Lucetta Scaraffia è una storica che ha insegnato alla Sapienza di Roma e alla Sorbona di Parigi. Di formazione familiare rigorosamente cattolica, Scaraffia, militante femminista negli anni Settanta, riporta il successivo riavvicinamento alla Chiesa come esito di una vera e propria (ri) conversione, avvenuta durante la celebrazione per un’antica icona della Madonna.
Le donne sono al centro della sua ricerca, che possiamo considerare femminista, per l’attenzione alle forme e ai modi con cui queste entrano in rapporto con la fede, vivono la religiosità, ne abitano le istituzioni preposte.
Anche il titolo di questo saggio, Dio non è così, del resto segnala l’attenzione all’eccedenza, alla non-conformità e differenza che donne consapevoli e autodeterminate portano nella fede e dentro l’istituzione, con cui si intende anche l’apparato teologico.
L’apofatismo (teologia secondo la quale la comprensione della natura di Dio è inesprimibile), che sembra richiamato nel titolo non prevede però, nella postura delle otto mistiche raccontate da Scaraffia, la contemplazione, il silenzio, l’ascesi: piuttosto è espressione «di una mistica avventurosa e libera da parte di donne laiche» (p.5). La mistica, secondo quanto riconosce la stessa autrice, citando l’introduzione di Claudio Leonardi all’insuperato lavoro Scrittrici mistiche italiane, più che alla fede attiene al nulla, «che è già nell’esperienza di tutti».
Ecco allora queste otto donne che assumono l’esperienza del nulla senza altro ancoraggio – sono credenti, teologhe o filosofe, ma non sono protette da nessuna, “regola”, da nessuna comunità preesistente, da nessuna istituzione religiosa – che l’essere piantate nella storia del Novecento, dentro un pensare ed agire che sposta valori, punti di riferimento e apre strade e inventa percorsi in cui altre, altri potranno riconoscersi.
Eccole, come ce le presenta l’autrice «Catherine (Pozzi) l’eleganza spirituale, Charlotte (von Khirschbaum), la forza appassionata, Adrienne (von Speyr) l’intelligenza positiva, Banine, l’esotismo ironico, Elizabeth, (Liselotte Behr Sigel), l’energia calma, Simone (Weil) l’acutezza spigolosa, Romana (Guarnieri) la luce generosa, Chiara (Lubich) il carisma evidente». (p.6)
Vale la pena riportare queste parole che icasticamente ci consegnano la peculiarità di ciascuna e insieme il filo rosso che le tiene insieme tutte, cattoliche, evangeliche, ebree, musulmane, che si sentono strette nelle maglie delle loro confessioni – dello statuto delle stesse, che non ne prevede il desiderio, la visione, la presa di parola.
Le loro storie sono singolari e rivelano personalità di grande forza, autorevolezza, rigore, nascono prevalentemente in contesti familiari complessi, spesso altoborghesi o aristocratici, certamente colti e non convenzionali (salvo Chiara Lubich).
Come quello di Catherine Pozzi, figlia di un celebre chirurgo della Parigi della Belle époque. Catherine coltissima, brillante, vive dolorosamente il conflitto tra i genitori, è «attratta inesorabilmente dalla luce che emanava il padre», ucciso per mano di un paziente. Il suo amore, resta privo dello sguardo di riconoscimento, il suo dolore, diventa ricerca di Dio che passa, in verità per numerose stazioni, dal matrimonio con un drammaturgo alla passione, ricambiata, per Paul Valery. Il linguaggio e la postura di Catherine però non coinvolgono il poeta, che non capisce il senso del suo dialogo con Dio, trovando che lei «teologizzava con vero diletto» (p.30). Catherine si allontana da Valery ma il maggiore studioso del linguaggio mistico, Michel de Certeau, annovera la poesia di addio di Catherine a Valery, tra i testi di mistiche come Hadevwijch di Anversa, del XII secolo.
Se guardiamo infatti da vicino queste donne, non può sfuggirci la clamorosa asimmetria non solo con la rigidità dell’istituzione religiosa ma con la diversa attitudine, visione, passione di uomini pur grandi al loro fianco, padri, amanti, guide spirituali. Così è per Charlotte von Khirschbaum, che per tutta la vita accompagna, sostiene, protegge, ama il grande teologo protestante Karl Barth, fino a condividerne la vita sotto lo stesso tetto della sua famiglia, fatta di una moglie assai ostile e dei loro figli. A Charlotte si deve non soltanto la cura degli scritti del teologo; c’è un suo pensiero originale che lo stesso riconosce tardivamente. Così è per Elizabeth Behr Sigel che considera la chiesa ortodossa la propria dimora spirituale su questa terra ma che sembra compiere il suo percorso mistico nell’unione, spirituale e carnale, con il Padre Lev, parroco della prima chiesa ortodossa di lingua francese.
Così è per Banine, di cultura musulmana e poi ricercata partecipe dell’ambiente intellettuale parigino degli anni Venti, che passerà una profonda crisi spirituale con la scelta di allontanarsi da Ernst Jünger e si convertirà al cattolicesimo.
La maggior parte di queste donne sono del resto immerse in un mondo di intellettuali, pensatori, teologi, “inevitabilmente” maschile di cui sono interlocutrici ad altissimo livello, entrando in una forma di relazione amorosa, poco importa se sessuale o no, sempre ardua, sempre orientata a quel di-più di esperienza che è della mistica. Ci si può interrogare sulla pertinenza della sovrapposizione della mistica alla passione amorosa, ma resta il fatto che spesso è nei loro epistolari che questa si manifesta nella sua “dicibilità”, a chiunque legga.
Una maggiore reciprocità si coglie nella relazione di Adrienne con Balthazar, teologo gesuita,attraverso la cui guida spirituale si converte al cattolicesimo. Messo alle strette da una Chiesa misogina, Balthazar resterà vicino ad Adrienne.
Sembrano muoversi sostanzialmente da sole – non in stretta relazione con una figura maschile di autorità sia Chiara Lubic (che si muove) dentro un tessuto comunitario, sia Romana Guarnieri, la cui straordinaria ricerca sulle mistiche medievali e le beghine, ha aperto a nuove interpretazioni sull’importanza teologica delle donne nella cristianità. Romana avrà un grande sodalizio intellettuale con il ben più noto padre Giuseppe De Luca ma procede poi da sola in una ricerca che, ignorata dalla Chiesa, sarà raccolta dal femminismo, quando, sotto la sua guida, Muraro scoprirà che Margherita Porete fu “copiata” da mistici tedeschi come Maister Eckart: il pensiero filosofico occidentale incapace di riconoscere questo debito.
E se Chiara Lubich è raccontata come attiva fondatrice di una comunità – i focolari e le donne, lepope fanno rete intorno a lei – in cui prevale la dimensione collettiva, rafforzata dalle sue esperienze mistiche e dal successo ecumenico del suo progetto, gli accenti più nettamente critici l’autrice li riserva a Simone Weil, divenuta nel tempo un riferimento del femminismo laico. Il suo misticismo pertanto, non corroborato dalla conversione e di fatto così apprezzato da non credenti, appare a Scaraffia, ambiguo, venato delle idiosincrasie di una personalità complessa e del legame con una famiglia che considera disfunzionale.
Arriva peraltro a chi legge senza essere all’interno del discorso religioso una necessità di sospensione del giudizio rispetto a tutte queste donne, ineccepibilmente uniche, ineccepibilmente grandi, “inevitabilmente” cancellate dalla Chiesa.
Lucetta Scaraffia Dio non è così Bompiani 2025
PASSAPAROLA:









Elvira Federici

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