“Azioni prodigiose, difficili persino da immaginare” quelle delle Baccanti che sul monte Citerone allattano cuccioli umani e di lupo, scrive Euripide. Solo il corpo materno, sostiene Adriana Cavarero, può “affrancare la pluralità dei viventi dalla presa antropocentrica” di tipo predatorio e indirizzarli verso “una prospettiva biocentrica”: la contrapposizione materia/logos è alla base del disastro ambientale di oggi. Non una critica, ma una riflessione e alcune domande (dirette a chi legge) a partire dal recente libro della filosofa. Apriamo dunque la discussione su LM
Di Gisella Modica
- Alcune teorie femministe giunte di recente in Italia da contesti nord americani considerano la natura, per tradizione gerarchicamente inferiore all’umano, materia vibrante con una sua agency e una capacità rigenerativa autonoma tale da modificare il progetto umano.
Si tratta di nuove metodologie all’interno di un’area interdisciplinare detta environmental humanities che a partire dalla consapevolezza della parzialità – l’umano non è più al centro dell’esperienza e dei saperi – ricerca nuove ecologie e nuove alleanze per vivere tra le rovine del capitalismo. Per ripensarsi a partire dalle metamorfosi e dalla mescolanza, piuttosto che dall’identità, imparando dalla vita ibrida di vegetali, animali e non umani, sforzandosi di vedere ai margini del conosciuto.
Le esponenti più note – Barad, Bennet, Haraway, in Italia Consigliere, convinte della forte interdipendenza – “intra-azione” – tra natura ed esseri viventi, annullano la separazione divisiva tra umano e non umano, natura e cultura, sociale e scientifico, e per estensione tra materiale e discorsivo. Noi umani non osserviamo la natura/corpo da fuori per poi “vivificarla” col nostro linguaggio/mente, ma siamo parte integrante del mondo in divenire, siamo connessi, assemblati (entangled) gli uni agli altri, e ne siamo responsabili. La scissione “insostenibile” tra mente e corpo sarebbe infatti una delle cause delle attuali catastrofi.
Da questa prospettiva la natura con la sua agency non è materia inerte, risorsa passiva sfruttabile dal capitalismo estrattivista; né “madre-nutrice”, fonte di nutrimento e insieme di catastrofi, sessualizzata per secoli come donna, priva di razionalità, facoltà concessa solo all’uomo.
Per Consigliere combattere la miseria emotiva, sottrarsi allo stordimento dell’inerzia sensoriale e tornare a stupirsi, a provare meraviglia, con tutta la sua carica di mostruosità e imprevedibilità, è una delle proposte per uscire dalla crisi.
Per Haraway la crisi ambientale sistemica è anzitutto crisi di immaginazione, di un immaginario inteso come «la parte in penombra di un mondo […] regione del possibile dell’inattuale e del potenziale». Occorre inventarsi modi di relazionarsi alla natura in grado di spezzare i rapporti di dominazione gerarchica che vadano oltre la sua reificazione, la sua possessione. In questa lotta per la sopravvivenza della terra, che non è disgiunta dalle lotte per la giustizia sociale, lo sguardo di Haraway è rivolto verso un altrove da costruire ora su questa terra. Un altrove definito “inappropriato”, non conforme, fuori luogo, fantascientifico. Una Terra dei mostri per entrare in contatto con la parte imperscrutabile del nostro desiderio, col perturbante. A tal fine Haraway chiama in causa il potenziale creativo di scienza e tecnologia, insieme al potenziale creativo femminile in quanto relazionale, fluido, capace di abbracciare più degli uomini il molteplice, di contaminarsi con mondi apparentemente diversi e lontani.
Serve insomma un cambio di prospettiva. Un saper vedere oltre il consentito, che Consigliere chiama “dis-vedere”, là dove lo sguardo è stato volutamente impedito o non vuole vedere. - Ho voluto far precedere questa breve sintesi sulle recenti teorie femministe, alla mia riflessione sul testo di Adriana Cavarero Donne che allattano cuccioli di lupo. Icone dell’ipermaterno perché cambiare prospettiva nei confronti della natura “alla ricerca di una zoo-ontologia materialista e di un’ecologia radicale”, a favore di una prospettiva “biocentrica”, mi sembra una delle motivazioni che ha mosso la scrittura di questo libro. Un contributo dunque alla questione della sopravvivenza della natura, da guardare non più con occhio antropocentrico ma com-partecipativo in armonia e “complice”. Cavarero infatti chiama in causa non tanto il corpo come presenza (ovvero esserci come persona dotata di senso capace di rispondere in modo adeguato ad una determinata situazione storica a seguito di un trauma) – come fanno le filosofe materialiste -, ma il corpo materno, la sua potenza generativa che (diversamente dagli uomini) vive l’esperienza della “frantumazione originaria che consente alla materia organica di rigenerarsi in forme singolari di vita”. Forme mai uguali ma in un divenire continuo. “Esperienza viscerale del due-in-una”, la chiama Cavarero, che solo il corpo gravido può fare, e avendo a che fare con l’origine lo avvicina “all’orizzonte materiale e carneo della zoe” più che al bios. Esperienza del “tremendo”, specifica Cavarero, prendendo le distanze da quella narrazione tradizionale sulla maternità che presenta solo il lato gioioso, idilliaco e censura il lato “oscuro”, ripugnante, vicino alla bestialità in quanto avendo a che fare, attraverso la nascita, con “la disintegrazione dei bordi, dei margini, che assicura all’io una forma stabile di vita’’, evoca la paura del contatto con “l’illimitato della immensa materia vivente’’. Esperienza magistralmente raccontata senza sentimentalismo e moralismo da Ferrante, Lispector, Ernaux, citate dalla filosofa. La scrittura del testo da parte di Cavarero proviene anche dal suo prendere le distanze da un certo femminismo che, in accordo con quanto scritto da Simone De Beauvoir sulla differenza tra “stato di necessità’’ determinato dal biologico materno inteso come “destino anatomico’’, e bisogno infinito di trascendenza, di libertà femminile, ha finito per censurare il discorso sulla maternità, sul corpo materno, in quanto “controproducenti” per una libera costruzione della soggettività femminile. Censura che dichiara di aver subito la stessa filosofa. Avrebbe però avuto anche un suo peso nella scelta di scrivere, come spiega Cavarero nel Breve intermezzo autobiografico posto a metà del testo, anche la censura di una parte del femminismo attraverso per esempio l’imposizione del linguaggio inclusivo che, in nome di una presunta discriminazione verso soggetti altri, sostituisce la parola donna con “persona con utero’’ o “persona con mestruazioni’’. Cavarero decide quindi di scrivere di maternità in termini positivi, vedendo nel corpo materno una “partecipazione al lavoro della vita organica come generazione di un altro essere vivente”, valorizzando proprio quello “stato di necessità”, di cui parla Arendt, come “relazione di tutti i viventi in un unico cosmo’’. Esperienza che solo il corpo materno “in epoca arcaica percepito come oggetto di stupore e venerazione” può fare e che “può affrancare la pluralità dei viventi dalla presa antropocentrica”, di tipo predatorio, verso una “prospettiva biocentrica”.
- Nel terzo capitolo Cavarero ci introduce al mito delle Baccanti, le quali come ben sappiamo sono menadi che accompagnano Dioniso/Bacco, incarnandone l’ebbrezza, e devono il loro nome alla follia che il dio infonde loro. In preda appunto a questa ebbrezza, secondo il racconto che ne fa Euripide, le donne abbandonano le case e fuggono sul monte Citerone – “un altrove rispetto al mondo civilizzato della polis, tra selve e animali selvatici” – e fresche di parto allattano cuccioli di animali selvatici senza discrimine tra umano e animale. “Una rivolta delle donne di Tebe che non è solo rifiuto del ruolo domestico”, scrive Cavarero, ma esperienza di un nuovo e diverso modo di vita al cui carattere “generativo, amoroso e trasformativo” si accompagna un’estasi gioiosa per la vicinanza con una natura esuberante e spontaneamente nutritiva, nonché per “la prossimità con una specie animale che non si distingue più da quella umana”. Si tratta di un’esperienza di estasi attraverso la quale “le donne escono fuori di sé”, in uno stato di trance, dove è più facile abbandonare l’io e connettersi all’Altro e ad altro. “Azioni prodigiose, difficili persino da immaginare” fa dire Euripide a un messaggero inviato da Penteo. L’attenzione della Cavarero a questo punto del testo si concentra sulla “selvaggia vitalità nutritiva del corpo materno”; sull’ “esuberanza nutritiva” delle Baccanti che “non conosce limiti”, è puro “godimento” e “allattano nuovi nati di altra specie”. Più che sulla potenza generativa, la tragedia di Euripide, fa notare Cavarero, si cimenta col tema della potenza nutritiva del corpo materno, così inebriante da superare i confini tra umano e animale, alludendo in tal modo a un tipo di conoscenza femminile “superiore a quella del Logos”. Come sappiamo, nella seconda parte del dramma Euripide trasformerà le Baccanti in sanguinarie cacciatrici divoratrici della carne cruda di leoni e di buoi che assaltano e squartano a mani nude “come cagne veloci”. Sebbene la stessa Cavarero non manchi di denunciare la misoginia che si cela dietro l’iper-maternità attribuita alle Baccanti; sebbene denunci il sessismo dietro l’accostamento donna-animale, nonché l’immaginario arcaico che vede le madri, così come la natura, nutrici e al contempo divoratrici dei propri figli – come fa Agape con Penteo scambiandolo per un leone – la pensatrice ritiene che tale accostamento all’ iper-maternità arcaica possa essere recuperata in quanto “costituisce a tenere fuori dal quadro ogni angolazione antropocentrica” ed è una vicinanza alla zoe, alla vita di ogni specie. In particolare la vicinanza della maternità all’animalità, alla zoe, e la madre come corpo nutritivo “può assumere tuttavia un significato positivo, conoscitivo, ontologicamente partecipativo, la cui portata supera di gran lunga la negatività del canone misogino”.
- Condivido molte delle critiche di Cavarero al patriarcato, e in particolare:
– la critica ai suoi innumerevoli miti – come quello di Niobe trasformata in pietra da Latona per punire la sua arroganza di madre che la sfida in quanto generatrice di innumerevoli figli – miti che hanno lo scopo di “sminuire la potenza generativa materna”, annota Cavarero;
– la sua disamina sulla teoria della Dea Madre nella civiltà neolitica, di Marija Gimbutas, osteggiata dall’accademia e rivalutata dal femminismo;
– la critica all’oggettivazione della natura e al disprezzo da parte dei filosofi che l’hanno ridotta a “mera vita”, contrapposta al logos, e la conseguente proposta di Cavarero di restituire alla materia vivente il giusto statuto di pari dignità facendo derivare dalla contrapposizione materia/logos il disastro ambientale di oggi;
– Condivido infine la necessità di tornare a discutere dentro il femminismo sul “non pensato” della maternità, di cui si ha tuttora poca “conoscenza”, il testo di Cavarero mi pone degli interrogativi.
– Mi chiedo se attribuendo all’ esperienza della maternità la “conoscenza viscerale” – nel testo intesa sia come esperienza vissuta del “corpo gravido”, cioè del parto, delle doglie, della nascita e dell’allattamento sia come esperienza della sua “potenza nutritiva” – definita “ontologica partecipativa” in quanto capace di contrastare il dominio antropocentrico a favore di un’ecologia radicale -, non si rischia di discriminare le donne che per scelta o per costrizione o per età non attraversano tale esperienza.
– Attribuendo all’ “ipermaternità di stampo arcaico” definita “un delirio” un valore positivo, non si rischia di ricacciare le donne nella corporeità e nella zoe, favorendo il dualismo corpo-mente?
– In che modo, attraverso quali passaggi e quali pratiche politiche la “confidenza del corpo materno con la materia corporea dell’origine” e con l’animalità/bestialità può condurci a una visione biocentrica se è vero, come afferma Haraway, e come io credo, che lotta per la natura e per la giustizia sociale sono inscindibili?
– È sufficiente partorire, fare figli, nutrirli, allattarli per cambiare prospettiva, assumere uno sguardo capace di andare “oltre il consentito”?
– E ancora: perché Cavarero trascura di soffermarsi invece sulla potenzialità creativa e immaginifica delle Baccanti; sul loro posizionamento in quell’ altrove “inappropriato” del Citerone, non-luogo fantastico o fantascientifico?
– Perché trascura di “vedere” nella “follia”, in quello “stato di trance” “dove è più facile abbandonare l’io e connettersi all’Altro e ad altro” – come annota la stessa filosofa -; nella forza del perturbante che le Baccanti scatenano nell’immaginario collettivo; nella loro capacità di contaminarsi che gli permette di compiere azioni prodigiose “difficili da immaginare” in questo mondo, i dispositivi oggi più adatti dal mio punto di vista ad abbattere i dualismi umano/ non umano, mente/corpo, e a lottare per la giustizia e la sopravvivenza della terra?
Adriana Cavarero, Donne che allattano cuccioli di lupo. Icone dell’ipermaterno, (Castelvecchi 2023)
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Gisella Modica
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