È da poco uscito, per la cura di Paola Bono e Marina Vitale, il volume VII delle opere di Caryl Churchill, un’autrice teatrale che si potrebbe definire una istituzione se il termine non stridesse così tanto a leggerlo a fianco al suo nome. Non c’è autrice infatti meno omologata, meno inquadrabile di lei che, nonostante un successo senza tema di smentita, non è mai stata assorbita dal mainstream. Caryl inizia a farsi conoscere 50 anni fa, con lo spettacolo “Owners”. Il debutto avviene al Royal Court Theatre, luogo riconosciuto come palestra e tempio dei nuovi talenti della drammaturgia contemporanea, allora come oggi; eccezionale esempio di come riconoscere e sostenere nel tempo voci capaci di dire qualcosa sul nostro presente.
Churchill è rimasta legata per tutta la sua carriera a questo teatro londinese, affidandogli quasi tutte le première. E sono state molte data la sua produzione vastissima e sempre sperimentale. È riconosciuta come una maestra della struttura drammaturgica che ha saputo reinventare in ciascun testo. Come nota la studiosa e performer Ilenia Caleo nella sua introduzione a “Occhi Bellissimi” (Beautiful Eyes, 2017): «Nessuna/o vive sola nei testi di Churchill – per questo è anche impossibile costruire attorialmente la linearità individuale del singolo personaggio, come di tradizione. Ciascuna/o è preso piuttosto dal groviglio di relazioni, nell’insieme, nella partitura collettiva: le parole infatti non appartengono a chi le pronuncia, possono essere frammentate, ripetute, passare di bocca in bocca».
Marina Vitale, introducendo “Piccolo Diavolo” (Imp, 2019) sostiene inoltre che: «Questa spersonalizzazione […] nel complesso dell’opera di Churchill ha anche una funzione brechtianamente tesa a scoraggiare l’immedesimazione del pubblico con una vicenda fittizia, favorendo invece la riflessione su comportamenti e caratteristiche storicamente connotati».
Il teatro di Churchill è sempre- esplicitamente o implicitamente – politico. Può esserlo nel mettere in scena i rapporti di potere all’interno del nucleo familiare come nel mettere apertamente a tema la guerra in Palestina, come fa nel recente “Guerra e Pace- pièce per Gaza” (War and Peace Gaza Piece) contenuto in teatro VII, o in “Sette bambine ebree”(Seven Jewish Children, 2009), testo che può essere messo in scena gratuitamente senza pagare i diritti all’autrice a patto che si faccia una donazione per Gaza.
Molto spesso Churchill ambienta le sue pièce in periodi storici lontanissimi, portando alla luce così quel filo che definisce i rapporti di potere, in modo sostanzialmente immutato attraverso i secoli. Dibattiti contemporanei trovano posto in periodi storici apparentemente impropri eppure no – ci si rende conto – le parole del testo fanno affiorare problemi sempre esistiti, che sia l’oppressione sessuale, di genere, di classe, dell’umanità sulla natura, dei forti sui deboli. Le parole, e la costruzione delle frasi pronunciate, con la loro apparente semplicità sarebbero fuori posto in una ricostruzione storica ma sono assolutamente nel loro elemento a teatro. Ogni stortura insomma è assolutamente giusta perché attiva il pubblico, ricordandogli dove si trova e quali siano le regole del gioco.
Un gioco che resta intatto anche alla lettura, come sottolinea il regista Luigi de Angelis (di Fanny & Alexander) quando dichiara che leggendo e rileggendo ossessivamente “Potete comprare i biglietti” (Tickets Are Now On Sale, 2015) si è: «sentito intossicato, anzi ho compreso che quello che all’inizio mi sembrava un gioco drammaturgico mentale, metteva a nudo in realtà dei meccanismi di generazione linguistica e immaginale profonda, tipici del nostro tempo, che incidono sulla nostra lingua, sul nostro quotidiano, sul nostro essere […]». Per De Angelis, in conclusione, «portare il suo messaggio politico tramite e oltre il suo gorgo nero» è forse il compito che la drammaturga attribuisce al teatro.
L’apporto critico al volume permette di approfondire i ragionamenti attorno a stile, linguaggio, temi e risonanza dei lavori di Churchill, attraverso lo sguardo di studiose/i di teatro e non, performer, registi, psicoanaliste, proponendo quindi una varietà di prospettive. Varietà che rispecchia anche la selezione dei lavori presenti nel volume, scelti in questo caso per raccontare il periodo più recente della produzione di Churchill. Si tratta perlopiù di testi brevissimi (anche sole tre pagine), spiazzanti, che interrogano impietosamente l’oggi. Lo fanno in vari modi, ad esempio, come Massimo Fusillo evidenzia nella sua introduzione a “Uccidi” (Kill, 2019), privando il mito di senso e riducendolo ad una sequela di azioni violente fatte in nome di divinità pronte ad ammettere per prime di non esistere. Lo fanno immaginando Barbablù, femminicida odierno, mostro dei nostri giorni – o forse no? tanto è acculturato, raffinato, pieno di amici.
Anche oggi le notizie spesso ci vogliono stupite e stupiti di fronte alla non aderenza dell’omicida all’immagine del mostro. Come nota Sara De Simone, nella sua riflessione su “Gli amici di Barbablù” (Bluebeard, 2019) una qualità perturbante caratterizza questo lavoro e l’amicizia che lega le figure appena abbozzate degli amici i quali, recalcitranti, cercano di definire il loro legame con l’affascinante assassino mantenendo per sé un senso di innocenza. E in quello spazio di attrazione e disgusto si interrogano i personaggi ma anche chi legge: quali sono le nostre complicità negli atti violenti che ci accadono attorno, quanto il loro potere di attrazione su di noi, ne profittiamo forse in qualche modo?
Kill e Bluebeard sono stati presentati assieme a Imp (Piccolo Diavolo) e Glass (Vetro), qui introdotto dalla psicoanalista Maria Laura Bergamaschi dove la fragilità di una ragazza letteralmente di vetro si presenta al mondo con tale tagliente evidenza da non poter essere ignorata (qualunque siano le conseguenze). Chiude la raccolta “E se, se solo” (What If If Only, 2021) testo ancora una volta breve ma che si discosta dagli altri per tema e toni: al centro una persona – di genere, età, classe, provenienza non specificata – e il suo rammarico per un futuro ormai impossibile con una persona amata.
In Italia il lavoro di Churchill ha ormai trovato un suo spazio grazie alla cura di Paola Bono la quale dal 2014, anno di pubblicazione di “Teatro I”, si è occupata di tradurre molti dei testi dell’autrice britannica e di studiare e divulgare il suo lavoro insieme a una comunità di attori e attrici, studiosə, registə. Lavoro di studio e sperimentazione nato qualche anno prima al Teatro Valle Occupato con due lavori condotti dalla stessa Bono, Marta Gilmore e Alex Guerra.
La casa, in Italia, dei lavori di Churchill è stata poi spesso il teatro Angelo Mai di Roma, che firma con Paola Bono il progetto Caryl Churchill “Non Normale/Non rassicurante”. Le registe che più spesso si sono occupate di lei sono la già citata Marta Gilmour con Isola Teatro, Lisa Ferlazzo Natoli con lacasadiargilla, Giorgina Pi che ha fatto parlare di sé e della compagnia Bluemotion per “Settimo Cielo” (Cloud Nine), candidato a due premi UBU.
Ma a sostenere il progetto Non normale, non rassicurante sono stati anche Fabrizio Arcuri/Accademia degli artefatti e numerosi altri registi (come Pierpaolo Sepe, Luca Mazzone e Lorenzo Loris) studiose/i come Margaret Rose, Sara Soncini, Serena Guarracino e numerosi altrə, comprese le molte voci che hanno firmato le otto introduzioni di questo ricchissimo volume. L’introduzione di Paola Bono a questo “Teatro VII” ripercorre tutta la vicenda editoriale della pubblicazione in italiano della drammaturga britannica per Editoria&Spettacolo e, grazie inoltre alla bibliografia, teatrografia, nota biografica e al resoconto del lungo viaggio di performance, studi e pubblicazioni convogliati nel progetto “Non Normale, Non Rassicurante” è possibile approfondire come pure iniziare a conoscere questa autrice fondamentale del nostro tempo e andare a ricercare, con l’aiuto di questa preziosa bussola, i lavori che più ci interessano.
Caryl Churchill, “Teatro VII”, a cura di Paola Bono e Marina Vitale, Editoria & Spettacolo, 2021
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Sarah Perruccio
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