Vincere la pace

Adriana Chemello, 7 marzo 2025

Nel borgo di Monteleone nel 1942 le donne che protestavano contro la guerra furono incarcerate per 14 mesi. Dal 2016 il piccolo comune pugliese ha creato, per l’8 marzo, un Premio per la pace e la nonviolenza dedicato a loro: quest’anno verranno premiate Lucia Capuzzi, giornalista del quotidiano Avvenire e a Khady Sene, direttrice della Caritas della Diocesi di Foggia-Bovino

Di Adriana Chemello

Vorrei dedicare un po’ di spazio per richiamare l’attenzione non tanto su un libro o su una figura di donna bensì su un “Premio” dedicato alle donne. Ma prima ve ne racconto un po’ la storia.
Adagiato tra i Monti Dauni, verso il confine tra la provincia di Foggia e l’Irpinia, si trova il comune di Monteleone di Puglia, con un migliaio di abitanti, a 842 metri di altitudine, all’incrocio delle strade che collegano la Puglia e la Campania. Le cronache locali raccontano che la prima comunità di Monteleone si è venuta aggregando attorno ad un nucleo di Valdesi fuggiti dalla Provenza e denominati “i poveri di Lione”, da cui poi il nome della località. La piccola comunità aderì nel XVI secolo alla Riforma protestante e per questo venne repressa con durezza. Già nel 1563 le donne valdesi mostrarono il loro coraggio opponendo una tenace resistenza all’Inquisizione, in difesa della libertà di religione e del primato della legge morale.
Il paese ha saputo proporsi, negli ultimi anni, con iniziative fondate sulla solidarietà e sull’inclusione, connotandosi come il paese dell’accoglienza, della pace e della nonviolenza. Da una decina d’anni, il comune si è fatto promotore, nelle scuole del comprensorio, di progetti di educazione alla pace, favorendo l’istituzione di una cattedra Unesco per la pace e il dialogo interculturale, in partenariato con le Università di Messina e di Valencia in Spagna. Insieme alla Cattedra Unesco, ha avviato con propri finanziamenti la realizzazione in Mali di un Centro antiviolenza a sostegno delle donne africane.
Dal 2016 ha istituito un “Premio per la pace e la nonviolenza” da attribuire per l’8 marzo, festa della donna, come pubblico riconoscimento a donne distintesi per l’impegno a favore della pace e della nonviolenza.
Nasce spontaneo chiedersi perché un “Premio per la pace”, dedicato alle donne, proprio a Monteleone di Puglia? La risposta la troviamo volgendo lo sguardo indietro nel tempo: più di ottant’anni fa, il 23 agosto 1942, Monteleone è stato teatro di una protesta popolare in cui furono protagoniste soprattutto le donne del paese, passata alla storia come la “rivolta del grano”.
Di questa ribellione popolare, scrupolosamente censurata dalla stampa italiana, diede invece notizia al mondo “Radio Londra”, segnalandola come indizio di una avversione al fascismo serpeggiante tra gli strati popolari.
All’origine della rivolta ci fu un atteggiamento vessatorio e disumano del comandante dei carabinieri del paese che decise di sequestrare le “pignatte” (pentole) di granoturco alle donne che erano in fila davanti al forno. Non solo le pignatte furono sequestrate, ma con disprezzo e in modo provocatorio furono rese inservibili e le granaglie in esse contenute brutalmente calpestate. Questa la scintilla che fece scoppiare la protesta delle donne al grido: «Vogliamo il pane – vogliamo sfarinare». Erano anni in cui l’economia di guerra aveva razionato tutti i generi di prima necessità a partire dai cereali, che erano la base dell’alimentazione dei poveri. Le granaglie contenute nelle pentole sequestrate erano il frutto di sacrifici e di astinenze delle donne per poter sfamare i loro figli. Poiché il grano veniva requisito per legge e portato all’ammasso, le donne erano costrette a nutrirsi con il mais o granoturco. L’arroganza dei militari che andava ad affamare ancora di più la povera gente, soprattutto le donne già provate dalla miseria e dalla sottrazione di braccia valide per lavorare la terra, provocò la sommossa di tutto il paese. Ma la rivolta popolare capeggiata dalle donne, che rivendicavano il diritto alla vita e la loro avversità alla guerra («Abbasso la guerra! Ridateci i nostri figli! Ridateci i nostri mariti!»), venne repressa con rastrellamenti fin dentro le case e nelle campagne circostanti. Nella vicenda si distinse per arroganza e autoritarismo il Potestà, che era il farmacista del paese, Trombetti che apostrofò così le donne: «mangiatevi le pietre, questa è la legge».
Ben 96 persone (tra cui molte donne e alcuni ragazzi minorenni) vennero arrestate e condotte nelle carceri di Lucera, Bovino, San Severo e della Capitanata. Il 3 settembre 1943, sebbene nel frattempo il fascismo fosse caduto e Mussolini arrestato, il sostituto procuratore del Re rinviò a giudizio novantuno imputati e ne fece arrestare altri, con accuse risibili: aver rubato un paio di scarpe, aver schiaffeggiato un carabiniere, essersi impossessato di un timbro. Solo il 27 e 28 ottobre 1943, con l’arrivo delle forze alleate provenienti da Sud, le porte del carcere vennero aperte, dopo ben quattordici mesi di detenzione. Nel frattempo due donne erano morte in carcere di tubercolosi e di malaria; una bimba di pochi mesi era morta di stenti nel carcere di Lucera; una donna detenuta aveva partorito in una cella del carcere, in condizioni igieniche che possiamo immaginare e senza nessuna assistenza. Il calvario delle persone incarcerate si protrasse anche a guerra finita: con la sentenza del 25 giugno 1946 furono tutte rinviate a giudizio con pene molto pesanti, senza tener conto dell’amnistia del 27 novembre 1945, concessa dal governo Parri, e dell’amnistia del 23 giugno 1946 decisa dal governo De Gasperi (entrambi i provvedimenti proposti dal ministro della giustizia Palmiro Togliatti).
Dovettero passare ancora quattro anni prima che, con la sentenza del 9 giugno del 1950, la Corte d’Assise di Lucera dichiarasse il non luogo a «procedere per i reati contestati», accogliendo la richiesta di applicazione dell’amnistia del novembre 1945. A salvare le donne di Monteleone fu l’amnistia voluta per pacificare l’Italia, ma che di fatto rimise in circolazione molti fascisti.
La lunga carcerazione ebbe conseguenze pesanti soprattutto per le donne che, dopo aver patito la fame ed aver subito gli orrori della guerra, si trovarono umiliate da un processo assurdo e insensato. Molte di loro scelsero di emigrare lontano. Allontanatesi le protagoniste della vicenda, il paese tutto fece ogni sforzo per rimuovere e per seppellire nell’oblio il ricordo dei fatti dolorosi dell’estate 1942. E in parte sembrava esserci riuscito.
La storia delle donne di Monteleone è stata di recente ricostruita, con una ricca documentazione, grazie alle ricerche di Vito Antonio Leuzzi, nel libro Donne contro la guerra. La rivolta di Monteleone di Puglia (Edizioni del Sud 2004). A quelle donne coraggiose che più di ottant’anni fa si ribellarono alle prevaricazioni fasciste, gridando “Abbasso la guerra”, nel 2016 il comune di Monteleone ha dedicato il Premio per la pace e la nonviolenza. Si è voluto in questo modo creare un filo simbolico capace di collegare le protagoniste della rivolta con altre donne coraggiose e intraprendenti a noi più vicine nel tempo. Una felice intuizione, quella degli amministratori di Monteleone, di rendere visibile un continuum femminile, una “genealogia” ideale in grado di lanciare un ponte tra ieri e oggi.
Dedicare il premio per la pace e la nonviolenza alle donne che nell’agosto del 1942 si opposero alle prevaricazioni del regime fascista, rivendicando il diritto alla vita, alla libertà e alla giustizia per sé e i propri figli, significa riconoscere e riportare alla luce quei fili che si dipanano e si intrecciano, creando contiguità e continuità tra tante donne, spesso oscurate, rese opache e invisibili da una storiografia che ha intenzionalmente trascurato la declinazione femminile della storia.
Così procedendo per indizi, per labili tracce si scoprono analogie e parallelismi, figure inedite e impreviste che danno forma ad un grande e affascinante mosaico. Il processo avviato da qualche decennio, grazie al rilevante contributo degli studi delle donne, mira a ricostruire la storia, dando spazio a chi era rimasto finora fuori, non ultimo un pacifismo e un antimilitarismo di origine femminile.
Prima che Lidia Menapace lanciasse negli anni ’80 il famoso slogan “Fuori la guerra dalla storia” era già individuabile una genealogia di donne d’intelletto e d’azione che, passando attraverso diverse generazioni, arrivano fino ai giorni nostri. Si tratta di riscoprirle, rileggerle, assumerle a «madri simboliche» del nostro presente. Pensiamo a Bertha von Suttner e al suo romanzo Abbasso le armi! e alla vicenda di Maria Occhipinti la cui protratta detenzione fu molto simile a quella delle donne di Monteleone.
Nel manipolo di donne a cui dal 2016 è stato conferito il premio per il loro impegno per la pace e la nonviolenza troviamo la figlia minore di Martin Luther King, Bernice Albertine King, nel 2018; mentre nel 2024 è stata premiata la giornalista romagnola Linda Maggiori, scrittrice e autrice del libro Mamme ribelli, «per il suo impegno civico coerente e coraggioso in difesa della verità […] Non rinuncia mai a denunciare gli scempi contro la natura, il taglio immotivato di alberi, le discariche abusive, i disastri ambientali annunciati, anche a costo di essere irrisa e dileggiata».
Il prossimo 8 marzo, il Comune di Monteleone e la Regione Puglia conferiranno il Premio di donna per la pace e la nonviolenza a Lucia Capuzzi, giornalista che lavora alla sezione esteri del quotidiano Avvenire e a Khady Sene, direttrice della Caritas della Diocesi di Foggia-Bovino.
Il premio a Lucia Capuzzi – si legge nel comunicato ufficiale – «è un riconoscimento al suo instancabile e sincero impegno di giornalista di pace, sensibile al ruolo svolto dalle donne in aree di guerra per mitigare la violenza e avviare processi di dialogo tra le parti in conflitto e di riconciliazione». Khady Sene – si sottolinea – «si è distinta nel campo dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti, prima donna, immigrata senegalese, a divenire direttrice di una Caritas diocesana».
Lucia Capuzzi, prima di approdare al quotidiano Avvenire, ha lavorato per Tg – Leonardo della Rai. Ha vinto diversi premi per i suoi reportage dedicati soprattutto all’America Latina. Sulle colonne dell’Avvenire e sul sito web, assieme alle colleghe Viviana Daloiso e Antonella Mariani, Lucia Capuzzi dall’8 marzo scorso ha costruito un percorso dedicato alle “Donne per la pace”, proponendo testimonianze di una ventina di donne che si impegnano per una cultura di pace nelle realtà in cui vivono. “Donne per la pace” è stato dedicato a Vivien Silver, pacifista israeliana uccisa durante l’attacco di Hamas il 7 ottobre 2023. Facendo proprie le parole di papa Francesco secondo cui «il mondo ha bisogno di guardare alle donne per trovare la pace, per uscire dalle spirali della violenza e dell’odio, e tornare ad avere sguardi umani e cuori che vedono», le tre redattrici ribadiscono che non si tratta di far entrare le donne «nella stanza dei bottoni», bensì di «spezzare l’ingranaggio di cui ogni guerra si alimenta»: l’ostentazione di forza, la tensione a possedere l’altro e ad annientare l’avversario. A fronte di ciò le donne devono farsi ideatrici di «una resistenza creativa» perché «se gli uomini possono vincere o perdere la guerra, alle donne è rimasta una sola opzione: vincere la pace».
Tra le voci di donne che si raccontano troviamo Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace nel 2003, prima iraniana e prima musulmana a ottenere questo riconoscimento; Nadia Murad, giovane curda di etnia yazida, Nobel per la pace nel 2018, fondatrice di un’organizzazione no-profit per la ricostruzione di comunità in crisi e in difesa delle vittime della violenza sessuale; la giornalista filippina Maria Ressa, Nobel per la pace nel 2021; le negoziatrici in processi di pace come la nordirlandese Monica Mc Williams e la filippina Miriam Coronel Ferrer, fino alla attivista iraniana per i diritti umani e Nobel per la pace nel 2023, Nargesd Mohammadi. Una costellazione di voci femminili che hanno costruito «attività più onorevoli della guerra» e che pertanto rappresentano esempi luminosi su cui si può costruire una cultura di pace.
Abbiamo chiesto a Lucia Capuzzi a chi avrebbe dedicato questo premio: «Credo che dedicherò il premio alle donne afghane. Mi sento molto onorata e inadeguata. Vivo questo riconoscimento come sprone a impegnarmi ogni giorno a costruire frammenti, pur minuscoli, di pace», ha risposto.
A Khady Sene, chiamata da pochi mesi dal vescovo di Foggia a dirigere la Caritas diocesana, abbiamo chiesto di condividere con noi le sue emozioni per questo riconoscimento. Ecco la sua testimonianza: «la mia storia e il mio percorso di vita sono stati e sono tuttora un lungo cammino. Sono arrivata in Italia nel 2013 con la speranza di poter continuare gli studi universitari, ma così non è stato. Non mi sono mai arresa, perché per me il pensiero di raggiungere i miei obiettivi era più forte degli ostacoli. […] Ringrazio il Comune di Monteleone […] Questo premio lo dedico anche alla persona che da sempre mi ha inculcato i valori fondamentali della vita, mia mamma. Lei si è sempre battuta per la pace, e quindi posso dire che, in qualche modo, sto portando avanti quello che era il suo operato».
La dedica di Khady Sene a sua madre e quella di Lucia Capuzzi alle donne afgane ci riportano a quel continuum femminile che il Premio per la pace e la nonviolenza del comune di Monteleone ha voluto a sua volta riportare alla ribalta, sottraendolo all’oblio e all’opacità. Storie di corpi di donne che s’intrecciano a pensieri e ad azioni di pace e di nonviolenza nel segno dell’inclusione, pur nell’alterità e diversità spazio-temporale del loro essere nel mondo di ieri e di oggi.

PASSAPAROLA: FacebooktwitterpinterestlinkedinFacebooktwitterpinterestlinkedin GRAZIE ♥
The following two tabs change content below.

Adriana Chemello

Adriana Chemello ha insegnato Letteratura Italiana e Letteratura e studi di genere all’Università di Padova. È socia della Società italiana delle Letterate, di cui è stata anche presidente nel biennio 2004-2005. È nel comitato scientifico della rivista on-line “altrelettere”, e della rivista internazionale “Women Language Literature in Italy / Donne Lingua Letteratura in Italia”. Presiede la giuria del “Premio Vittoria Aganoor Pompilj” dedicato ai carteggi ed epistolari. Ha pubblicato numerosi saggi sulla letteratura e la scrittura delle donne dal Cinquecento al Novecento; ha curato l’edizione moderna de Il merito delle donne di Moderata Fonte (Venezia, Eidos, 1988); la ristampa anastatica de I Componimenti poetici delle più illustri rimatrici d’ogni secolo di Luisa Bergalli (1726); e l’edizione commentata dei Racconti di Caterina Percoto nella collana “Novellieri Italiani” (Roma, Salerno editore, 2011). Collabora con la rivista «Leggendaria». Da qualche anno cura la rubrica “Dalla parte di lei” della rivista on-line “Articolo 21”.

Ultimi post di Adriana Chemello (vedi tutti)

Categorie
0 Comments
0 Pings & Trackbacks

Lascia un commento

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.