IL MIO LIBRO – GIULIA CAMINITO

Giulia Caminito, 17 luglio 2022

Come hai fatto a pubblicare il tuo primo libro? In che modo e in quale occasione?
Un progetto per scoprire come tante autrici siano riuscite a dare alle stampe il proprio primo libro.

VUOI SAPERNE DI PIÙ SUL PROGETTO? Come è arrivata ciascuna autrice alla stampa del primo romanzo, dei primi racconti Trovare un editore è stato un’impresa? Il successo è stato immediato o faticoso? L’intento è mettere a fuoco il percorso delle scrittrici dal punto di vista più in ombra del processo creativo. Questa la domanda che un giorno di parecchi anni fa Roberta Mazzanti, Silvia Neonato, Liliana Rampello e Bia Sarasini (che purtroppo non c’è più) decisero di rivolgere a scrittrici italiane o che scrivono in italiano per raccoglierle nell’archivio della Società italiana delle Letterate sotto al titolo “Il mio primo libro”.
I testi raccolti sono tutti inediti e l’idea è quella di confrontare non soltanto le esperienze personali ma anche le vie d’accesso e di presenza sulla scena editoriale delle autrici; tra le prime a rispondere al nostro invito Sereni e poi Grazia Livi, Lidia Ravera, Camilla Salvago Raggi, Elvira Dones… Prestissimo leggerete gli inediti di Bianca Pitzorno, Loredana Lipperini, Lia Levi, Chiara Mezzalama, Maria Rosa Cutrufelli, Elvira Mujčić, Sandra Petrignani, Chiara Valerio, Giulia Caminito, Beatrice Masini e tante, tante altre.

Tutti verranno pubblicati prima sul Letterate Magazine della Sil e poi raccolti nell’archivio e, chi sa, in un libro (vedi on line nel sito della Sil quelli raccolti alla voce “Il mio primo libro”). Creare un archivio significa mettere a disposizione una memoria dei percorsi, delle opportunità, degli ostacoli, degli incontri, della determinazione che hanno portato donne di talento a trasformare la propria passione per la scrittura in quell’amato e sognato oggetto concreto, un libro che si può aprire e leggere.

Tra gli scritti più preziosi c’è quello di Clara Sereni, perché se n’è andata nel 2018. Scrive di come riuscì a pubblicare nel 1974 il suo primo libro, “Sigma Epsilon”, un romanzo fantascientifico, la cui protagonista è una giovane sessantottina che le assomiglia molto. Proprio ora lo ha ripubblicato (era introvabile) la casa editrice Ali&no. Chi ama Clara Sereni potrà dunque aggiungere due tasselli alla sua conoscenza: il nostro testo e il romanzo ripubblicato e recensito per LM da Paola Èlia Cimatti. È un testo in cui narrava – come nel suo ultimo memoir, “Via Ripetta 155” uscito nel 2015 – l’impegno politico della sua generazione.

Silvia Neonato, direttrice di LM, è la curatrice del progetto, alla cui realizzazione partecipano Roberta Mazzanti (editor), Anna Maria Crispino (direttora di Leggendaria), Viola Lo Moro (poeta, socia della libreria delle donne Tuba a Roma), la presidente della Sil Elvira Federici, Maristella Lippolis (scrittrice), Gabriella Musetti (editrice e poeta). Molte altre stanno collaborando tra cui Clotilde Barbarulli e Luisa Ricaldone.

Silvia Neonato


 

Era la sera del mio compleanno, era giugno ed ero a San Lorenzo a Roma in un locale, a mezzanotte mi arriva una telefonata per gli auguri da Donatella Minuto, editor allora della casa editrice Giunti, e mi dice che ha letto la prima stesura di “La Grande A” – che allora si chiamava ancora “Sharab” – e le è piaciuta, pensa vada pubblicata. Mi ricordo di aver guardato le mura aureliane e poi l’asfalto nerissimo, sentivo la musica uscire a tratti dal locale mentre qualcuno entrava e usciva, c’erano i sanpietrini e c’era il cielo su Roma, ma non si vedeva niente, era buio e io ero diventata più vecchia di un anno e la mia vita stava cambiando, aveva appena fatto click, si era accesa. Chiudo la chiamata e sento le guance rosse e la fronte sudata, metà giugno diventa appiccicoso anche la notte e i palazzi a San Lorenzo non fanno passare l’aria che si stende sulla città arrivando dal mare.

Prima di quella risposta, Roberta Mazzanti, a cui devo tantissimo, mi aveva letta, dedicando tempo ai miei precedenti tentativi zoppicanti: racconti sbilenchi e senza fuoco, accenni di romanzi che giravano a vuoto. Il suo incoraggiamento a provare a scrivere invece la storia della mia famiglia mi aveva sostenuta fino a quella notte, il suo affetto e il suo sguardo affilato da donna che sa fare i libri avevano già permesso a quelle pagine di essere altro e non più solo i file disordinati nel mio pc.

Alla fine della prima stesura ho fatto leggere il manoscritto anche a Sandro Triulzi, esperto di Colonialismo italiano, per capire se il libro era troppo fantasioso – riempito da immagini tutte mie, da nipote che in Africa non è mai stata – e lui mi ha aiutata a sistemare alcuni passaggi e anche a trovare il titolo del romanzo, lasciando alle spalle quel “Sharab” che alla casa editrice risultava troppo incomprensibile. Sharab è una parola che non esiste, in verità, inventata da mia nonna, la usa per far star zitto chi sta facendo baccano, chi la disturba, è un miscuglio di italiano, inglese e amarico, tra la minaccia e lo scherno. Sharab mia nonna lo diceva sempre a suo marito, se borbottava troppo, se si allungava nei racconti. Una parola di lessico famigliare e segreto, che si portava dietro gli strati linguistici della mia famiglia senza patria: un po’ milanese, un po’ romana, un po’ genovese, un po’ asmarina, un po’ etiope, un po’ sul Mar Rosso e un po’ sul Mediterraneo. È stato Sandro, mentre eravamo con sua moglie Paola in terrazza nella loro casa romana, a proporre “La Grande A”, il modo in cui la protagonista Giadina chiama l’Africa, dove la madre è scappata prima della guerra, lasciandosi alle spalle la famiglia intera, lei compresa.

Uscita da casa di Sandro ricordo di essermi girata e rigirata sulla lingua il nuovo titolo: funzionava ed era un titolo aperto, comprensibile ma da riempire con la storia per riuscire a essere capito fino in fondo. “La Grande A” è l’unico titolo che non ho scelto io per i miei romanzi, da quella volta sono sempre partita dal titolo ancora prima di scrivere. Camminando per via Giulia non sapevo però che il viaggio di quel manoscritto era solo all’inizio: le cose in casa editrice stavano cambiando e presto sarebbe arrivato un nuovo direttore editoriale.

Proprio nell’anno in cui era stata immaginata l’uscita del mio libro, infatti, da Mondadori se ne andò Antonio Franchini approdando in casa Giunti. Antonio lesse il mio manoscritto e mi telefonò dicendomi cosa gli era piaciuto e cosa no, cosa andava sistemato, su cosa ancora dovevo lavorare. Ricordo il mio primo incontro con lui a casa di Donatella Minuto in zona Monti a Roma, una casa che poi mi diventò sempre più familiare come il ristorante da Valentino dove io e Donatella ritualmente andavamo a mangiare scegliendo qualche tavolo negli angoli. Ma non lo sapevo quel giorno e non sapevo che stavo per incontrare una delle persone più importanti della mia vita da autrice. Antonio mi diede la bozza del mio libro dove lui aveva fatto una serie di segni rossi, di punti interrogativi e piccoli commenti e io mi sentii subito sopraffatta: come avrei fatto a lavorare al manoscritto, cosa dovevo sistemare e come. Ero spaventata e non capivo ancora molto di editoria, editor, scrittori, bozze, stampa.

Presi quelle pagine stampate da Antonio, con i suoi segni rossi e tornai a casa scossa, angosciata. Poi però, grazie all’aiuto di Donatella, mi misi al lavoro, tagliai, spostati, rimisi in sesto, lavorai al manoscritto senza sosta, il mio obiettivo non era più che il libro piacesse al pubblico, il mio nuovo obiettivo era che Antonio fosse orgoglioso di me. “Spero tu sia contento di quello che sto scrivendo” gli avrei detto ogni anno, a ogni nuovo libro. Non credo ci sia una spiegazione razionale per come certi rapporti di fiducia funzionino, semplicemente capitano e semplicemente rimangono. Quando io e Antonio ci incontrammo in un ristorante a Firenze, davanti a un piatto di carne fumante, lui mi mostrò le possibili copertine del libro, le aveva stampate per farmi vedere come sarebbero venute. Io avevo perso da poco la mia migliore amica, ed ero incapace di collegare quella perdita alla mia esistenza, al mondo rimasto senza di lei. Antonio tenne per ultima la copertina che poi – ridisegnata da Claudia Palmarucci – sarebbe diventata quella ufficiale di “La Grande A”, e io scoppiai a piangere, come se l’avessi riconosciuta, avessi sentito una scossa dall’osso sacro alla nuca.

Qualche settimana dopo andai in casa editrice sempre a Firenze e chiesi ad Antonio se si poteva fare più piccolo il mio nome in copertina, ero una signora sconosciuta e volevo che il titolo risaltasse, lui mi guardò quasi fossi un’aliena e poi disse va bene, facciamo il nome più piccolo, forse gli venne da sorridere.

Alcuni mi hanno chiesto negli anni come mi trovassi con Antonio nel lavorare ai miei libri e se lui fosse rimasto sempre implicato nei contenuti di quello che scrivo e la risposta è sì, a ogni libro Antonio legge e mi mette in riga, mi dice tutto quello che non lo ha convinto e non ha alcuna paura di dirmelo, sa che può e deve farlo, perché ogni volta io torno quella ragazza con il suo manoscritto segnato di rosso tra le mani, mi angoscio, mi agito e poi mi metto a lavorare.

Pochi mesi fa io e Antonio abbiamo parlato al telefono della ripubblicazione in tascabile di “La Grande A” ed è stato come un cerchio che si è chiuso, un percorso intenso, emotivo, familiare che ha legato me, la mia famiglia, la nostra memoria, con la casa editrice e chi ha pensato che valesse la pena fidarsi della mia scrittura. Le cose sono certamente cambiate da quei giorni ma sono anche rimaste le stesse e se potessi tornare indietro, alla mezzanotte di quel compleanno, ripeterei gli stessi gesti, piangerei le stesse lacrime, mi sentirei perduta alla stessa maniera, cambierei di nuovo il titolo, guarderei le copertine scorrere nelle mani di Antonio, siederei sul divano di Donatella o nel giardino di Roberta, tutto per me dovrebbe accadere uguale, niente vorrei che venisse riscritto, corretto a penna rossa.

 

Foto (c) Musacchio, Ianniello, Pasqualini & Fucilla/MIP

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Redazione LM

Scritture, politiche, culture delle donne. E non solo. Alla ricerca di parole, linguaggi, narrazioni che interpretino e raccontino cambiamenti e spostamenti in corso. Nello scambio tra lettrici, autrici e autori – e personagge. REDAZIONE: Silvia Neonato (direttrice), Giulia Caminito, Laura Marzi, Loredana Magazzeni, Gisella Modica, Gabriella Musetti, Sarah Perruccio
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