Nel golfo dei Poeti

Elianda Cazzorla, 5 agosto 2023

Ero a caccia di belle vedute;

e ho visto alcuni milioni d’anni

sommarsi in un istante

 nel vento che modella ad arte

nella vertigine

la parete rocciosa

a strapiombo sul mare (…)

Valentino Zeichen

 

Due giorni nel golfo dei Poeti,  per sessanta individui partecipanti a un trekking, organizzato da Lega Ambiente, credo che possano definirsi indimenticabili non fosse altro per tutta quella luce e l’infinito blu che rimane negli occhi. Senza negare il verde nelle sfumature possibili delle foglie di leccio, di lentisco, di mirto, d’ulivo in una collina che sale ora nel bosco ombroso, ora tra i sassi sconnessi, ora tra gradini di scale scalpellate dal tempo e dall’uomo. Una sola certezza: più ti distanzi dal mare, più sali, più il mare si carica di blu di Prussia ed è calamita per il tuo sguardo.

Dimmi che hai nel fondo? Le bombe inesplose, i frammenti di quella che fu vita, rugginosa di sale, armi di più di una guerra feroce coperti d’alghe, guerra che, nei quarantasei forti, costruiti sulla costa e i promontori del golfo, vide uomini armati, indifesi, sorpresi, costretti a correre, rincorrersi, caricare gli obici per il rombo di morte.

Dimmi che hai nel fondo? I corpi degli schiavi con massi di marmo sulle spalle, dei guerrieri nella lotta per la supremazia delle repubbliche marinare, delle donne in attesa del veliero che non ritorna, e le loro mani molli di sarde da salare. Quanti sono precipitati dal dirupo, a Portovenere, lì dove svetta la Chiesa a strisce, di marmo bianco e nero? Dentro c’è San Pietro in bronzo che stringe le chiavi del Paradiso nella sinistra e con l’altra benedice. Tanti i visitatori che al passaggio toccano il ginocchio del santo, sussurrano una preghiera a mezze labbra, tutti con l’idea che il Paradiso in fondo sarebbe un bel posto dove vivere post. E intanto Venere, che dà il nome al porto, spodestata dal suo tempio, dai paleocristiani e dai cristiani, intanto Venere… chissà se anche lei non sia finita in quel blu di Prussia, che ci attira tanto.

Dimmi che hai nel fondo? Le urla dei naufraghi, che invocarono la vita e mai giunsero a terra. La voce di Piercy Bysshe Shelley? Il poeta romantico che annegò con la goletta Ariel, l’8 luglio del 1822, il giorno stesso della sua partenza da Livorno, colto da una tempesta d’acqua di cielo e di mare. Il ritorno, nella Casa Bianca con gli archi, Piercy Shelley non l’avrebbe mai fatto e Mery Shelley non l’immaginava. Nella Villa Magni a San Terenzo, che sulla soglia ha il mormorio del mare, “il fremito continuo come in un campo di grano” (dal diario di Virginia Woolf), dopo l’attesa e la speranza, entrò il dolore che distrusse “tutto ciò che poteva essere luminoso” nella vita dell’autrice di Frankenstein.

Quando il sole va a nanna, dal castello sulla collina il golfo è cielo e mare blu notte, la costa un arco intermittente di buio e di luce, la luna piena bellezza pura nel riflesso d’acqua, che lo scatto del cellulare non coglie. Sulla terrazza della costruzione neogotica di Andrea Fabbricotti, della prima metà del  Novecento, proprietà dei frati carmelitani, ritorna la domanda: dimmi che hai nel fondo? E succede qualcosa di inatteso, il punto interrogativo diventa àncora per il pensiero che sale dall’oscurità del mare, nei profumi del bosco, attraversa le merlature di cemento del castello, smussa ogni paura e risponde:

Sono un posto incantato, sospeso, nel mistero della vita, uno specchio per l’anima che ascolta.

La prima sera, padre Giustino, rettore del castello- monastero, nella grande sala da pranzo, nel vociare incessante di centocinquanta ospiti, ci dà il benvenuto, narra le caratteristiche del luogo, l’origine del nome, Monastero Santa Croce, e le informazioni per raggiungere un rudere con la porta sempre aperta, poco distante dal luogo in cui siamo. Così mi allontano in cerca di silenzio e dopo pochi passi mi ritrovo a seguire una staccionata, che delimita un sentiero in discesa. Vado a passo svelto, voglio vedere la Santa Croce del Corvo, il crocifisso tunicato del XI- XII secolo che è nel Conventino dove Dante bussò per essere ospitato, lì concluse il canto dell’Inferno e lo consegnò a un frate. Cammino e cammino, ma non vedo nessun rudere, arrivo fino al mare. C’è una barca verde che dondola in leggerezza con cinque giovani che si scambiano confidenze… e allora risalgo un po’ delusa lungo il sentiero. Dove sarà quel Cristo intagliato nell’olmo? Ad un tratto vedo in lontananza due macchie celesti, che diventano figure, si avvicinano, sono due suore con un sorriso smagliante: Chantal dal Togo e … dal Burkina. Chiedo loro dove sia il Cristo. Seguici mi dicono e ridono. Perché ridete? Andiamo al sepolcro come le tre donne, sarà risorto, per questo non lo trovi. E io rido con loro. Superiamo l’arco del Conventino, poi un breve spiazzo d’erba, sotto il portico a sinistra. Ecco, siamo sulla soglia di una porticina stretta e bassa che dà nella cappella. Ci assottigliamo, entriamo e: mio dio! Quanto sei grande Gesù! Dove poteva fuggire un Cristo così alto,  a occhio è quasi due volte la mia altezza, con un viso gigante… provo a immaginare come sia arrivato fin lì, chi l’abbia tirato su in quella cappella così piccina, se sia rimasto sempre lì o abbia anche lui girato di altare in altare. Chiedo alle suore. Hai visto che non ha i chiodi, mi dice Chantal, la tonaca lunga arriva sino ai piedi con i sandali. Hai visto la barba? È fatta di anelli uno che si specchia nell’altro. Quanta gente ha osservato quel Gesù che non ti abbandona con lo sguardo finché t’apposti e cerchi mani che l’hanno scalpellato… quegli occhi che paiono avere l’orbita chiara e si muovono dietro di te. Fa impressione sto’ Cristo con le braccia  tese sulla croce nelle maniche drappeggiate che sembrano pronte per abbracciarti! Davvero.

Dalla camera con vista, numero 54, mi fermo a guardare il sole che illumina il golfo, il blu di Prussia non c’è, quello è il blu che gira attorno all’isola di Palmaria con i suoi sentieri per capre che s’inerpicano, con i gabbiani che volteggiano in testa. Al mattino, da questa finestra, il mare è un azzurro che brilla come flauto d’argento nel suo andare d’onda tra le dita di una giovane donna. Struggente Concierto de Aranjuez con dodici chitarre, un flauto e il chitarrista solista, un gigante con le stesse mani grandi di quel Cristo. Davanti alle imposte spalancate sul mare provo a riprodurre a bocca chiusa la melodia. Per fortuna che i gabbiani non mi possono sentire… chissà che risate nell’alto dei cieli.

Se nella Baia Punta Secco dell’isola di Palmaria scopri che l’acqua può anche essere azzurro- verde, come gli occhi di un amore dei sedici anni, e ti tuffi e senti il corpo accaldato che rinasce, dopo l’escursione in collina, il corpo che reagisce all’acqua fredda e trova nuova energia, come non puoi non cantare in pullman con Cocciante: Celeste nostalgia.

Avevi ragione tu mia cara
La vita non dura mai una sera
Il tempo di una follia
Che breve, fugge via
E poi, cosa rimane dentro noi?
Questa celeste nostalgia
(…)

Perché lo senti arrivare quel sottile malessere del ritorno alle cose di ogni giorno e quello che hai vissuto non vorresti che finisse e allora… cambia canzone e canta ad alta voce, anzi a squarcia gola, con Vasco con tutte le altre che sono con te e con gli altri, canta:

E ogni volta che non c’entro
Ogni volta che non sono stato
Ogni volta che non guardo in faccia a niente
E ogni volta che dopo piango
Ogni volta che rimango
Con la testa tra le mani
E rimando tutto a domani

 

 

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Elianda Cazzorla

Elianda Cazzorla è nata a Bari. Vive a Padova. È giornalista. Laureata in Filosofia del linguaggio, già insegnante di Lingua e letteratura italiana, per ventitré anni nel liceo artistico di Padova. Con Giovanna Vignato e Guido Galesso ha curato l’antologia "Fabula" in 5 volumi, pubblicata nel 1999 da Bruno Mondadori. Dal 1980 fa parte del Giscel: Gruppo di intervento e studio nel campo dell’educazione linguistica. Tra gli ultimi saggi pubblicati nella ricerca linguistica: "Tra parole vuote e parole piene. La negoziabilità della preposizione nei testi in Grammatica a Scuola", Franco Angeli 2011. Ha pubblicato poesie e racconti in diverse riviste letterarie e contemporaneamente ha realizzato raccolte di poesie e racconti nei laboratori di Immagine e Scrittura con i suoi studenti, ultima "Nel mare di Odradec". Ha collaborato alla realizzazione di "Un anno di storie, un'agenda letteraria per il 2019 e il 2020," edito dalla Cleup, di Padova. "Isolina, un martedì" è il suo primo romanzo, pubblicato con la casa editrice Iacobelli, dicembre 2019. Dal 2015 collabora alla rivista online Cartesensibili con la rubrica: "Passaggi con figure" cartesensibili.wordpress.com

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