero la bisnonna era un’usuraia? Come si suicidò l’avo Ludovico? Eleonora si sofferma sulla vita di Bruna, il grande amore col padre Mimmo, morto poi a 38 anni di infarto, lasciandola sola con tre figli da crescere. Un dolore che fa perdere a Bruna per sempre la fede: anche ora non crede in nessun al di là, mentre sul letto d’ospedale tormenta l’ago della flebo e si giustifica con la figlia che la rimprovera di essere stata troppo severa, dura. Ero sola a crescervi, dice Bruna e tu stavi sempre a guardarmi, a osservarmi.
Eleonora non ha smesso di osservarla, la spia con affetto, la rimprovera quando la madre sembra arrendersi, ha paura di vedere scemare in lei la vitalità battagliera che ammira ma con la quale ha guerreggiato tutta la vita, teme di non trovare più nella madre la voglia di far ridere, di mettersi al centro della scena. Le dice: ti ascoltavo da piccola, quando con le tue amiche parlavate di uomini e ridevate.
Pagina dopo pagina emerge l’amore di due donne che non hanno saputo mai dirselo così intensamente come ora, che le loro strade si separano. Senza pudore Eleonora svela la propria angoscia, l’impossibilità di guardare i lividi sulle gambe della madre dopo la terza caduta in poco più di un anno, quella da cui non si riprenderà più, la guerrigliera della vita, che ha sempre sfidato le proprie malattie.
Protesta ancora la madre per quelle invasioni di campo di Eleonora. Ma deve ammettere, insieme a chi legge turbato e commosso, che la loro intimità presente è diventata ancora più forte. Eleonora la aiuta ormai anche a fare i propri bisogni, sfiorando con garbo pudori e timidezze e le ricorda quando era lei a mettere piccole supposte di sapone alla figlia bambina che anche in quel caso le si ribellava e scappava, facendola impazzire. Non è possibile definire in poche parole il linguaggio che Nadia Tarantini sa trovare per raccontarci la confidenza che può correre tra madre e figlia e poi, anni dopo, tra figlia e madre, in quell’intreccio struggente, violento, unico che caratterizza la vita di ciascuna di noi.
Scriverai di me? La madre glielo ha chiesto più volte. E lei: non mi hai mai incoraggiata. Ma come, protesta Bruna, non è vero, sei sempre stata capace di tutto. No, sei tu che non hai mai avuto paura di nulla, risponde la figlia: una volta da ragazzina sei passata in mezzo ai tedeschi con la pistola di tuo fratello, perché se gliela avessero trovata lo avrebbero arrestato e deportato. Eppure la madre protesta ancora il proprio amore e denuncia al contrario il fatto che lei stessa non è stata amata dalla propria madre. Di nonna in madre in figlia, l’insicurezza di questo amore tormentato e potente perseguita le generazioni di donne.
Alla fine, per seppellirla, i figli la vestiranno di rosso. Ed Eleonora confesserà quanto quella morte l’ha impaurita evocandole la propria morte. Ma le parole di amore, intimità e rabbia e rimpianto non lasceranno mai andare via del tutto Bruna. Non da chi legge. Figuriamoci dalla figlia.
Nadia Tarantini, Amore inquieto, Iacobelli, Roma 2019, pp. 144.
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Silvia Neonato
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