L’utopia è tutti i giorni

Amanda Rosso, 16 gennaio 2025

Tre ragazzi alla ricerca di un’amica scomparsa nella Madrid del 2014, una città attraversata da mobilitazioni, cortei e cariche della polizia. Nel suo secondo romanzo, “L’indignata”, Giuliana Zeppegno mescola sapientemente fatti reali e di fantasia, dipingendo un ritratto corale di una generazione che ha osato immaginare un’utopia realizzabile. L’abbiamo intervistata

Di Amanda Rosso

Madrid, 2014 nel cuore di una lunga stagione di mobilitazioni e repressione, Teresa scompare. Giulia, Andrés e David vanno alla ricerca dell’amica fra assemblee, manifestazioni e telefonate intercontinentali. Nella ricerca si troveranno a fare i conti con scelte passate, il personale e il politico, rimpianti e dubbi, ma anche con una comunità in fermento. Nel frattempo, ormai da tre anni, la Spagna è teatro di piccole e grandi rivoluzioni, utopie e mobilitazioni dal basso che prendono le forme della possibilità.
Ne L’Indignata (TerraRossa Edizioni) Giuliana Zeppegno esplora con una voce corale e incisiva gli anni caldi dal 2011 al 2014, in una Spagna falcidiata dall’austerità che ha saputo sovvertire lo sconforto e la paura per immaginare altri futuri possibili.

La mia prima domanda è, come nasce L’indignata? Qual è il suo percorso creativo, il suo viaggio fino alla pubblicazione? Come sei approdata a TerraRossa Edizioni?
L’indignata nasce nell’estate 2021. Dopo La luce che pioveva avevo molta voglia di continuare a scrivere e volevo cimentarmi con la fiction. Volevo anche provare a dare forma all’esperienza collettiva inebriante, formativa, carica di conseguenze e in qualche modo epica che era stata la protesta a Madrid negli anni 2011-2014.
Ho scritto forsennatamente per un anno. Poi per molti mesi ho bussato alle porte delle grandi case editrici, senza successo. A un certo punto ho mandato il manoscritto a Terrarossa, che conoscevo grazie a Giuseppe Girimonti Greco, e dopo una settimana mi è arrivata una proposta di pubblicazione. Sono molto grata all’editore, Giovanni Turi, per la fiducia accordata al romanzo e più in generale per la cura che mette in tutto quello che fa. TerraRossa Edizioni riesce davvero a essere un progetto culturale, oltre che economico, e questa è una cosa preziosissima, oggi più che mai.

Il romanzo si presenta come un giallo, la ricerca, da parte di tre personaggə, Giulia, Andrés e David, di Teresa, un’amica scomparsa. Ma è anche la narrazione di un momento storico e politico preciso, quello delle mobilitazioni in Spagna fra il 2011 e il 2014, un momento epocale di possibilità infinite, in cui in Europa era sembrato possibile un cambiamento di rado perfino immaginato…
È bello che tu dica questo. Non so se tuttɜ lo percepirono in questo modo. Io certamente sì, insieme a migliaia di altre persone che in Spagna riempirono le piazze e per anni portarono avanti alternative possibili dal basso, in una sorta di enorme laboratorio di immaginazione sociale che diede vita a reti di consumo, cooperative, monete sociali, sindacati, riviste, spazi occupati, gruppi di mutuo sostegno, assemblee per la casa, collettivi femministi, studenteschi, ecologisti, di pensionat*, di migranti e molto altro.
Questo insieme eterogeneo di mobilitazioni, denominato in Italia “movimento degli indignados” e noto in Spagna come 15M (“Quince eme”, dalla data 15 maggio 2011, giorno della manifestazione che diede il via all’occupazione della Puerta del Sol a Madrid), segna un prima e un dopo nella storia spagnola contemporanea, per le dimensioni del fenomeno, per la sua intensità e per le sue conseguenze. Tra queste: la nascita di partiti politici tuttora presenti nelle istituzioni, ma anche o soprattutto una diffusa e duratura politicizzazione della società, credo ancora percepibile. Il 15M fu una sorta di ’68 spagnolo, anche se più trasversale per età, classe e aspirazioni, con lotte più progressiste di salvaguardia del welfare fino a quelle più schiettamente rivoluzionarie. I personaggi di questo romanzo appartengono all’area libertaria del movimento, che è quella in cui mi sono mossa io.

Nell’esergo specifichi che lə personaggə sono inventatə, ma sono immersə in un contesto fortemente realistico e oserei dire auto-bio-grafico. Le vicende collettive sono in parte narrazioni della tua esperienza, e in parte di esperienze che tu hai raccolto. Trovo questa forma ibrida di romanzo una risorsa preziosa per la letteratura, perché ti consente di affrontare tematiche molto difficili, di portare istanze politiche forti all’interno di un romanzo che mantiene il suo aspetto letterario, la sua sperimentazione linguistica (come l’uso dello spagnolo), e la possibilità di prescindere da sé…
Non volevo scrivere un romanzo di auto-fiction, categoria interessante ma credo attualmente sovrarappresentata nel panorama culturale. Volevo dare vita a un testo corale e polifonico, mettendomi alla prova letterariamente. Per questo ho intrecciato avvenimenti reali (quelli collettivi) con avvenimenti inventati (la storia della ricerca di Teresa), come si fa nei romanzi storici. Che poi la parte inventata si nutra anche di mie esperienze personali e i personaggi si ispirino ad amici e amiche mieɜ, è qualcosa di comune in letteratura: ciò che conta è il patto narrativo, e il patto dice che la storia è inventata, mentre è vera la Storia.
Ultimamente noto una certa tendenza, in letteratura ma anche in TV, a vendere soggetti come “storie vere” modificandone però aspetti anche sostanziali per renderli più accattivanti. Questo in risposta alla “fame di realtà” che si riscontra, ma al contempo anche a un certo bisogno (reale o presunto) di intrattenimento. Come a dire: realtà, sì, ma una realtà-spettacolo un po’ più cool, che ci tenga incollatɜ alla pagina o allo schermo. Il dibattito in proposito sarebbe infinito. Vorrei solo dire che quando c’è un focus forte sulle vicende storiche (per esempio in un film biografico), alterarle in beneficio dello story-telling mi sembra dannoso da ogni punto di vista. Per questo nell’avvertenza iniziale ho specificato che cosa era reale nella mia storia e che cosa no. È una questione di rispetto verso i fatti e le persone che li hanno vissuti.

Trovo la tua scelta di una prospettiva corale, ma ugualmente personale, molto ben riuscita. Abbiamo la possibilità di seguire tre, e poi quattro personaggə diversi, e per ognunə hai scelto un modo diverso di narrare: la seconda persona per Giulia, la prima per Andrés, la terza per David (e una parte finale inaspettata che non anticiperò qui…). L’ho trovata efficace perché accompagna una narrazione corale, l’imprescindibile noi del collettivo, con la presenza dell’io, delle paure individuali, le incomprensioni e le ansie di chi porta un sé a volte ferito, traumatizzato e complesso in quel noi…
Il mio tentativo è proprio quello di far abbracciare tra loro la dimensione soggettiva e quella collettiva: “io” e “noi”. Farle esplodere, anche. Metterle l’una di fronte all’altra. Per questo la storia è corale ma è narrata adottando punti di vista interni. La prospettiva cerca di essere soggettiva e collettiva insieme, qualcosa che può apparire contradittorio… Il rapporto tra personale e politico è un tema su cui mi interrogo da anni, e sul quale non ho le idee affatto chiare. E proprio perché non le ho chiare, ci ho scritto un romanzo. Ho voluto regalare ai personaggi i miei dubbi e le mie contraddizioni.
Volevo anche che i fatti e gli stessi personaggi fossero visti da prospettive diverse. Che si illuminassero a vicenda in un incrocio di sguardi. Non solo Teresa, la cui figura prende forma nell’assenza, attraverso i ricordi dei suoi amici e amiche, ma tuttɜ loro. La mia scelta di adottare persone grammaticali diverse per le voci narranti è avvenuta in modo spontaneo. A posteriori, però, ho pensato che potesse dare al testo la “tridimensionalità” che volevo imprimergli.

Non lo nego, il romanzo mi ha molto turbata, e per tutte le ragioni giuste. Ho trovato finalmente una narrazione dell’attivismo e delle lotte dal basso che mi rispecchiava. Personaggə complessi, vulnerabili, fallibili, che mettono in discussione il loro percorso e le loro scelte, sempre in divenire. Mi è sembrato di percepire da parte tua una volontà di smontare la retorica superomistica dell’attivista infallibile e idealizzatə, per riconoscere l’aspetto umano e problematico, il portato traumatico del personale che si interseca alla vita politica.
Sono molto felice di quello che dici. L’immagine che ho voluto dare è quella dell’attivismo che ho vissuto io e che credo rispecchi la realtà più diffusa: quella di persone in carne ed ossa con i loro dubbi, i loro conflitti, i loro smarrimenti, i loro desideri. Fare qualcosa di diverso credo avrebbe dato forma a fantocci, non a personaggi. Sarebbe stato fallimentare dal punto di vista letterario, oltre che non aderente alla realtà. Poi naturalmente ci sono molti modi di essere e di stare, anche all’interno delle mobilitazioni. Molti motivi diversi per cui si è lì, a gridare lo stesso slogan. Esistono anche attivistɜ tuttɜ d’un pezzo!

Un aspetto particolarmente importante per me è quello delle relazioni intime, romantiche, platoniche e affettive che si creano all’interno di realtà di movimento come quelle che hai descritto nel romanzo. Le questioni di genere e di classe, ad esempio, che si manifestano nella relazione fra Giulia e David, in questo scambio molto importante che riporto qui:
«Quello che ho fatto è inaccettabile, lo vedo solo adesso. Anzi, miento, lo vedevo anche prima, ma non ero capace di fermarmi. So che è difficile da credere, ma non l’avevo mai fatto prima. Mai e poi mai mi sarei sognata di assillare qualcuno così tanto, per così tanto tempo.
Tranquilla tía, non è grave, è passato.
E invece è grave sì. Sai come si chiama quel che ho fatto? Si chiama acoso. Stalking, si chiama.
Adesso stai esagerando. Sei stata solo un po’ insistente.
Se fossi un uomo non ci sarebbe nessun dubbio sul nome da dare a questa cosa.
Ma sei una donna! Queste giravolte teoriche non mi sono mai piaciute, lo sai. Ma se ti fa sentire meglio… scuse accettate. Va bene così?
Sì, va bene».
Ecco, penso che tu abbia toccato un nodo centrale…
Nel passo che citi, David respinge l’auto-accusa di stalking di Giulia perché è un uomo imbevuto di femminismo, come altri personaggi del romanzo, e sa che la posizione di uomini e donne non è speculare. La sua visione si scontra con quella ancora sofferente di Giulia, la cui visione a sua volta si scontra con quella più semplice dell’amica Irene, eccetera. Le questioni di genere formano un discorso che ritorna a ondate in diversi punti del romanzo, nelle parole dei personaggi, nei loro pensieri, nelle loro ferite. Ma ovviamente si tratta di un discorso letterario, e pertanto aperto, problematico.
Sono contenta che tu metta l’accento sulle relazioni affettive, più o meno platoniche: i personaggi de L’indignata non sono figure che lottano in nome di ideali astratti, sacrificandosi a una causa staccata dalla loro vita quotidiana e dalla loro sfera emotiva. Sono persone come me e come tante che ho conosciuto, che vivono la lotta anche come un fatto amoroso, come partecipazione affettiva a una comunità, a una rete di rapporti spesso profondi. Il loro attivismo è attraversato dal desiderio e dall’amore, in tutte le sue forme. L’amicizia è centrale in questo romanzo, come lo è nella mia vita.

Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Al di là delle recriminazioni, trovo che questa fallimentare campagna elettorale abbia avuto almeno il pregio di mettere in luce, un’altra volta, le criticità insite nella democrazia rappresentativa pensata come una delega una tantum del potere politico. Come dice Andrés, «la tentazione originale: “Ecco il mio voto, adesso fate voi”». I nodi del romanzo sono molti, ma quello della responsabilità politica individuale e collettiva, pur nella sua imperfezione e nelle sue criticità, parla a un presente in cui la cabina elettorale si rivela sempre di più come uno spazio distopico e alieno, quasi parodistico…
È un’osservazione molto azzeccata. Il dibattito sul valore del voto e sui limiti o addirittura sulla perversità del modello democratico rappresentativo è complesso e io non ho competenze sufficienti per ricapitolarlo. In due punti del romanzo do conto della critica esistente in certi ambienti rispetto alla trasformazione istituzionale di una parte del movimento 15M, trasformazione che portò alla nascita di partiti politici nazionali e locali, e secondo alcune persone svuotò le piazze ancora più della repressione. Personalmente, non vedo conflitti tra il fatto di mettere una croce su una casella una volta ogni quattro anni e quello di partecipare alla vita comunitaria anche in altro modo. E credo che si viva meglio in un Paese, come la Spagna, in cui i partiti di sinistra hanno un peso istituzionale.
Detto questo, tutto quello che sta accadendo nel mondo ci mostra da una parte l’enorme impotenza di masse di persone che vorrebbero cambiare le cose, o anche solo scongiurare il peggio, dall’altra la corsa scellerata verso il peggio di molti governi, votati da altre masse di persone, anch’esse “popolo”. Che cosa si può fare, allora? Io non lo so.

Infine, visto che Letterate Magazine è una rivista letteraria femminista, ti chiedo: cosa legge Giuliana Zeppegno? E quali sono le letture che hanno nutrito, e magari accompagnato, la stesura del romanzo? Chi sono lə tuə antenatə letterarə? A quali parole e ritorni quando arriva lo sconforto, o quando hai bisogno di una pausa, o di immaginare altri futuri possibili?
Nella vita ho letto per piacere ma anche per ricerca e per lavoro. Grandi classici per anni, poi letteratura fantastica, soprattutto ispanoamericana, durante il dottorato di ricerca. Indigestioni di Borges e Cortázar. Utopie e distopie durante il postdoc. Poi solo saggi. O niente, in mesi e mesi di assoluto stallo. Per molto tempo, ho letto quasi esclusivamente libri scritti da uomini, senza nemmeno accorgermi di questa stranezza (!). Da quando scrivo narrativa, cerco di stare attenta alle nuove uscite e soprattutto alla narrativa italiana del momento. La mischio a quella in spagnolo, ma anche a ciò che leggo per lavoro (testi per antologie scolastiche), ai racconti − genere bistrattato in Italia, − a ciò che mi viene consigliato da libraiɜ e amicɜ, ai manoscritti di persone amiche che scrivono. Insomma, un caos! Molte donne, finalmente, ma non solo.
Sinceramente non ricordo che cosa stessi leggendo mentre scrivevo L’indignata. Posso dirti i titoli dei due romanzi letti in questo ultimo anno che mi hanno colpita ed emozionata di più: La fortuna di Valeria Parrella (Feltrinelli, 2022) e Fortuna di Hernán Díaz (letto in spagnolo ma in italiano uscito con il titolo Trust, sempre Feltrinelli, 2022). Oddio, mi accorgo adesso che hanno lo stesso titolo, ma in due accezioni completamente diverse…
Un riferimento imprescindibile per quanto riguarda la scrittura polifonica e politica: alcuni romanzi di Luther Blissett / Wu Ming.

Giuliana Zeppegno, L’Indignata, TerraRossa Edizioni, 2024

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Amanda Rosso

Amanda è nata e cresciuta nell'entroterra ligure. Si è laureata in Comunicazione all'Università di Pavia e ora vive e lavora a Londra, dove ha conseguito un Master of Arts in Modern Languages and Comparative Literatures alla Birkbeck University. I suoi racconti sono apparsi su "Narrandom", "Quaerere", "Malgrado le Mosche", e in alcune antologie online e cartacee, fra cui “Musa e getta. I racconti delle lettrici e dei lettori” (Ponte alle Grazie, 2021) e “Il corpo c'è” (Vita Activa Nuova, 2023). Ha co-tradotto la raccolta di racconti "Donne d'America" (Bompiani, 2022) a cura di Giulia Caminito e Paola Moretti. Fa parte dell'attuale direttivo della Società Italiana delle Letterate.

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