La parola alle quattro donne dello scrittore francese morto in un incidente d’auto a 47 anni. La moglie e madre dei suoi figli, l’amante “storica”, un’attrice mai davvero lasciata, la giovane pittrice e forse ultimo amore e infine la quarta, anche lei attrice. Elena Rui in “Vedove di Camus” mescola l’invenzione narrativa con lo studio approfondito di tutti i documenti, le interviste, i carteggi
Di Laura Marzi
Il genere della biografia romanzata, in particolare delle vite di autori e autrici, sta vivendo un momento di rigoglio in Italia negli ultimi anni. Il romanzo di Elena Rui Vedove di Camus edito da L’orma vi appartiene, ma solo in parte. Innanzitutto, Rui sceglie di raccontare un punto di vista peculiare, cioè quello di quattro protagoniste della vita di Albert Camus, scrittore francese di origini algerine, premio Nobel per la letteratura nel 1957.
Il romanzo si apre con la narrazione dello spaventoso incidente in cui l’autore perse la vita il 4 gennaio del 1960, insieme al suo editore Michel Gallimard, che non morirà sul colpo come Camus, ma qualche settimana dopo in ospedale. Le dinamiche di quello scontro mortale contro un albero non sono mai state stabilite con certezze: la causa potrebbe essere attribuita a un difetto di produzione della macchina o a un momento di stanchezza del conducente o allo scoppio di uno pneumatico. Poco importa, in quel momento uno degli scrittori più significativi del ‘900 europeo perse la vita a soli quarantasette anni, lasciando un’intera nazione nello sgomento e nel dolore e un romanzo inedito che verrà pubblicato solo nel 1994 col titolo Primo uomo.
Vedove di Camus, diviso in quattro parti più un epilogo, inizia con il punto di vista della moglie dello scrittore: Francine Faure, madre dei suoi due figli, i gemelli Catherine e Jean. Camus avrebbe dovuto rientrare a Parigi con la sua famiglia dopo le vacanze di Natale trascorse nella casa acquistata in Provenza con la vincita del Nobel. Invece, decise di rientrare con il suo editore, probabilmente per approfittare della possibilità di viaggiare su un’auto di lusso, una Facel Vega, che divenne la sua tomba.
Il metodo di Rui è interessante soprattutto perché, al netto della componente di invenzione narrativa, si basa su uno studio approfondito di tutti i documenti, le interviste, i carteggi, i testi pubblicati e quelli di archivio che riguardano le vicende di Camus e delle sue innamorate. Nel caso di Francine, però, a causa della sua riservatezza, le testimonianze su cui fare affidamento erano poche; quindi, la parte di invenzione prende il sopravvento. Rui descrive una donna consapevole di non essere l’unico né il principale amore di Camus, ma di avere un ruolo che solo lei ha, quello di moglie. Nella malinconia e nel dolore sincero con cui affronta la morte improvvisa dello scrittore, troviamo anche il racconto del lavoro faticoso con cui trascrive il manoscritto ritrovato nella macchina, nonché i taccuini che erano nella valigetta di Camus. È lei l’avente diritto, almeno fino alla morte, avvenuta nel 1979.
I documenti di cui Rui può avvalersi per costruire il punto di vista di Catherine Sellers sono molti di più e trovano spazio nel secondo capitolo dedicato a una delle amanti di Camus, l’attrice di teatro che soffriva di non essere considerata da Francine come una rivale e che trova però una sorta di pacificazione nell’amore con l’attore Pierre Tabard, che interpreterà il personaggio di Clémence nel riadattamento de La caduta: «è vertiginoso tutto quell’amore che rimbalza da una persona all’altra producendo più bellezza che gelosia».
La terza parte è dedicata al racconto di Mette Ivers, la pittrice giovane amante di Camus al momento della sua morte e che Rui immagina ormai anziana decidersi a condividere il racconto del tempo trascorso con quell’uomo che aveva amato molto e da cui si era sentita ricambiata, col quale aveva vissuto dei momenti indimenticabili che avevano anche costituito una garanzia di ispirazione per il suo lavoro. Infine, il quarto capitolo, racconta il punto di vista di colei che tutti consideravano «l’unica» amante di Camus, ma anche l’unica donna che lui avesse veramente amato, per un desiderio di ricondurre sempre le esperienze sentimentali a un dualismo che nel caso dello scrittore non si rivela affatto realistico. Maria Casarès, attrice teatrale di origini spagnole, aveva avuto una relazione con l’autore finita nel 1944 a causa della presenza di Francine e che poi era ripresa inesorabilmente per essere interrotta solo e parzialmente dalla morte di Camus. Rui è abilissima a tratteggiare la grandezza di una donna e di un’artista, ma anche la «reciproca tolleranza per disinnescare gli automatismi legati a un’idea convenzionale del mondo e degli esseri umani», quindi a descrivere un amore che non era esclusivo ma che è durato oltre la morte.
Il testo di Rui che, come detto, è un ibrido tra narrazione e biografia ha il pregio necessario di una scrittura curata e di essere portatore di una visione del mondo complessa, che riunisce quella delle protagoniste di questo libro e quella dell’autrice che sa scomparire e poi fare capolino al momento giusto.
Elena Rui, Vedove di Camus, L’orma editore, 2025
Laura Marzi
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