Se incontri l’uomo sbagliato

Nadia Tarantini, 14 luglio 2022

Una famiglia normale, pare: eppure la figlia, Perla-la-Perla li trascina nel suo abisso. Nel nuovo libro di Silvia Dai Prà, “I giudizi sospesi”, il fratello Felix racconta con rara potenza venticinque anni della storia della famiglia, indagata nelle sue dinamiche più nascoste

Di Nadia Tarantini

«Non so spiegare come possono succedere certe cose, ma nelle famiglie funziona così: o si parla subito o non si parla più, o si sfrutta fino in fondo l’onda d’urto di una scossa per spalancare tutte le finestre, oppure, una volta terminata l’ora di pulizie, nessuno avrà più voglia di andare a disturbare i ninnoli sugli scaffali, il cucù nel suo orologio di legno – e così, quando rientrai a casa, nessuno mi disse nulla (…)

E quel giorno arrivò, e dal pomeriggio in casa si diffuse una strana atmosfera: era come se fosse in preparazione un funerale garrulo, un’estrema unzione che i discendenti avevano deciso di trasformare in una festa (…)»

Per il modo secco e “scorretto”, a volte persino crudele, con cui Silvia Dai Prà affonda la penna nei sentimenti più inconfessabili, nelle trame più devastanti e segrete delle famiglie – mi ha fatto pensare a Jonathan Franzen, a quel miracolo di scrittura che è Correzioni, e al più recente Crossroads. Si assomigliano perché non si fanno scrupolo di dire le cose come stanno, non cincischiano intorno alle dinamiche inter-personali, come fa tanta letteratura che preferisce mostrarsi buona anziché vera. Qui siamo in Italia – e se non riusciamo a vedere gli orizzonti più complessi della società statunitense descritta da Franzen, possiamo però riconoscerci agevolmente nella violenza esplicita e balorda che travolge l’esistenza e a volte la stessa vita di tante giovani e meno giovani donne, che si innamorano della persona “sbagliata”. Come accade alla protagonista de I giudizi sospesi.
Come in Franzen, con Dai Prà possiamo immedesimarci nella violenza sottile dei rapporti familiari, pervasi da silenzi e rigidi ruoli, che nascondono sotto il classico tappeto tutti i nodi che andrebbero individuati e sciolti. Cosa lega così fortemente Mauro e Angela, genitori di Perla-la-perla, e ne fa la coppia più invidiata della città di provincia in cui vivono? E cosa manca alla relazione per permettere loro di rimanere uniti di fronte al tremendo dolore della caduta verticale della figlia? Di circoscrivere, contenere, confinare quella terribile onda d’urto del mostro che porterà la figlia, che tutti e due li rappresenta nella loro perfezione di coppia, a distruggersi, a dissolversi, a scomparire prima dalla loro vita e poi dalla scena?

Lui, Mauro Giovannetti, «quel professore che pure voi avete nella memoria, quella creatura incredibile che si annida in ogni scuola che si rispetti»: bello come un attore, popolare come una star, lo chiamano alle occupazioni per parlare del Che, lo corteggiano esplicitamente le studenti, lo cercano i genitori nei giorni di ricevimento, magari per bere le sue osservazioni acute sull’alienazione nella società moderna. Lo riconoscete «dai completi frusti di tweed spruzzati di forfora»; perché insegna la filosofia in modo così speciale che vi spinge a leggere libri che non capite; perché vi convince a fare volontariato con i disabili – voi che aspiravate ad una esperienza d’arte. Come ha fatto Angela, la moglie, che ha accantonato quel desiderio per insegnarla alle medie, l’educazione artistica, dedicandosi per lo più alla famiglia. Lei che sorvola sulle ragazze che la sbeffeggiano per strada: «“Un’altra che si era presa una cotta per papà”, aveva detto la mamma, stringendosi nelle spalle: e ancora oggi mi stupisce constatare quanto riuscisse ad essere generosa, a rifiutare la competizione femminile e la cattiveria gratuita».

Ho fatto parlare, nei corsivi qua sopra, Felix, fratello di Perla-la-perla e figlio minore della coppia che il mondo invidia, ammirata dal gran lavoro che Silvia Dai Prà fa sui personaggi maschili, sulle loro voci: a partire da lui, personaggio che narra la storia, dal 1998 al 2023, dai suoi quindici anni ai quaranta. Riuscire a parlare così bene con la voce di un uomo non è così facile; tanto più se si mantiene, come fa Dai Prà, costante e tesa la corda dello sguardo di una donna, di una scrittrice. E le protagoniste hanno il modo di insinuarsi, modificare il quadro, indicare il cambiamento. Da Angela alla zia Toni, da lei alla figlia Ines, forse la vendicatrice, di sicuro colei che ha più sofferto di non sapere: «Eravamo tutti andati avanti, senza capire che quel silenzio, quello che aveva protetto noi adulti, in un corpo giovane si sarebbe comportato diversamente: l’avrebbe aggredito, devastato, come uno di quei tumori rari che colpiscono i ragazzi».

Cresce, Felix, nel dolore e nella rabbia della famiglia che implode e che sempre più lo ignora; cresce passando da un’ostentata indifferenza verso il destino della sorella a una comprensione sempre più profonda verso Perla, fino a mostrare per lei (senza mai confessarlo del tutto) una sua forma di amore: «Eppure, quella sera, non esitai ad andarci – speravo che vedere la vecchia casa, l’espropriazione portata in atto, facesse parlare Perla: e parlare di ciò che volevo io, ossia dei suoi capelli così morbidi, e di quel vestitino nuovo, e del rimmel che aveva sulle ciglia, e se pensava che la sua vita valesse così poco da gettarla via (…) parlare del fatto che, fino a un certo punto, e con uno sforzo mostruoso, io ero pure riuscito a capirla, perché era stata una bambina sotto pressione che non vedeva l’ora di buttare all’aria la vita che le stavano preparando; perché era inciampata in un professionista (…) l’unico pilastro che teneva in piedi la sua vita era diventato lui, il suo veleno il suo cancro – ma adesso?». Adesso che Perla, pure sconciata come un panno strizzato in lavatrice da una centrifuga troppo forte, ha ritrovato se stessa e i suoi affetti?

Si, un professionista. Che come tutti i professionisti, lavora in serie: «eccolo lì, il Tocci: un uomo che, rispetto a quando lo avevo incontrato, rinsecchito e sciupato, una decina di anni prima, era tornato bello, un quarantenne a metà fra il dandy e l’austroungarico che invecchia senza invecchiarsi e che, con quel leggero baffetto sul labbro superiore, ricordava un po’ John Steiner quando faceva il Chiodo in Roma violenta – eccolo lì, il Tocci, e rifiorire grazie al nutrimento di una nuova creatura che avrebbe masticato, assimilato, e poi sputato via una volta ridotta a una scorza, eccolo lì, a ricordarmi che le favole non esistono, e i cattivi non vengono puniti, e la vita che spetta ai Mostri è qualitativamente superiore a quella che aspetta le nostre Eroine dal cuore candido».

Silvia Dai Prà, I giudizi sospesi, Mondadori, 2022

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Nadia Tarantini

Nadia Tarantini Scrittrice e giornalista. Esploratrice di molti mestieri, sin da giovanissima ha cercato la scrittura in molti luoghi, dalla vendita rateale di libri, al giornalismo e infine all’insegnamento… della scrittura, sia privatamente (“Le vie dei Cinque Sensi”) che nelle università. Solo nel 2017, a 71 anni, dopo una decina di altri libri, ha pubblicato il suo primo romanzo, “Quando nascesti tu, stella lucente” (L’Iguana), storia ambientata nel lontano 2346. Con Iacobelli, nel 2011, ha ripubblicato “Il risveglio del corpo. Dai sintomi alle emozioni l’arte della salute”, romanzo-saggio uscito nel 1996 presso La Tartaruga, che ha avuto quattro edizioni. A fine maggio 2019 il suo secondo romanzo, “Amore Inquieto”, nei Leggendari di Iacobelli. È vissuta fuggendo e cercando le storie dentro di sé e ha combattuto furiosi dubbi sul proprio valore attraverso la relazione con altre donne. La rivista Leggendaria e la Sil sono stati i luoghi privilegiati della sua “autorizzazione alla scrittura”.

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