«L’assenza delle donne dalla considerazione e dalle pratiche di riconoscimento pubblico e duraturo è una figura strana ed enorme davanti agli occhi di tutti, una specie di elefantessa», scrive la studiosa Daniela Brogi nel suo pamphlet divulgativo, che riprende il decennale pensiero femminista sul canone
Di Elvira Federici
Certamente in ritardo sull’uscita e sulle numerose recensioni, alcune entusiastiche, altre severamente critiche, riprendo il fortunato pamphlet di Daniela Brogi, con lo sguardo di una common reader femminista.
Proprio nella sua natura di pamphlet– la struttura agile del testo e la postura militante della scrivente – si possono cogliere le ambivalenze che spiegano alcune polemiche intorno a questo lavoro.
Il libro da una parte chiama ad essere letto come uno strumento per fare il punto su una ricerca e una presa di parola (circoscritta agli ultimi due secoli) sullo spazio delle donne nel canone della letteratura e delle arti, nella Storia e riguardo ai i diritti; dall’altra sembra porre la questione per la prima volta, formulando quasi con sorpresa la domanda cui da molto tempo le donne nella ricerca, nella scrittura, nel pensiero come nell’attivismo femminista, rispondono con autorevolezza e agentività, in ogni parte della Terra: dove siamo, qual è il nostro spazio nel mondo.
Resta invece aperta – e Brogi la fotografa con umoristica acutezza – la questione del perché una tale articolazione di pensiero e creatività, ancora non intacchi significativamente l’enciclopedia maschile. Scrive Brogi: «A parte casi rarissimi, ho trovato libri [sulle donne] tutti scritti da donne, come se per molti uomini di cultura fosse un’impresa da cervello balzano occuparsi delle opere delle donne – facendo insomma quello che le donne invece fanno da sempre con gli autori».
Del pamphlet si apprezza l’utilità e l’efficacia comunicativa, che chiama le lettrici a convergere sul terreno che il libro agilmente descrive e l’esortazione a muovere insieme verso una ricognizione a tutto campo sulla cancellazione delle donne dalla Storia e dalle forme del simbolico, tuttavia è un po’ disorientante un’esposizione che offre assaggi, saltabeccando da un nome ad un altro, da un contesto ad un altro, da un tema ad un altro. E non è una critica ad un approccio transdisciplinare, fondamentale per decostruzione delle forme di canonizzazione dei saperi, per come si producono, si studiano, si trasmettono nell’istituzione; piuttosto è la restituzione di un senso di straniamento di fronte ad una ricostruzione per grandi esemplificazioni, ellissi temporali, tra letteratura, cinema, arti, pur nel significativo inquadramento di una timeline italiana (dal 1946: per la prima volta il voto alle donne; al 1996: stupro riconosciuto come reato contro la persona e non contro la morale) e nell’efficace individuazione di cinque spazi: il recinto, in cui le donne sono state a lungo recluse o separate; l’abisso della cancellazione o del misconoscimento; l’interstizio, tra realtà e immaginazione, spaccatura, crepa abitata dal trauma e da un’intimità che deve trovare le parole; la mappa, che si costituisce componendo una lista di riferimenti; il fuori campo attivo, quello che Brogi vuole inaugurare proprio con questo libro: «lo spazio liberato da abitudini sessiste riprodotte con naturalezza».
Fin dalle prime righe Brogi, che insegna Letteratura italiana contemporanea e di forme della narrazione nel cinema e nelle arti visive pone il tema che ben conosciamo
«L’assenza delle donne e delle autrici dalla considerazione e dalle
pratiche di riconoscimento pubblico e duraturo è una figura strana ed enorme davanti agli occhi di tutti, ma di cui non si discute in maniera collettiva; proprio come se si trattasse di un grosso elefante, o per meglio dire un’elefantessa*, intrappolata in una stanza dove si continua a conversare amabilmente, fingendo di non vedere».
Brogi osserva che la questione epistemologicamente e politicamente rilevante su come si costruisce il canone e su chi ha il potere di definirlo, continua a non interpellare l’istituzione maschile – neutra, universale – in cui prende forma e si perpetua il canone stesso.
Continuano a porla le studiose e accademiche femministe ben oltre l’hortus conclusus (perché tale sembra essere ancora almeno in Italia) – apertissimo peraltro nelle metodologie e nei contenuti – degli studi di genere. Con questo lavoro Brogi si propone di:
«Smontare la retorica sessista; trovare altre parole e differenti sguardi;
raccontare le donne, e l’importanza di fare spazio simbolico alla
narrativa delle donne. Riconsiderando non solo lo spazio delle figure
illustri, le eroine, le principesse, le eccentriche, ma lo spazio delle
collettività e le moltitudini, comprese le tante che hanno dedicato lavoro e studio alle altre donne».
E proprio in quest’ultimo caso entriamo, per esempio, sfogliando il numero 152 di Leggendaria dal titolo “Oltre il canone”, che proprio citando Brogi, mette in evidenza quel “fuori campo attivo” fatto di pratiche critiche, di ricerca, di scrittura e sì, anche di lettura, che lo hanno eroso nel corso di questi anni; oppure aprendo “SIL/labari. Conflitti e rivoluzioni di femminismi e letteratura”, il volume a più mani appena uscito per Iacobelli editore: anche qui, dove si intrecciano il nome di Liana Borghi e quelli di ricercatrici, scrittrici, accademiche, insegnanti, si conferma la scoperta che lo spazio delle donne esiste grazie ad uno straordinario, carsico, pluridecennale (se ci fermiamo al Novecento), lavoro delle donne stesse e allo studio genealogico, in cui si affiancano e si intrecciano le “minori” come le maestre .
«La disinvolta omissione delle autrici, nel panorama culturale degli
ultimi due secoli, non è un problema quantitativo, ma qualitativo.
Perché è la modalità di sguardo, di inquadratura, di racconto della
tradizione che richiede un cambiamento. Di conseguenza, non si tratta
di aggiungere nomi, capitoli a parte, o di ripescare a caso nella
pattumiera della storia, ma di riconsiderare, studiare e raccontare
presenze e mancanze secondo una sintassi e una architettura diverse».
Sono questi esattamente i termini del problema che rappresentava Anna Maria Crispino nell’introduzione al volume collettivo (tutte accademiche, in questo caso) “Oltrecanone. Generi, genealogie, tradizioni” (2014).
La questione è semmai come questo sapere abiti tuttora uno spazio praticato unicamente da donne, separato dagli uomini, cui (le istituzioni di) uomini non prestano interesse, come se il femminismo non li riguardasse. Si tratta ormai non del recinto in cui ci recludono ma dell’abisso di ignoranza in cui si crogiolano, in cui essi stessi vivono reclusi, perdendo di vista la comprensione della realtà.
Brogi solleva anche questioni di metodo molto sottili, come quelle che attengono alle biografie di autrici:
«come si guardano e come si studiano l’opera e la vita
di un’autrice? Pensare la biografia di una donna significa comporre il
significato cruciale e la rilevanza pubblica della sua vita come del suo
lavoro. L’una e l’altro, di solito, sono stati confusi, in un lessico stereotipato e riduttivo».
E si chiede anche come rileggere e decostruire autori che nella loro biografia e/o nell’opera svelano un sessismo insostenibile rispetto alla sensibilità attuale: cosa ne facciamo, ad esempio, di Philip Roth?
O il problema della qualità letteraria ed estetica delle opere delle donne che si vanno riscoprendo; o il tema del merito e dell’ambizione: il primo, conditio sine qua non per una donna ma non dirimente per un uomo; la seconda, qualità per un uomo ma deplorevole difetto in una donna.
Più che un pamphlet, Lo spazio delle donne è una summa di temi femministi degli ultimi decenni, a partire dalla letteratura. Per questo disorienta un po’ il senso di novità che traspare dalle righe di Brogi, la quale dichiara di essercisi dedicata specialmente negli ultimi due anni.
Tutte le domande che allinea sono ben poste; la ricognizione dei cinque spazi è euristicamente forte eppure la sorpresa dell’autrice sembra quella di chi è si è appena imbattuta nel pensiero del femminismo, dei femminismi. Brogi però è una studiosa, è un’accademica: saprebbe come incontrare, portare a conoscenza, documentare, costruire, presidiare, lavorando con altre studiose, uno spazio che ha a che fare con un sapere per tutte e tutti, spesso in rotta di collisione con le istituzioni stesse della conoscenza.
Allora, a chi è destinato questo lavoro? Che uso possiamo farne?
«”Lo spazio delle donne” si potrà leggere in un pomeriggio di studio
come di festa; in una pausa da un lavoro anche molto diverso da quello
della critica letteraria; durante una vacanza, nel giardino di una
biblioteca, in metro, in un sabato pomeriggio passato al lago; potrà
funzionare mentre si scrive un articolo, o una tesi, ma anche mentre
vostro figlio o la vostra ragazza preparano una tesi».
Brogi offre un suggerimento colmo di leggerezza e cordialità nell’intreccio con la vita quotidiana e questa è una risposta possibile.
*(come non pensare a Katharina Fritsch?)
Daniela Brogi, Lo spazio delle donne, Einaudi, Torino 2022, 128 pagine, €12,00
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Elvira Federici
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