Weil e Atwood: una lanterna per il presente

Nadia Nappo e Paola Nitido, 13 aprile 2025

Il gruppo di lettura SIL di Napoli ha letto Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood utilizzando anche la riflessione filosofica di Simone Weil. Ne emerge una traccia per affrontare gli odierni tempi popolati da autocrati e fondamentalisti

Di Nadia Nappo e Paola Nitido

Margaret Atwood ha iniziato a scrivere Il racconto dell’ancella nella primavera del 1984. Il romanzo è distopico ed è ambientato in un futuro prossimo in cui gli Stati Uniti sono stati rovesciati da una teocrazia totalitaria chiamata Repubblica di Gilead.
Leggendo il romanzo si avverte un rifiuto, si crede impossibile che un Paese democratico possa arrivare a una tale rottura politica avviando un totale controllo dei corpi. Soltanto dopo ci si accorge che Atwood sta esplorando un concetto ben più ampio che potremmo anche rivedere nel pensiero di Simone Weil: quando si cade nella sventura non si può tornare indietro. Per Weil il vuoto è fertile e deve essere accettato. Il vuoto produce come una corrente d’aria ed è, infatti, una necessità perché nella sospensione si crea uno strappo: «Accettare un vuoto in se stessi è cosa sovrannaturale. Dove trovare l’energia per un atto che non ha contropartita? L’energia deve venire da un altro luogo. E tuttavia ci vuole dapprima come uno strappo, qualcosa di disperato; bisogna, anzitutto, che quel vuoto si produca. Vuoto: notte oscura». Pertanto “Accettare il vuoto” cioè sentirlo nel corpo e vivere lo strappo. É necessario, dunque, rischiare di cadere nel vuoto, senza avere alcuna speranza, perché è in quel momento che si apre il respiro. L’ancella del romanzo di Atwood vive lo strappo e cade nel vuoto, incontra la sventura, ma riesce a poi a creare il suo spazio di sopravvivenza intrecciando relazioni con le altre e gli altri.
Atwood sta giocando proprio su questo: quando si cade nella sventura non si può tornare indietro. Ciò che spaventa di Il racconto dell’ancella è l’impressione generale che il sovvertimento che porta al colpo di stato e al regime religioso di Gilead sia stato rapidissimo. Come se una società sonnolenta e stanca, che potrebbe anche essere la nostra, da un giorno all’altro si fosse svegliata in un nuovo Medioevo, dove le donne devono esclusivamente assolvere al “loro destino biologico”, non possono leggere, lavorare o giocare. Tutto è gerarchizzato, controllato e rigorosamente diviso in caste. Nulla può sfuggire all’Occhio del regime e ogni deviazione contro l’ordine o la natura è crudelmente punita. Lo smarrimento è evidente anche nel racconto di Offred (l’Ancella), che spesso viene quasi travolta dai ricordi della vita “com’era prima”. Alle volte il suo tentativo di non dimenticare e le forti pressioni emotive cui è sottoposta giocano brutti scherzi: è allora che il velo tra presente e passato diventa sottilissimo e la memoria si fonde con le percezioni del presente, creando un mix narrativo di grande impatto.
Il libro, con una grande prosa letteraria – da cui è stata tratta una splendida serie tv ora disponibile su Netflix – ci racconta qualcosa di possibile perché la sventura esiste ed è a prescindere della singola volontà. È successo nel 2020 durante l’epidemia di Covid e succede oggi mentre Trump pubblica le parole bandite e i libri «potenzialmente legati all’ideologia di genere o ad argomenti discriminatori che propongono l’ideologia dell’equità».
Weil e Atwood diventano una lanterna per il presente e mostrano che quando nei tempi di sventura si crea un vuoto, è necessario entrare in un ritmo di respiro perché in quel vuoto nasce un’attenzione al reale. E come ci si libera dalla necessità? Soltanto attraversandola.
Attraverso la lettura de Il racconto dell’ancella si entra nella vita dell’Ancella nella sventura:

«Avevamo imparato a sussurrare quasi impercettibilmente. Nella semioscurità potevamo allungare le braccia, quando le Zie non guardavano, e toccarci le mani attraverso lo spazio tra un letto e l’altro. Leggevamo il movimento delle labbra, con le teste posate sul cuscino, girate di lato, osservando l’una la bocca dell’altra. In questo modo ci eravamo scambiate i nostri nomi, di letto in letto:
Alma. Janine. Dolores. Moira. June».

 


 

Nadia Nappo ha lavorato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli dove con altre ha formato il Gruppo di ricerca Soggettività femminili ed ha curato la raccolta di scritti di donne per il Fondo Soggettività femminile. Ha preso parte al Collettivo della rivista Adateoriafemminista. Pratica la politica del partir da sé e della nonviolenza. Opera con il movimento delle Donne in nero, partecipa alla rete dei Beni Comuni partenopei.

 

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Paola Nitido

Paola Nitido è autrice e docente di materie letterarie, laureata in Italianistica presso l’Università di Bologna con una tesi su Fabrizia Ramondino e in Lettere Moderne presso l’Università di Napoli su Dino Campana e Sibilla Aleramo. Ha pubblicato "Le vite degli altri abitano la mia. La scrittura del sé nell’opera di Fabrizia Ramondino" (Fridericiana Editrice Universitaria, Napoli 2021). Già redattrice e speaker presso F2 Radio Lab, web Radio dell’Università Federico II, vincitrice del Premio Letterario Internazionale Nova sociale con il racconto "A gambe incrociate" (2016) e Menzione speciale per lo stesso Premio per le poesie "Vuotezza" (2017). Pubblica articoli e racconti su varie riviste e si occupa di autrici del Novecento e di teatro.

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