È il titolo del manuale di Sarah Ahmed, un testo ricco di aforismi e di consigli semiseri per sopravvivere se si è proprio questo tipo di persona. «Se esponi un problema, crei un problema; se crei un problema, diventi il problema», scrive Ahmed
Di Laura Marzi
Il manuale della femminista di Sarah Ahmed, è, come la studiosa stessa scrive, «una risorsa». Il testo è pensato infatti come un vero e proprio manuale di istruzioni per comprendere che cosa si intenda con il concetto di femminista guastafeste, ma anche per sopravvivere nel momento in cui ci è capitato in sorte di essere proprio questo tipo di persone.
Quello della femminista guastafeste è un concetto che Sarah Ahmed aveva già proposto in passato (leggi qui) e questo libro rappresenta allora una summa e un approfondimento di un’idea che racchiude in sé un modo di vivere e un progetto politico. Ahmed racconta di essere una femminista guastafeste da sempre, infatti ha ricordi lontani di lei seduta a tavola da bambina che si ribella allo status quo e rovina la cena a tutti gli altri, così come le capiterà quando sarà diventata più grande di rovinare le fotografie in cui si è rifiutata di sorridere, le feste in famiglia e anche il clima nel dipartimento universitario in cui insegnava. Docente, infatti, prima di Women Studies alla Lancaster University e poi di “Studi razziali e culturali” alla Goldsmith di Londra, Ahmed si è dimessa facendo molto rumore nel 2016, denunciando come l’ateneo britannico non stesse rispondendo con la dovuta serietà alle accuse di molestie sessuali ricevute dai professori. Del resto, la carriera universitaria non si attaglia con la vita di una femminista guastafeste, visto che Ahmed scrive: «ciò che ti farà far carriera all’interno del sistema, riproduce il sistema».
Il testo è ricco di questi aforismi, raccolti insieme in una sorta di appendice in cui si ritrovano sintetizzate le indicazioni contenute in questo manuale. In primo luogo, Ahmed ci insegna che a volte si diventa delle femministe guastafeste leggendo un libro, molto più spesso capita come una sorta di contagio attraverso un’altra donna: nel testo è infatti ribadito più volte quanto sia importante essere in relazione con le altre femministe guastafeste, soprattutto rispetto all’ambito della militanza politica. A tal proposito, riporta qui quali fossero le battaglie combattute dal movimento di liberazione delle donne negli anni ’70 e colpisce come, se è vero che se alcune questioni come quelle legate alla possibilità di accesso per le ragazze a determinate scuole o università sono state risolte, altre sono ancora al cuore del dibattito sociale: il diritto all’aborto, per esempio, la parità di salario e la ripartizione non equa del lavoro domestico e della cura dei familiari tra uomini e donne.
La femminista guastafeste di cui scrive Ahmed però, a differenza delle femministe occidentali del movimento negli anni ’70, è prima di tutto antirazzista e spesso è anche razzializzata: è vittima, quindi, di un sistema che cerca di emarginarla perché non è bianca e tende a minimizzare le problematiche che derivano dalla condizione di «straniera». E Ahmed scrive: «se esponi un problema, crei un problema; se crei un problema, diventi il problema». Si tratta di un aforisma davvero potente: basti pensare a tutte quelle volte che ci viene naturale esprimere una preoccupazione o una critica rispetto a una situazione che per noi è evidentemente discriminante. Il risultato che otteniamo spesso è di non essere capite, in questo modo il problema non viene risolto, ma addirittura veniamo identificate con la causa di quel disagio, che per gli altri neanche esisteva prima che noi lo nominassimo.
Del resto l’autrice di questo manuale è molto chiara e in diversi punti ribadisce che essere delle femministe guastafeste non conduce alla felicità, anzi. E che non solo bisogna accettare la condizione di rabbia costante che connota questo status, ma è bene anche tenere a mente che la femminista guastafeste, lo dice il nome stesso, viene identificata anche come la causa dell’infelicità altrui. Ahmed riporta l’immagine degli occhi alzati al cielo quando le persone sentono che di fronte a loro hanno una femminista.
La parte più interessante però di questa riflessione sul rapporto tra felicità e femminismo è quella in cui riflette su come nella società occidentale contemporanea la felicità abbia perso quell’aspetto di casualità che è contenuto nella sua etimologia e sia diventata qualcosa che bisogna guadagnarsi, come tutto il resto, come una bella casa, una vita sociale intensa, una carriera soddisfacente: «dobbiamo rifiutare di aspirare alla felicità, o rifiutare di essere modelli aspirazionali. Oppure potremmo fare qualcos’altro della felicità, rifiutarci di farne il nostro obbiettivo».
Sarah Ahmed, Il manuale della femminista guastafeste, con la traduzione di Michela Bando e feminoska, Fandango, 2024
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Laura Marzi

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