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Smascherare la guerra, pensare la pace: il nuovo libro di Rosella Prezzo si concentra sul soggetto che guarda e sulla sua responsabilità. Non è solo la critica dell’assuefazione o della spettacolarizzazione del dolore ma, in risonanza con alcune pratiche dell’arte contemporanea che non si limitano a rappresentare il conflitto, invita a decostruirlo e disinnescarlo sulle tracce di Weil, Woolf e Zambrano

di Mariella Pasinati

 

Guerre che ho (solo) visto non è soltanto una riflessione sulla guerra, ma un atto politico e poetico, una presa di parola che sposta lo sguardo.

Non si tratta infatti di un’analisi della guerra in senso tradizionale, bensì di un gesto di dislocamento: Rosella Prezzo ripercorre gli eventi bellici che da metà Novecento ad oggi hanno attraversato la nostra contemporaneità ma guarda la guerra da un altrove, da un punto di vista dichiaratamente situato: non è un’esperta militare, non una storica, non una giornalista embedded. È una spettatrice, una donna che ha visto la guerra dagli schermi. Questo posizionamento trasforma radicalmente l’oggetto dell’analisi: non più la guerra, ma la soggettività, una soggettività incarnata e relazionale, che interroga lo sguardo stesso e il suo rapporto con il potere, la rappresentazione e la memoria.

E guardando la guerra da questa posizione apparentemente periferica – “guerre che ho solo visto” – si apre una delle analisi più originali e necessarie sulla guerra contemporanea e sul nostro modo di guardarla, interamente filtrata da media, immagini, video giochi di simulazione che Prezzo usa come vere e proprie “prove a carico” del discorso bellico. Le opere citate non sono semplici esempi, ma dispositivi che mettono in luce come la guerra viva dentro le immagini. Attraverso di esse l’autrice:

  • svela la sessualizzazione sistematica della guerra, con il richiamo a due film di Stanley Kubrick, Full Metal Jacket, che smonta l’addestramento virile e il nesso sessualità-violenza e Il dottor Stranamore, con la grottesca equivalenza arma-fallo; Prezzo mette in luce inoltre la dimensione pornografica della rappresentazione bellica in cui i corpi – amici o nemici – sono ridotti a oggetti di consumo visivo osceno, tra pornografia amatoriale, sadismo spettacolarizzato e messa in scena compiaciuta della tortura, nel caso dei nemici, mentre quello dei “nostri ragazzi” si autorappresenta in pose sessualizzate e militarizzate
  • mostra la rimozione simbolica del dolore citando la copertura con un telone della copia di Guernica al palazzo dell’ONU durante la guerra in Iraq in occasione di un discorso di Colin Powell
  • chiarisce che la cittadinanza è fondata sulla guerra ed è intrinsecamente sessuata e gerarchica, la democrazia moderna cioè nasce armata e sotto il segno della fratellanza (escludendo la sororità) e ne trova conferma visiva nell’opera La Liberté Raisonnée di Cristina Lucas che riprende nel suo video il celebre quadro di Delacroix La Libertà che guida il popolo – simbolo della Rivoluzione francese e dell’ideale democratico – animandolo: gli uomini, che nel dipinto seguono la Libertà (rappresentata come una donna a seno nudo), si rivoltano contro di lei e la aggrediscono. Questo gesto sovverte l’iconografia rivoluzionaria e mostra la violenza patriarcale nascosta dietro il mito fondativo della democrazia occidentale, che ha escluso sistematicamente le donne dalla piena cittadinanza
  • smonta l’illusione della guerra “pulita” e dell’efficienza tecnologica e mette in scena il punto cieco del discorso bellico contemporaneo: la realtà dei corpi traumatizzati e l’impossibilità di cancellarne la verità attraverso immagini, codici o software. Prezzo, cita l’opera di Harun Farocki che restituisce un’immagine critica e spietata della guerra postumana, dove il visibile è manipolato, ma il rimosso – il dolore, la follia, la morte – ritorna sempre, Farocki infatti documenta i programmi statunitensi che usano videogiochi di simulazione sia per l’addestramento sia per la cura dei reduci affetti da stress post-traumatico
  • sposta l’attenzione dalla rappresentazione della guerra alla responsabilità dello sguardo occidentale: non si tratta più solo di “vedere” la guerra, ma di ammettere ciò che non abbiamo voluto vedere di noi stesse/i mentre guardavamo. La guerra nell’ex Jugoslavia, così prossima eppure trattata come “altra”, diventa emblema di un’Europa che rimuove la violenza anche quando la produce o la consente, delegandone la gestione ai media e al linguaggio anestetizzato della diplomazia e dell’umanitarismo. L’opera di riferimento è la performance di Marina Abramović Balkan Baroque (1997) in cui l’artista lava per ore ossa animali insanguinate, evocando l’orrore e l’assurdità del conflitto con il suo corpo che si fa metafora vivente della memoria e della colpa collettiva. Così, mentre Abramović espone il corpo, Prezzo smaschera lo sguardo.

L’originalità di questo approccio centrato sull’immagine ed il vedere mi ha riportato alla mente il bel libro di Susan Sontag Davanti al dolore degli altri: entrambe denunciano il rischio di voyeurismo. Ma se Sontag smascherava l’estetizzazione della guerra e problematizzava la spettacolarizzazione del dolore e l’anestetizzazione dello spettatore, Prezzo concentrandosi sul soggetto che guarda non ne fa tanto una questione di immagini, ma di sguardo – e, ancor più, di responsabilità; non si limita quindi a una critica dell’assuefazione o della spettacolarizzazione del dolore ma interroga il dispositivo visivo stesso e lo attraversa, come abbiamo visto,  da una posizione situata, consapevole e non neutra, in risonanza con alcune pratiche dell’arte contemporanea che non si limitano a rappresentare il conflitto, ma lo decostruiscono e lo disinnescano.

E se Sontag ammoniva sul rischio di assuefazione, Prezzo mostra come quell’assuefazione sia prodotta da linguaggi militari, dispositivi tecnici e narrazioni patriarcali che dissolvono il corpo; spiega come il linguaggio stesso sia uno strumento di guerra, capace di mascherare la distruzione dietro parole anche falsamente rassicuranti.

Ne consegue uno spostamento: dallo sguardo critico allo sguardo trasformativo, capace di generare nuove immagini e, forse, nuove pratiche di pace. Ecco dunque la proposta dalla forte carica critica e politica di sostituire il monumento al “milite ignoto” […] con quello al “civile ignoto” o alla “vittima anonima di guerra”, una proposta che mette in discussione l’intera retorica eroica e maschilista che ha accompagnato la guerra come fondamento della cittadinanza e della memoria pubblica. Il “civile ignoto” diventa emblema delle vittime invisibili, di coloro che non hanno voce, nome né onore, ma che oggi rappresentano la realtà più diffusa e drammatica dei conflitti.

Rosella Prezzo ci invita dunque a rovesciare lo sguardo: il punto non è più vedere la guerra, ma disattivare la sua estetica, restituire voce ai corpi oscurati e interrogare le condizioni per una visione generativa, cioè capace di produrre memoria, connessione, pace dal momento che «si passa il tempo più a cercare di giustificare la guerra (le guerre) che a pensare e immaginare la pace».

Nel capitolo Pensare l’impensato della pace, pertanto, l’autrice apre una riflessione radicale e necessaria per cominciare a colmare un «vuoto teorico e di visione» e iniziare a pensare la pace: un esercizio di discontinuità rispetto al pensiero dominante, un atto che chiede nuovi linguaggi, nuovi immaginari e una diversa postura etica per generare nuovi orizzonti di senso e possibilità.

In questo percorso si avvale delle parole di Simone Weil, Virginia Woolf e María Zambrano, tre pensatrici che, ognuna a modo suo, hanno rotto con le logiche patriarcali del dominio e indicato una via altra – più umana e relazionale – per immaginare il vivere insieme.

Le riflessioni di Weil, Woolf e Zambrano ci offrono tre chiavi per cominciare a “pensare l’impensato della pace”:

  • la sospensione della forza, il radicamento umano e culturale e la capacità di agire nella vulnerabilità senza replicare la violenza (Weil)
  • il rifiuto della genealogia patriarcale della guerra e il “combattere con la mente” per la creazione di una civiltà altra (Woolf)
  • la rivoluzione interiore e culturale che significa un nuovo modo di vivere, una nuova grammatica dell’esistenza comune, un nuovo modo di abitare il mondo (Zambrano)

A questa genealogia femminile del pensiero di pace mi piace accostare anche la riflessione di Maria Montessori che riconosce nell’infanzia la vera custode della pace. Per Montessori, infatti, l’infanzia incarna una soggettività ancora non segnata dalle logiche del dominio, del possesso e del controllo e la sua pedagogia mette in guardia dai linguaggi educativi inconsapevolmente militarizzati proponendo un’educazione fondata sulla libertà responsabile e sull’armonia.

Anche per Rosella Prezzo disarmare lo sguardo è il primo gesto per iniziare a pensare la pace. In entrambe emerge l’idea che la pace sia prima di tutto una questione simbolica: da insegnare, mostrare, immaginare, abitare.

In questa prospettiva, il capitolo si configura come un invito a riconfigurare il senso della realtà a partire da una soggettività non armata, capace di immaginare un mondo in cui la giustizia non nasca dalla forza, ma dalla cura e dalla parola condivisa.

Cominciare a pensare la pace, allora, significa mettere in crisi l’intero sistema di valori che fa della guerra un fondamento dell’umano e del politico; significa, al tempo stesso, affidarsi a un pensiero di donne che ci insegna a vedere e pensare altrimenti, un pensiero che non chiede spazio nel mondo così com’è, ma ne immagina uno radicalmente diverso.

Il testo è accompagnato da un’antologia di scritti stimolanti, in grado di suscitare nuove domande e di ampliare il campo di riflessione.

Rosella Prezzo, Guerre che ho (solo) visto, Moretti & Vitale 2025

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Mariella Pasinati

Insegna Storia dell’arte ed è autrice di numerosi saggi su artiste contemporanee. Impegnata nella ricerca e nella pratica pedagogica, ha curato con le docenti della Biblioteca delle Donne UDIPALERMO onlus, di cui è presidente, progetti didattici sperimentali sui saperi e le figure femminili nella storia, promosso seminari su storia e cultura delle donne, corsi di formazione per insegnanti, rassegne su artiste contemporanee. Ha curato: Insegnare la libertà a scuola. Rendere impensabile la violenza maschile sulle donne (Carocci, 2017); Riletture (Ila Palma, 1999); Parole di libertà (Ila Palma, 1992).

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