La critica femminista alla globalizzazione nel nuovo libro di Monica Lanfranco, giornalista genovese che fu una delle due donne tra i venti portavoce del Genoa Social Forum 2001. La speranza, la delusione e quel molto che resta da dire sul G8 di Genova
“Poliziotti che ci state a fare, a casa c’è il bucato da fare”. È uno degli slogan che le femministe gridano allegramente ai poliziotti posti a guardia di palazzo Ducale (i poliziotti sorridono) dove, un mese dopo, si terrà la riunione dei capi di Stato del G8.
Siamo a Genova, 15-16 giugno 2001: da decenni non c’era una assise femminista che si misura con il mondo e qui ci sono invece 1500 attiviste pacifiche di 140 organizzazioni femminili e femministe per dare vita, in vista del G8, alla prima edizione di PuntoG-genere, globalizzazione. «Nella città, ancora aperta e senza le drammatiche recinzioni, abbiamo sperato che l’intelligenza collettiva di donne tanto diverse per storia, età, retaggi e allo stesso tempo così in sintonia sul desiderio di trasformare il mondo potesse avere la meglio sull’ottusità della violenza», spiega oggi Monica Lanfranco, giornalista e femminista genovese, direttrice della rivista Marea che insieme alla rete Marcia mondiale delle donne organizzò quelle due giornate di studio, confronto, feste, cortei pacifici, danze che aprirono il G8 ben un mese prima e di cui ben poco si sa e soprattutto si parla.
“Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo”, gridavano molte di quelle donne anche il mese dopo, quando ormai la città si era svuotata dei suoi abitanti, invitati ad andarsene perché le autorità temevano attacchi terroristici e si minacciava l’arrivo di orde di giovani violenti da mezzo mondo, mentre anche i media gonfiavano il clima di paura a dismisura. E “Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo”, si intitola il libro con il quale Lanfranco racconta il G8, ma anche quell’incontro di donne che lo precedette, replicato dieci anni dopo sempre a Genova, per mettere ancora al centro la critica femminista alla globalizzazione. Infatti il sottotitolo recita “Punto G. Il femminismo al G8 di Genova (2001-2021)”. Finalmente ecco un testo che parla anche, con notevole capacità di sintesi, non solo della tragedia di Carlo Giuliani e della scuola Diaz, ma anche di quanto si discusse in quei giorni e nei mesi precedenti tra uomini e donne in arrivo da mezzo mondo e che quel mondo volevano cambiare. A cominciare dalle ferite inferte al pianeta terra da noi sapiens, allora sminuite dai governi di ogni colore.
Monica era anche, in quanto parte della rete Marcia mondiale delle donne, una delle due donne tra i venti portavoce del G8 al GSF, il Genoa Social Forum (l’altra era Raffaella Bolini dell’Arci). Nel libro, per nulla reducistico, descrive i nove mesi che precedono il G8, le riunioni tra i gruppi, da Rete Lilliput alle Tute bianche, le divergenze tra i pacifisti e chi, come Luca Casarini, annuncia “guerra alla guerra” e “l’assalto alla zona rossa” sia pure simbolicamente. E le convocazioni in questura per stabilire gli spazi destinati a chi il G8 vuole contestarlo, come garantisce la Costituzione e come scelse di fare il sindaco Beppe Pericu, che predispose in città ostelli e luoghi in cui il popolo – che tutti ormai chiamano di Seattle – potesse riunirsi pacificamente a Genova. C’erano tende, il palco per il concerto di Manu Chao, la sala stampa e media allestita in quella scuola Pascoli, adiacente alla Diaz, dove la polizia farà strage di manifestanti svegliati in piena notte, disarmati, con le mani alzate.
Monica c’è sempre, è una dei responsabili del GSF, ospita attiviste a casa sua, cucina, va in piazza, scrive comunicati, il telefono suona sempre, non dorme per giorni, travolta prima dalla speranza gioiosa e poi dal lutto che si porterà addosso per almeno cinque anni. Nel libro scrive che il G8 di Genova le ha cambiato la vita al pari della nascita dei suoi due figli. In che senso?
«Perché ho capito una volta per sempre che non si contrastano la violenza del mercato che mette tutto in vendita a partire dal corpo delle donne, la globalizzazione delle merci e non dei saperi e delle diversità, usando lo stesso linguaggio e gli stessi mezzi. L’errore lo segnala la scrittrice afroamericana Audre Lorde quando scrive che “non si può smantellare la casa del padrone con gli attrezzi del padrone”. Il Comune della Spezia, nei mesi precedenti, ci aveva offerto di fare le nostre manifestazioni e incontri lì, lasciando i cosiddetti Grandi da soli a Genova, chiusi nella gabbia. A me, come anche alla Rete Lilliput e ad altri, pareva una buona idea, ma naturalmente alla maggior parte del GSF non piacque, sembrava un cedimento, una resa; era già partito il clima eroico della guerra all’ingiustizia. È più facile fronteggiarsi, purtroppo nessuno ti insegna a scappare di fronte alle provocazioni».
Nl 2003 Monica Lanfranco, insieme a Maria Grazia di Rienzo, pubblica “Donne disarmanti. Storie e testimonianze su nonviolenza e femminismi”. «Riesco a mettere su pagina quello che ho capito al G8 della mia città: il cambiamento non può mai attuarsi attraverso la mimesi col potere che vuoi abbattere. Una democrazia che inizia con l’uccisione del tiranno e della sua donna e della sua piccola corte porta già in sé una ferita. Non si può cambiare nel sangue e nella violenza. De André cantava che “è dal letame che nascono i fiori”, non dal sangue».
Nell’agosto del 2001 te ne sei andata dal Genoa Social Forum (c’è il testo delle dimissioni nel libro). Perché in poche parole? «Tenere insieme la struttura non serviva più, a parer mio, occorreva rielaborare il lutto per non rischiare di fare rievocazioni retoriche. Il GSF è diventato via via il Social Forum in molte città e ha preso altre vie, non vedere i limiti di ogni esperienza è molto maschile. Credo che ci sia un deficit di laicità nei movimenti: per me hanno un inizio e una fine, se li rendi indefiniti, non fai mai un bilancio onesto e non ti apri al presente».
Cosa indichi oggi come soluzioni ai problemi che a molti erano chiari già vent’anni fa e che oggi, grazie a voi, sono finalmente più noti? «Il libro nasce dalle domande di persone sotto i 30 anni che ho incontrato in questi anni nel mio lavoro di formatrice. Per me essere femminista è prendere la parola su tutto. E per prima cosa vorrei parlare di globalizzazione e sentimenti: penso si debba ripartire dal corpo, dalla sessualità. Abbiamo oggi la rete che detta le regole a tanti ragazzi e ragazze, è un nutrimento tossico che inquina le relazioni: i corpi non girano, le merci sì. Come seconda cosa credo che la mutazione antropologica in corso stia nel fatto che in troppi credono che esistano due mondi, quello reale e quello virtuale. Ma il mondo virtuale non è come quello reale: sta a noi adulti e a noi femministe insegnare la distinzione e raccontare che nel mondo reale si matura una sensibilità ambientale che ci deve spingere a non accettare l’abuso delle risorse, la speculazione sui beni comuni, le diseguaglianze economiche, le discriminazioni e le violenze di genere. Infine a non accettare che il mercato diventi sempre più e inesorabilmente il regolatore delle relazioni umane. E prima di tutto che i corpi non si vendono e non si comprano».
Monica Lanfranco, “Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo. Punto G. Il femminismo al G8 di Genova (2001-2021)”, VandA edizioni 2021
http://www.radiodelledonne.org/altradimora/
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Silvia Neonato

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[…] “Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo” Pubblicato Luglio 20, 2021Di redazionewebEtichettato come Novità, Rassegna Stampa Taggato femminismo, G8 di Genova, letteratemagazine.it, Monica Lanfranco, punto G, rassegna stampa, ventennale g8 genova, Voi siete in gabbia noi siamo il mondo […]