Si parla molto di genere e razza, ma non della classe che pure conta moltissimo: il gruppo di lettura della Sil ha letto Da che parte stiamo. La classe conta di bell hooks. La filosofa afroamericana suggerisce solidarietà e lotta al consumismo. Il testo ha aperto delle questioni su cui riflettere
di Gisella Modica
Già da tempo l’irrompere sulla scena pubblica dei corpi che non contano, poveri, immigrati, disoccupati, rifugiati, portatori di bisogni materiali, di cibo casa vestiti lavoro, rimettono al centro il tema della classe di appartenenza. Di fronte al crollo delle categorie novecentesche, tra queste quella di classe, con quali modalità approcciare al tema? Come risignificare il concetto di classe e quello delle alleanze?
È stata questa la domanda che ci ha spinto a leggere il testo di bell hooks Da che parte stiamo. La classe conta. È difficile parlare di classe, scrive bell hooks, soprattutto da parte dei poveri in quanto la povertà si trascina dietro un sentimento di vergogna. Parlarne invece è necessario perché, diversamente dalla razza e dal sesso, la classe è un atto di responsabilità volontaria che mette in grado di riconoscere “il nemico” in una società che si professa senza classi e insegna che “se vuoi, puoi farcela”: una grande falsità. La razza e il sesso, di cui invece molto si parla, vengono utilizzati per deviare l’attenzione dal vero problema che è la classe. Se è facile ottenere solidarietà riguardo ai temi della violenza di genere o alla razza, lo stesso non vale per la classe. Un nero ricco, sebbene simile in quanto alla razza, è diverso da un nero povero, soprattutto per via della rottura del vincolo solidaristico in seguito all’integrazione e all’assimilazione dei neri ricchi nella cultura mainstream bianca. Integrazione agevolata dai bianchi in quanto elemento di divisioni tra neri, commenta bell hooks.
Di tornare a parlare di classe è dunque tempo, ed è necessario. Con quali modalità?
bell hooks lo fa riformulando le intersezioni tra sesso razza classe, a partire da sé, dal racconto del proprio vissuto e del suo rapporto col denaro. Dobbiamo volere per noi ciò che desiderano i poveri, è la risposta: una vita semplice, un’etica della compassione, la richiesta del salario minimo per i più svantaggiati, redistribuire il di più del guadagnato col lavoro. Se c’è una cosa che accomuna ricchi e poveri, questa è il consumo edonistico e l’avidità. Bisogna guardare oltre gli orpelli del denaro per vedere l’io interiore.
La classe per bell hooks, come lei stessa scrive, è molto di più del rapporto coi mezzi di produzione. È il tuo modo di comportarti, le aspettative sugli altri, la tua idea di futuro, il tuo modo di sentire, di pensare. Dunque classe non come lotta per la presa di potere, ma come presa di coscienza del consumismo edonistico. Si deve dunque educare alla coscienza critica, a vigilare costantemente su se stessi imparando a saper decodificare i messaggi pubblicitari.
Questo in sintesi il contenuto del testo. Un testo di non facile approccio per chi, come me, si è formata sulle categorie novecentesche di classe come lotta e modificazione dei mezzi di produzione cui prima si accennava.
Di questa difficoltà sono testimonianza alcuni commenti di alcune del gruppo che riporto di seguito.
«Che sia un testo pedagogico è chiaro. Per mia parte, tuttavia, l’ho trovato a tratti quasi pedantemente didascalico, un vangelo per il privilegiato che vuole fare i conti con il proprio privilegio». Tuttavia «un giusto insegnamento da raccogliere è l’invito a metterci nei panni degli altri. Non già per empatia, ma per intrecciare quei rapporti tra umani che permetteranno di sopravvivere su questo pianeta senza cadere nelle trappole sempre più invitanti del consumismo».
L’analisi di bell hooks sull’avidità che accomuna ricchi e poveri e sulla menzogna che “chiunque lavori sodo possa farcela”, ha trovato tutte concordi sul fatto che non riguardano solo la società americana. Dai commenti pare di cogliere una certa distanza per quanto concerne l’efficacia dell’empatia in quanto, scrive una Letturata, «il mio identificarmi con tutta me stessa con i più svantaggiati, non risolve il problema di fondo».
Un testo definito di volta in volta «una narrazione socio-politica e contro-egemonica»; «una lucida, se non ossessiva dissertazione della realtà americana, la sua perdita dell’amore, della solidarietà surrogate dall’invidia e dall’avidità»; «un discorso evangelico basato sulla umana carità, sull’attenzione al prossimo e che talvolta ci infastidisce con le sue semplicistiche conclusioni». Semplicistica è stata definita «la sua visione utopica e la sua illusoria pedagogia secondo cui, raggiunta una ipotetica consapevolezza delle nostre appartenenze, delle nostre classi di riferimento, si possa intraprendere una lotta, e trovare i modi per una giustizia sociale intercettando il sistema di valori perduti».
Un testo «ricorsivo, a spirale, che torna e ritorna sempre sugli stessi temi – casa, margine, posizionamento, relazione – ogni volta però a partire da un racconto diverso della propria esperienza, svolgendo due operazioni uguali e contrarie: far affiorare dal racconto di sé, la capacità di leggerne in tralice la teoria; il pensiero che va oltre quel partire da sé, pur conservandone l’impronta autentica di un dolore, di un’affezione personale. Questo ci piace di lei, ché ce la fa riconoscere. Anche se questo talvolta annoia».
È la scrittura, «intimistica, letteraria», nonché «la modalità del partire dal proprio vissuto» che coinvolge la lettrice e permette l’accedere con agio al testo che risulta così «piacevole da leggere, proprio come un romanzo. «Un romanzo con un’esile trama, che continuamente ritorna su se stessa, ampliando la prospettiva e rimanendo ben salda su alcuni, essenziali scenari». «L’autobiografia è il volano per dare concretezza ma anche leggerezza a concetti che tornano con forza. Lei ripete e si ripete, e come una spirale il libro ci spinge ad approfondire ciò che bell hooks sostiene: che siamo parte del problema, anche se non lo sappiamo o cerchiamo di non vederlo. Una fiaba un po’ nera». Tre questioni il libro ha dunque aperto all’interno del nostro gruppo:
– la denuncia aperta di bell hooks sulla mancanza di solidarietà del femminismo bianco rispetto alle donne di colore, senza però citare intellettuali femministe bianche, come Adrienne Rich, amica di Audre Lorde, Alice Parker e Michelle Cliff, che accusava di razzismo l’accademia e le femministe bianche.
– La perdita da parte del femminismo della differenza italiano del riferimento alla lotta di classe, anteponendo il sesso alla classe.
– Rispondere alla domanda “Da che parte stiamo?”, chiama in gioco il nostro posizionamento, la nostra identità di donne bianche, mature, colte, garantite. Come porci rispetto a questo? Tre questioni rimaste in attesa di approfondimento.
bell hooks, Da che parte stiamo. La classe conta (trad. Marie Moïse), Tamu 2022
PASSAPAROLA:








Gisella Modica

Ultimi post di Gisella Modica (vedi tutti)
- Le Letturate 4. Parliamo di povertà - 25 Aprile 2025
- Bianca per sempre - 8 Marzo 2025
- MADRI NON MADRI 9. L’oscuro materno, biologia e politica - 7 Febbraio 2025
- Siamo compost - 8 Novembre 2024
- MADRI, NON MADRI 4 – La potenza nutritiva del corpo materno - 9 Settembre 2024