Bianca per sempre

Gisella Modica, 8 marzo 2025


Come fare dialogare il campo dei diritti umani con quello dello sviluppo? «Ho praticato la cooperazione internazionale con l’ansia di costruire percorsi di liberazione per me e per le altre», ha scritto Bianca Pomeranzi. Troviamo le sue parole preziose Femministe di un unico mondo” (a cura di Carla Cotti), il libro postumo che raccoglie esperienze e riflessioni di decenni del suo lavoro in giro per il pianeta, da Nairobi a Pechino a Istanbul

di Gisella Modica

«La lettura che propongo è del tutto personale, ma cerca di cogliere le ragioni per cui un’istituzione così apparentemente lontana dalla vita quotidiana, come le Nazioni Unite, abbia potuto coinvolgere e sia divenuta ‘luogo’ di riferimento e di azione per molte donne di differenti parti del mondo».

A spingere  Bianca Pomeranzi a scrivere un memoir politico dal titolo Femministe di un unico mondo, da lei stessa coniato, è mettere a disposizione dei nuovi femminismi l’esperienza acquisita sul campo sia all’interno dell’Istituto della Cooperazione Internazionale nel ruolo di esperta di politiche di genere e di direttrice italiana in Senegal, sia all’interno delle Nazioni Unite  nel periodo compreso tra la Conferenza ONU 1975, anno internazionale delle donne, a Città del Messico, e quella di  Pechino, del 1995.

Il testo, arricchito da una bibliografia sterminata e pubblicato postumo a cura di Carla Cotti, nasce, come scrive la stessa autrice, «dalla contraddizione, tutta personale, di avere praticato la cooperazione internazionale con l’ansia di costruire percorsi di liberazione per me e per le altre, ma anche con la consapevolezza di stare operando all’interno di un ‘dispositivo di governance’. Contraddizione che ho vissuto mantenendo una posizione ‘eccentrica’ tra le gerarchie di potere nelle istituzioni nazionali e internazionali e l’attivismo nei movimenti femministi italiani e transnazionali». Ma nasce anche dal desiderio di «alimentare un nuovo femminismo trans europeo là dove a livello istituzionale, come in Italia, diversamente dall’America latina, domina la politica delle pari opportunità».

A partire dal suo lavoro alla CEDAW, la Commissione Onu sulle discriminazioni contro le donne, svolto tra il 2013 e il 2016, il cui intento era “fare dialogare il campo dei diritti umani con quello dello sviluppo”, dialogo oggi totalmente in crisi, Pomeranzi, convinta che fare memoria del passato apre spunti sul presente, «opera una disamina e una rilettura nelle continuità e nelle fratture intercorse nell’arco di mezzo secolo tra movimenti femministi e Nazioni Unite». In particolare sul tema della violenza maschile sulle donne, contribuendo a spostarla dalla sfera privata a quella pubblica.

Tema, la violenza, emerso con forza durante il Forum di Città del Messico, del 1975, ratificato come responsabilità degli Stati alla conferenza di Nairobi del 1985, e culminato con l’istituzione di una relatrice sui temi della violenza, nel 1993, a Vienna. «Un salto culturale in materia di diritti individuali», annota Pomeranzi. Ma si dovrà aspettare il 2011, con la convenzione di Istanbul, per il riconoscimento dei diritti sessuali delle persone non eterosessuali.

«Fu questa crescente coscienza della dimensione ‘globale’ della convivenza e della politica» a determinare ciò che Pomeranzi definisce uno “spazio dell’apparire” tra istituzioni e opinioni pubbliche, e al contempo «spazio di confronto e di conflitto tra donne dei paesi sviluppati, e in via di sviluppo, tra donne di paesi socialisti e capitalisti». Apparizione che sollevò per la prima volta «il velo del silenzio sui temi della sessualità e della gestione della vita quotidiana da parte delle donne, che misero a nudo le asimmetrie prodotte dalle diverse forme di dominio patriarcale e posero pesanti interrogativi sulla legittimità delle istituzioni».

Malgrado le marcate differenze culturali sul tema della sessualità, che creò «un campo di conflitti tra le donne stesse» mettendo in forte crisi il tema della sorellanza, e malgrado le differenze sulle priorità da mettere in campo – cittadinanza, come richiesto dalle donne dei paesi sviluppati, o giustizia sociale, lotta al razzismo e al colonialismo e alle oppressioni di tipo economico, come richiesto dai movimenti latino americani e dalle africane – si fu concordi nel mettere al centro, come modalità di trasformazione politica, la lotta alla violenza e al dominio maschile sui corpi femminili.

Il risultato fu la Convenzione sull’Eliminazione delle Discriminazioni nei confronti delle Donne (CEDAW) 1979.

Alla conferenza di Nairobi del 1985, sull’onda degli effetti della globalizzazione, si denuncia, in anticipo sui tempi, la discriminazione contro le donne come una delle principali cause di povertà fame ed emarginazione delle minoranze etniche. La violenza contro le donne viene ricondotta, oltre che alla relazione tra i sessi, al nesso tra capitale e sistema patriarcale agito sul corpo e sul lavoro delle donne.

«Le reti femministe contrastano la violenza dei processi di crescita economica  mettendo in luce i costi sociali e umani di quel ‘dominio globale’ che le multinazionali stavano attuando nei vari Sud del mondo».

Da parte delle donne del sud, e delle indiane, si lavora su possibili visioni alternative di sviluppo e si guarda ai problemi della terra e dei suoi abitanti “in modo connesso e interdipendente”.  Così come in connessione con le situazioni di emarginazione subite dalle donne dei paesi più poveri, viene considerata la sessualità e il diritto di scelta sul proprio corpo.

Un modo diverso di porsi rispetto alla tradizionale questione femminile, guardando il mondo da una prospettiva transnazionale, commenta Pomeranzi.

Nel 1989 durante la conferenza sull’ambiente a Rio de Janeiro, in un testo ufficiale, si ammette per la prima volta che il tema dell’uguaglianza tra donne e uomini è un problema politico che incide nell’evoluzione sostenibile del pianeta.

I forum preparatori alla conferenza di Pechino metteranno in campo e daranno visibilità anche alle donne coinvolte nelle lotte locali contro il sistema, come quelle in Chiapas, contro l’attacco alle biodiversità da parte delle multinazionali.

La piattaforma d’azione sancirà un compromesso tra due differenti tipi di femminismo transnazionale: femminismo globale, volto ad accedere a posizioni di potere e non distante da posizioni neoliberiste, dal quale Pomeranzi prende le distanze, e le reti di donne impegnate sull’ecologia, sulle critiche al capitalismo, al razzismo al colonialismo, all’etero normatività.

I risultati ottenuti nel corso delle conferenze quinquennali, furono tali che negli anni ‘90 sembrava possibile mettere in discussione le politiche istituzionali favorendo la partecipazione femminile, commenta ancora Pomeranzi.

Cosa è rimasto di questa esperienza nei documenti ufficiali, e nella vita delle donne?

Convinta che il desiderio femminile di libertà possa cambiare il mondo, e a partire dalla disamina sulla sua esperienza, Pomeranzi torna più volte sull’opportunità di stabilire un dialogo tra istituzioni e movimenti femministi, facendosi testimone di  una delle verità più feconde del femminismo: il personale che diventa politico è di per sé rivoluzionario.

«Denunciare la  violenza a partire da sé, muovendosi dal personale al politico, significa andare all’origine dei meccanismi che producono la gerarchia delle vita», scrive Pomeranzi. Significa «assumere il senso del limite e la coscienza della relazione d’interdipendenza con altri umani e non, riconoscere la propria e l’altrui vulnerabilità e giungere a un rovesciamento dell’idea di cura (come avvenuto del gruppo del mercoledì, spazio politico privilegiato dell’autrice) che da dovere femminile diventa misura ordinatrice dei processi sociali come dimensione del buon vivere».

E ancora: «La lotta contro la violenza sulle donne, fondata sulla gerarchia delle vite, e in quanto collocata all’interno dell’universo domestico, dove il politico prende forma dal personale, può diventare punto di rottura dell’ordine mondiale».

Cosa mantenere del femminismo e dove sono necessarie trasformazioni radicali? si domanda Pomeranzi.

Continuare a  mettere al centro, come modalità di trasformazione politica, la lotta alla violenza e al dominio maschile sui corpi femminili, connettendola, come i femminismi attuali già fanno, alla violenza sistemica delle istituzioni economiche e sociali; mettere in relazione globale e locale, usando l’ascolto tra posizioni differenti; stabilire un dialogo tra istituzioni e movimenti femministi mantenendo una posizione “eccentrica” ai fini di un nuovo femminismo trans europeo: mi sembrano queste le coordinate che Pomeranzi, «di fronte alla crescita dei soggetti vulnerabili nel campo della produzione così come nella riproduzione», ci lascia per orientarci.

Bianca Pomeranzi, Femministe di un unico mondo, Fandango, 2024 

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Gisella Modica

Gisella Modica, attivista femminista scrive per le riviste: Letterate Magazine on line e Leggendaria. È socia della Biblioteca delle donne Udi Palermo e della Società Italiana delle Letterate. Pubblicazioni: per Stampa Alternativa Falce, Martello e cuore di gesù Storie verosimili di donne e occupazioni di terre in Sicilia (2000) e Parole di Terra (2004). I racconti della Cattedrale Storie di occupazioni, rimozioni, immersioni Villaggio Maori (2016). Le personagge sono voci interiori Vita Activa (2017); Come Voci in Balia del Vento Iacobelli (2018); per Mimesis/Eterotopie ha curato con Alessandra Dino Che c’entriamo noi. Racconti di Donne, Mafie, contaminazioni (2022). Ha scritto racconti e saggi in libri collettanei: Terra e parole Le donne riscrivono paesaggi violati a cura di R. Falcone e Serena Guarracino, ebook, @woman, 2017; Abitare la vita abitare la storia. A proposito di Simone Weil a cura di Maria Concetta Sala, Marietti, 2015; Lessico della crisi e del possibile Cento lemmi per praticare il presente a cura di Fabrice Olivier Dubosc, ed. Seb 2019; SIL/labario Conflitti e rivoluzioni di femminismi e letteratura a cura di Giuliana Misserville Rita Svandrlick, Laura Marzi, Iacobelli 2022.
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