Dodicesima edizione per Bande de Femmes, il festival femminista di fumetto e illustrazione organizzato dalla Libreria Tuba, che torna a Roma dall’1 al 5 luglio 2025 per riaffermare il potere immaginativo, dissidente e collettivo dell’illustrazione e del fumetto
Di Amanda Rosso
Fin dalla sua nascita, Bande de Femmes si distingue per il suo approccio radicale e inclusivo, capace di tenere insieme ricerca estetica e posizionamento politico. Anche quest’anno, il festival si struttura come un corpo collettivo che cresce per diramazioni: mostre diffuse, dialoghi d’autrici, laboratori, performance, stand-up comici, reading e momenti di creazione partecipata. Ogni evento si intreccia all’altro come una micorriza, generando un ecosistema artistico fertile e contaminato, aperto alle sperimentazioni e alle soggettività non normate.
L’edizione 2025 si apre simbolicamente oggi, mercoledì 18 giugno con Aspettando Bande de Femmes, un laboratorio di ricamo erotico a cura di Goga Mason: gesto antico e tradizionalmente relegato allo spazio domestico, qui diventa pratica di autodeterminazione, cura e libertà espressiva. Una delle tante dimostrazioni di come Bande de Femmes lavori per sottrarre linguaggi e tecniche alla marginalità e restituirli a un contesto creativo e politico.
Il festival prende pienamente vita il 1° luglio con Notte a colori, l’inaugurazione delle mostre diffuse nel quartiere Pigneto (mappa disponibile presso la Libreria Tuba e sul sito): un’esplosione di visioni con lavori di artistə italianə e internazionali – da Shannice a Mujer Gallina, da Alterales a Kalina Muhova, fino alla collettiva DWF. È una vera passeggiata tra pareti che parlano, un invito a leggere il quartiere attraverso nuovi sguardi.
Nei giorni successivi prende corpo Blossoms, sezione dedicata alle fumettiste under 35, con protagoniste Fumettibrutti, Kalina Muhova, Sonno e Zuzu: quattro voci diversissime ma accomunate da una forza narrativa intensa e un linguaggio personale. Il 2 luglio, presso la Biblioteca G. Mameli, saranno impegnate nel Laboratorio Talee, spazio formativo per artistə emergenti, mentre il 3 luglio tornano in scena per reading, dialoghi e video mapping animato sui muri di via Pesaro, trasformando lo spazio urbano in un palinsesto affettivo e immaginifico.
Il 4 luglio, Bande de Femmes si apre alla strada con Manifesta, laboratorio all’aperto guidato da Golrokh Nafisi. Seguono incontri con autrici e collettivi che incarnano il fumetto come strumento di resistenza, denuncia e immaginazione alternativa: da Materia Degenere al progetto Queer Mushroom Forest. Le rubriche A tutte zinNe e Matite fuori dai cardini mescolano stili e genealogie, dando voce a corpi non conformi, storie marginali, archivi rimossi.
Il 5 luglio, il festival si chiude nel segno della terra e della memoria. La passeggiata botanica Piantagrane, condotta da Giorgia Protasi e Marta Del Giudice, invita a osservare il paesaggio urbano come terreno di alleanze spontanee, seguendo le piante che crescono dove nessuno le ha piantate. Il laboratorio Micorrize, le presentazioni editoriali, il live painting finale con Cleo Bissong e gli interventi di artiste come Alix Garin, Cecilia Valagussa, Francesca Ceci e Claudia Petrazzi, chiudono il cerchio, restituendo al pubblico un festival che è al tempo stesso fiera, ricerca, comunità e festa.
Potete trovare il programma completo sul sito di Bande de Femmes.
Alcunə dellə artistə hanno partecipato alla nostra intervista.
Cosa significa per voi portare il vostro lavoro in uno spazio come Bande de Femmes, dove l’immaginazione è sempre anche politica, dove il gesto artistico si intreccia con pratiche femministe e transfemministe?
Federico Pace: Per me questa è una grande opportunità. Dietro i miei disegni c’è sempre un gesto di lotta e resistenza, per poter sgretolare i pregiudizi che ancora circondano le persone transgender.
Fiamma Ficcadenti: Per me è una grande emozione e sono ancora incredula. Ho iniziato a fare fumetti da poco e in “tarda” età (quasi 40 anni) e partecipare al festival come autrice non l’avrei mai immaginato possibile. Bande de Femmes non è un festival come ce ne sono tanti, la sua esistenza e parteciparvi credo sia a tutti gli effetti un’azione politica e questa è la pratica politica da cui mi sento rappresentata. Poter fare fumetti, da donna, è una cosa che va ancora rivendicata e protetta. Anche se molto è cambiato negli ultimi anni, c’è ancora tanta strada da percorrere e credo che ogni fumettista in qualche maniera rappresenti un presidio per l’apertura di un mondo come quello del fumetto che in Italia è stato abitato quasi esclusivamente dal maschio e dal suo racconto per molto, moltissimo tempo.
Cecilia Valagussa: Partecipare a Bande de Femmes significa collaborare con persone che hanno costruito una libreria femminista che lavora a lato del canone letterario aprendosi anche a linguaggi ibridi come il fumetto sperimentale, dando spazio alle voci femminili.
Sarà l’occasione per presentare il fumetto “Null’altro che un lampo” realizzato insieme a Valeria Carrieri sull’infanzia e formazione di Simone de Beauvoir, attraverso una mostra delle tavole originali e una presentazione pubblica. Si tratta di una rilettura che mischia la vita reale con l’inconscio e che ci auguriamo continui a nutrire l’immaginazione politica di oggi.
Cleo Bissong: Portare il mio lavoro ovunque significa portare avanti le conversazioni da cui è nato e intavolarne altre ancora, combattendo la vergogna ed esplorando cosa vogliamo. Bande de Femmes mi sembra uno spazio nato per questa pratica, da cui penso usciremo tutt3 (me inclusa) un po’ più liberate dalle catene che abbiamo dentro.
Quale spazio occupa, nella vostra pratica artistica, la memoria collettiva o personale? E come si intreccia con il presente?
Federico Pace: Io parlo di storie reali, se non mie, di miei conoscenti. Ho sentito di persone sbattute fuori di casa, mandate in ospedale da famiglie bigotte. La mia arte e il mio presente sono, in pratica, la stessa cosa.
Laura Scarpa: La storia, la politica in senso più ampio e sociale entra sempre sottilmente nelle mie storie, ma mai come tema troppo esplicito, non amo i didatticismi, le “lezioni di vita”. Lo sguardo del passato e del presente sono strettamente connessi. Ripetiamo errori e modi, sebbene in evoluzione, il fumetto non può che esserne un intimo ritratto.
Fiamma Ficcadenti: La memoria e il ricordo sono centrali nei miei fumetti, nella loro triplice dimensione di memoria collettiva, personale e anche intima. Per me il fumetto ha rappresentato letteralmente l’unico strumento che sono stata in grado di usare per accedere a parti della mia memoria che in qualche maniera condizionavano il mio presente – e in particolar modo mi riferisco alla memoria del trauma – e sempre il fumetto mi ha permesso, attraverso lo strumento del racconto di riorganizzare la mia memoria attorno alla ferita così da poterle dare una forma più tollerabile o più adatta ad essere portata in spalla nel presente. Credo che per me il racconto si leghi alla memoria in questo senso, è un modo di riprodurre senso e significato agli eventi man mano che passa il tempo.
Cecilia Valagussa: Nel fumetto raccontiamo l’origine del desiderio di Simone de Beauvoir di scrivere di sè, interrotta accidentalmente dalla necessità di scrivere più in generale sulla questione della donna, che l’ha portata alla creazione del saggio enciclopedico “Il secondo sesso”, conosciuto in tutto il mondo. La sua storia è emblematica in questo senso perché passa dall’essere una memoria personale a diventare memoria collettiva.
L’origine del desiderio di narrazione di sè si radica nella nostalgia dell’infanzia, nella quale ci siamo potute immedesimare in prima persona, permettendoci di mettere in luce anche i dettagli più minuti della vita materiale che in genere non escono nelle narrazioni biografiche, quindi l’amore per i cibi colorati, l’immaginazione, il sogno e lo humor.
Cleo Bissong: Il mio lavoro si basa sulla memoria personale e su ricordi ed esperienze che mi accomunano alla mia comunità, raccolti negli ultimi anni parlando apertamente con chi mi circonda. Ho cercato di dare voce ai momenti e alle sensazioni che emergono quando il nostro corpo, la nostra cultura e i nostri ideali vivono esperienze tutte diverse allo stesso tempo.
Come si trasforma per voi un gesto quotidiano, intimo o tradizionale – come cucire, camminare, disegnare – in una forma di resistenza o liberazione?
Federico Pace: Penso che per perseguire il mio obiettivo basti relativamente poco. Un piccolo passo al giorno, un disegno in più, un commento o una frase in più. L’importante è non mollare mai la presa.
Fiamma Ficcadenti: La pratica del disegno per me ha rappresentato a tutti gli effetti una forma di libertà totale e credo che la resistenza – soprattutto ora – sia radicata proprio nell’agire la libertà, praticarla il più possibile, rivendicarla a tutti costi e verso chiunque, anche verso se stesse, come è capitato a me che mi sono tenuta lontana dal disegno per moltissimi anni, prima di riuscire finalmente a riappropriarmene durante la pandemia. Per me il fumetto è liberazione perché il disegno e il racconto mi danno il coraggio di esprimermi in una maniera che non credevo possibile.
Cecilia Valagussa: Nel mio caso, tenere attivo il rapporto testa-mano attraverso il disegno, permette alle idee di fluire e di liberarsi, manifestandosi sulla carta. Mi sono resa conto che per me il disegno è spesso una modalità di comunicazione piú diretta delle parole. Questa è la forma di “fare” che preferisco, ma credo che qualsiasi altra azione che si compie con le estremità del corpo permetta di interagire e connettersi in maniera unica con la realtà. Abbiamo a disposizione diverse possibilità e ognun* può trovare la sua forma di resistenza, basta riconoscerne l’importanza.
Cleo Bissong: Sto capendo ultimamente quanto grande sia il mio bisogno di essere uguale a chi mi circonda per farmi accettare. Non ci sono mai riuscita, e ho sempre seguito la mia strada, ma la voce nella mia testa non ne è felice e mi schernisce. Resisto quando chi sono crea frizione, e io non mi rimprovero per questo.
Come dialoga il vostro lavoro con lo spazio urbano? In che modo pensate che la produzione artistica possa trasformare i luoghi della città in spazi di rivendicazione, cura o comunità?
Federico Pace: Mi piace molto pensare a zone di Roma adibite a spazi artistici, dove ci si può esprimere liberamente. Mi piacerebbe vedere più spazi del genere, più pezzi d’arte per le strade. Purtroppo, molte vengono vandalizzate.
Cecilia Valagussa: La mostra che rimarrà allestita per una settimana presso l’atelier di ceramica Studio Mira, aprirà alla comunità del festival il processo del lavoro di costruzione del fumetto, a partire dagli schizzi, storyboard e tavole originali.
Questo libro è un’occasione per creare situazioni interessanti per la crescita e l’ispirazione delle persone che le attraversano, senza dare risposte ma cercando di fornire degli spunti per ulteriori approfondimenti.
Quali immagini, simboli o storie tornano più spesso nei vostri lavori? Da dove provengono?
Federico Pace: Sicuramente i fiori. Questi simboleggiano lo sbocciare, il maturare di una persona. Siamo tutti sempre troppo di corsa, con l’acqua alla gola. Nelle mie storie cerco di spiegare che il tempo dobbiamo viverlo meglio.
Laura Scarpa: La sessualità ha avuto molto spazio, il rapporto con il corpo, ma anche i caratteri l’essenza maschile e femminile che si confrontano e mescolano, e confondono. Ma un altro tema che mi porto dietro da molti anni è la guerra. La questione privata e sociale, i corpi in guerra, la guerra e il suo rapporto con l’individuo e l’artista.
Provengono da esperienze personali o (guerra) memorie familiari, ma soprattutto dal mio pensiero, da un mio pormi sociale e senza confini in entrambi i temi.
Fiamma Ficcadenti: Il mio è un fumetto di autofiction, i miei personaggi sono le persone che popolano la mia vita e che esistono realmente mentre l’elemento finzionale nasce e cresce nelle metafore e nei personaggi allegorici che metto in scena per provocare sia me stessa e il mio vissuto che riporto nel racconto ma anche per entrare in complicità con gli altri e le altre che leggono. Sono gatte parlanti, nodi di capelli senzienti, aspirapolveri innamorate…sono personaggi surreali e grotteschi che non hanno un riferimento iconografico specifico, ma fanno ridere e l’ironia è un detonatore potente per la comunicazione secondo me. Le storie che racconto partono dal mio vissuto ma evidentemente cercano di parlare a quello di molte e molti, credo che si racconti per cercare di essere ascoltate e anche capite.
Cecilia Valagussa: Nel mio lavoro tornano molto spesso riferimenti alle narrazioni epiche-mitologiche che compongono il grande micelio sotterraneo che collega tutti e tutte in un’unica storia.
L’elemento ricorrente per eccellenza sono gli animali e le creature fantastiche, rappresentazioni metaforiche degli umani e delle loro personalità più disparate e del loro rapporto ambivalente con la natura. In “Null’altro che un lampo” Simone è rappresentata da un animale simbolico, il castoro, a partire da un soprannome che le aveva attribuito un amico per l’assonanza tra l’inglese “Beaver” e “Beauvoir”, ma anche per la sua personalità “costruttiva”. Insieme al castoro si trovano l’unicorno che rappresenta la sua amica Zaza, simbolo della rivelazione, e il rospo allegoria di Sartre.
Cleo Bissong: Ricorrono sempre le persone, coi loro movimenti, gesti, le loro espressioni e i loro sentimenti. Provengono dal mio desiderio di capire me stessa e l3 altr3, e di verbalizzare ciò che ho provato andando oltre le parole, che a volte, pur usandone tantissime, non mi bastano.
In un mondo dominato da narrazioni canoniche, come scegliete cosa raccontare e con quali linguaggi?
Federico Pace: Scelgo di raccontare semplicemente quello che ho sotto gli occhi, le storie che mi si parano davanti ogni giorno. Ascolto le voci di altri ragazzi transgender e decido di riportarle su carta.
Fiamma Ficcadenti: Il mio impulso al racconto nasce dalla contingenza. Dalla questione che in quel momento occupa in maniera preponderante la mia vita. Io sento l’urgenza di fare fumetti quando ho una gatta da pelare nel mio quotidiano che ho bisogno di comprendere e di tracciarne i contorni. Il fumetto in questo è pazzesco, permettendomi di unire scrittura e rappresentazione visiva mi restituisce la sensazione di poter letteralmente esplorare ogni questione in tutte le sue dimensioni, corporea, fisica, emotiva e poetica.
Cecilia Valagussa: In genere seguo il flow non canonico con il quale sto vivendo la mia vita, guidata un po’ dal caos e dall’impossibilità di prevedere quale sarà la prossima mossa.
Spesso è la storia a trovare me, per “Null’altro che un lampo” il tema è venuto dalla casa editrice Hoppipolla e ho coinvolto Valeria per la parte di scrittura della sceneggiatura; una divisione dei ruoli canonica, ma che di fatto ha funzionato in maniera molto fluida, costantemente interconnessa.
I linguaggi che utilizzo principalmente sono l’illustrazione, il fumetto, il video in stop motion e la performance dal vivo. Scelgo di collaborare con persone che condividono con me il valore della gentilezza, le visioni utopiche e l’amore per la natura.
Cleo Bissong: Scelgo di raccontarmi andando oltre il finale, ed evitando risposte o insegnamenti. Condivido quello che è successo e che ho scoperto, e soprattutto il pensiero e le sensazioni sotto, la loro origine, ma sono tutte ipotesi mie e della mia comunità, e questo è molto evidente. Non sono arrivata a molte conclusioni, e non credo siano nella mia natura.

Amanda Rosso

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