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Claudia, l’insegnante nata sul Delta del Po e Marta, l’allieva cresciuta tra i monti trentini, si scrivono e affrontano tematiche scottanti, la libertà, la politica, la religione, la tradizione e le scelte imposte dal contesto sociale che si vorrebbe modificare. “Ci darà un nome il tempo”, nuovo romanzo di Saveria Chemotti

Di Elianda Cazzorla

Ho appena finito “Ci darà un nome il tempo” e mi tuffo. Una bracciata e poi un’altra e ripenso all’ultima parola che chiude il romanzo di Saveria Chemotti: Tana. Perché l’autrice conclude così il romanzo? Vuole lasciarti sospesa, con una parola che è infanzia, gioco, sorriso, dopo averti coinvolta in una storia per nulla leggera. Respiro, mi sistemo meglio gli occhialini e continuo a nuotare. Vedo Claudia e Marta, le due coprotagoniste del romanzo, che corrono una verso l’altra. Perché Tana? Scorgo un riccio di mare nel fondo. Risalgo sullo scoglio, guardo l’azzurrità dall’alto; il mare per me è tana, mi siedo sulla sdraio, il libro tra le mani; con l’indice destro traccio il perimetro delle due donne disegnate in copertina; loro intrecciano le dita nel gioco dell’elastico. Perfette per dare una risposta a Tana e al riccio nel fondo del mare.
“Ci darà un nome il tempo” è un riccio con cinque raggi di stella, cinque passi che portano a Tana.
Nel primo passo Marta cresce sotto i nostri occhi, tirata su da Quirino e Olga, nella borgata situata a metà costa del Bordone, il versante che guarda verso il lago di Garda. Il padre la rimprovera:

«Sei peggio di un animale selvatico, non ti rassegni a un recinto. Salti sempre la palizzata per correre in libertà. Poi, però, non ti basta una sola libertà. Ti costruisci speranze, sogni, desideri, ma anche delusioni, grane, polemiche, senza soste. Finirai per sbattere le corna contro un muro e noi non saremo più lì a soccorrerti».

Per darci il sapore di quella terra, l’autrice inserisce alcune espressioni nel dialetto trentino. Così Olga è gudaza, madrina, donna legata alla partoriente nel mettere al mondo una creatura sporca “di muco e di sangue”. Un popo o una popa tirerà fuori dal corpo di donna che a lei si affida nel riprodurre l’atavico rito del soccorso femminile. Marta ha l’esuberanza, l’energia, l’entusiasmo di chi non si ferma davanti a nulla; s’infervora nelle riunioni pubbliche per difendere il suo pensiero; l’unica è tapparle la bocca con gli sgranoi del zaldo (i torsoli del granturco) per prendere la parola. E Quirino, il padre che ama la figlia senza riuscire a capirne i bisogni di ricerca, l’ansia di raggiungere l’Everest anche spellandosi le piante dei piedi, e non s’accontenta mai, Quirino, burbero e ironico, tutto il giorno pestola in attesa che arrivi la corriera, avanti e indietro dalla vigna per verificare se la figlia è ritornata.
“Ci darà un nome il tempo” è un riccio con cinque raggi di stella. Cinque passi che portano a Tana. Nel secondo passo Claudia che è figlia del Delta del Po, di Porto Viro, ama la fumara, «una foschia misteriosa, che con il suo grigiore cancellava forme, colori, il profilo e le verdi trasparenze delle rive, ma era anche una percezione interiore, un senso di smarrimento che incantava perché sfumava gli orizzonti e, poi, li ridisegnava più luminosi» (pag. 55). Claudia odia la nebbia di Padova in cui è costretta a vivere per insegnare in università. Tra quei banchi c’è Marta.

“Ci darà un nome il tempo” è un riccio con cinque raggi di stella. Cinque passi che portano a Tana. Le poesie in apertura di ogni passo, tutte di Mariangela Gualtieri, ci danno lo spiraglio di luce e anche il travaglio. Nei tre passi che completano la stella si compone il confronto tra le due donne nella ricerca di risposte.

Se un vento adesso
Porta ombre cattive
Parole di turbamento
Tu cancella l’arsura
Dammi da mangiare
Dalla tua voce

“Ci darà un nome il tempo” ha il mare dentro dei sentimenti autentici, con i ricci viola che brillano sott’acqua e i ricci rossi con l’aranciato nascosto. Man mano che la lama delle forbici procede La Lanterna di Aristotele dà luce a Claudia e Marta. Dalla primigenia relazione, di tipo impari, tra docente e discepola, nasce il confronto vis a vis per e-mail sui temi essenziali del vivere e del sentire. Pagina dopo pagina entriamo nel mutarsi di Marta e di Claudia; Marta cambierà nome per essere altro nel mondo e Claudia, da severa prof dotata di rigida corazza, ritroverà se stessa accettando il dolore della tragedia che l’ha piallata. Tra allontanamenti e avvicinamenti, nella fisarmonica dello scambio epistolare, le due donne sono:

«Sommozzatrici (…) capaci di risalire dal fondo. Noi non ci perdiamo in gurgite vasto. Ci rispecchiamo per riconoscerci». (pag. 183)

“Ci darà un nome il tempo” ha il mare dentro come spazio delle possibilità di pensiero e di riflessione che non è vasto gorgo in cui perdersi, è la ricerca di un nome da dare alle proprie incertezze nel conforto di un rapporto d’amicizia profondo su un tema tra tutti dominante: credere o non credere in Dio. I passi di Claudia e Marta divergono, convergono e divergono, mai le due donne hanno orme coincidenti sulla sabbia. Ognuna cerca di rafforzare la sua identità e dar valore al suo nome. E «se capita che i giorni si accavallino inerti uno sull’altro, dentro un orizzonte sempre più instabile» (pag.68), ognuna di loro cercherà soluzioni oltre qualsiasi mediocrità. Claudia e Marta sono eroine dei nostri giorni, lontane dal mondo che dà visibilità a chi si nutre di social; cercano risposte nel silenzio spesso tormentato.

Saveria Chemotti, “Ci darà un nome il tempo”, Iacobelli, 2022

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Elianda Cazzorla

Elianda Cazzorla è nata a Bari. Vive a Padova. È pubblicista dal 2000. Laureata in Filosofia del linguaggio, ha insegnato a lungo con passione, convinta che si impari per tutta la vita. Scrive, legge, ascolta. Si occupa di scritture delle donne, memoria e pratiche femministe. Fa parte del direttivo della SIL, della redazione di Leggendaria e della newsletter della Casa delle donne di Padova. È nel blog collettivo Carte sensibili e Sentieri di carte sensibili. Collabora in progetti culturali attenti alla differenza e alla relazione. Ha pubblicato con Iacobelli: una raccolta di racconti e due romanzi: “Isolina, un martedì”, “Tela di taranta” e “Lilith e Lola”. È convinta che leggere sia un modo per costruire mondi e disfarne altri, scrivere, un esercizio di attenzione e di libertà.

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