Da Boccaccio a Manzoni a Starnone “Son qui: m’ammazzi. I personaggi maschili nella letteratura italiana”, il libro di Francesco Piccolo analizza come vengono presentati gli uomini, come si forma la concezione della virilità e scrive che cambiare è impossibile. Ma chi recensisce il libro non è d’accordo con l’autore
Di Barbara Mapelli
Il libro di Francesco Piccolo nasce da un proposito che può apparire banale, poiché dichiara ciò che è largamente risaputo: la letteratura ha influenzato profondamente, ha condizionato, come l’educazione e le altre esperienze biografiche, la nostra percezione di genere, ci ha formato all’essere donne e uomini quali ora siamo e ci riconosciamo, e come tali riconosciamo chi ci vive attorno. In particolare nel testo si parla di maschilità.
Tutto ciò, appunto, lo sappiamo, ma in realtà, a quel che so, l’autore si produce in qualcosa che finora non è mai stato fatto da un uomo per gli uomini: scorre la storia della nostra letteratura attraverso alcuni autori significativi analizzando come vengono presentati gli uomini, come si forma e si impone la concezione della virilità attraverso le sue caratteristiche, i moti dei suoi protagonisti: violenti, gelosi, possessivi, fragili e vigliacchi, ambigui e traditori, vittime e persecutori delle donne. Una sequenza di ritratti che si avvia da Boccaccio fino a un autore contemporaneo, Domenico Starnone, tredici narrazioni di narrazioni, romanzi basilari nella storia letteraria italiana.
L’inizio e la fine, da Boccaccio a Starnone, sono scelti per dimostrare, nell’arco delle interpretazioni di Piccolo, quello che egli dichiara verso il termine del volume parlando del personaggio nel romanzo Via Gemito, il padre del narratore, Federì. «Ecco, appunto, Federì è il personaggio maschile, violento, geloso, orgoglioso della virilità, arrogante, volgare, spaventoso per tanti aspetti; ed è il personaggio costante fino al tempo presente. È come se stessimo dicendo che dai tempi del Decameron a oggi, il maschio è sempre rimasto lo stesso». (p.126)
Mi soffermo solo su quest’ultimo racconto, perché è ulteriore e sufficiente dimostrazione di quanto Piccolo va scrivendo non solo nel presente, ma in molti, se non tutti, i suoi libri: l’uomo nuovo non ci sarà mai, cambiare per gli uomini non è possibile e lo dichiara nell’introduzione citando le parole di Carla Lonzi: «Noi neghiamo come un’assurdità il mito dell’uomo nuovo». (p.x)
Ne affida la dimostrazione a quello che sa fare, raccontare.
«Non è una denuncia, questa; è soltanto una testimonianza dei fatti. La denuncia in letteratura è imbarazzante, se non stupida; chiede: non fatelo vedere più, non raccontatelo più. Inoltre bisogna diffidare di quelli che raccontano per poi dare un giudizio sommario e definitivo, che di solito vi sembra sia giusto, e lo è anche – del resto i giudizi sommari e definitivi si possono dare solo se si è sicuri che siano giusti. Ma non servono a nient’altro se non a seppellire. Invece bisogna raccontare e raccontare, a prescindere che lo si faccia con coscienza o no. Perché certi racconti di altri secoli, a vederli ora, hanno lucidità assoluta su quello che ancora succede». (p. VIII)
Scelgo, come dicevo, l’ultimo racconto perché tratta di un passaggio generazionale, che testimonia l’inanità della ricerca maschile di cambiamento.
Federì, come già accennavo, è il padre del narratore, ovvero Domenico Starnone: è un uomo violento, picchia la moglie, si produce in performances che testimoniano la sua forza impetuosa e incontrollata. Il figlio lo teme, non vuole essere come lui e, al tempo stesso, lo ammira e vorrebbe emularlo. Federì di lavoro fa il ferroviere ma è anche un artista, un pittore, e ha un certo successo. Probabilmente a partire da questa spinta emulativa, Domenico diverrà lui stesso un artista, uno scrittore. Pur se cerca di liberarsi da una certa maschilità feroce e cerca di essere diverso dal padre. Il narratore insomma, scrive Piccolo, continua a dibattersi all’interno della doppia e contraddittoria vergogna «di non essere capace di avere la sua forza; e di avere avuto un padre così violento. Da una parte il narratore si sente un incapace davanti alla potenza di suo padre, dall’altra è proprio quella l’origine del suo dolore, perché tutto questo ha a che fare con il picchiare la madre (…) Starnone condanna e partecipa, il figlio dice che il padre ha torto e ha anche un po’ragione; racconta per dimostrare di non essere come lui, poi però mostra di essere, in modo incontrollato, un po’ come lui. Non si intrecciano solo le due voci, quella del narratore e quella interiore di suo padre in quel momento; si intrecciano le loro idee del maschile, si combattono e si attirano». (pp.128, 133)
Il figlio si fa tramite e interprete della violenza del padre, ne resta invischiato, diviene in qualche modo complice, rappresenta una forma di continuità. «E nonostante tenti disperatamente di raccontarne la distanza, lega il maschio di allora a quello di oggi». (p.136)
Così Francesco Piccolo conferma la convinzione – l’impossibilità per il maschio di cambiare – di cui è tessuto il suo libro, di cui ogni diversa narrazione dimostra la giustezza. Si tratta di un testo ben costruito, molto piacevole alla lettura e con non pochi tratti di profondità, che apre gli occhi su molte verità.
Ma non posso essere d’accordo.
Non posso essere d’accordo innanzitutto con l’interpretazione che l’autore dà della frase di Lucia che diviene il titolo del libro: Son qui: m’ammazzi. Lucia – e siamo nella narrazione dei Promessi Sposi – è in ginocchio davanti all’Innominato e Piccolo interpreta la sua frase, che muta il personaggio spietato, ne avvia la conversione, come la vittoria ottenuta attraverso la dimostrazione di una resa totale. «È come se Manzoni dicesse che la forza femminile, la capacità di produrre un risultato, stia nella concessione totale, nella resa a quella forza che ha di fronte». (p.IX)
Non è così e noi donne lo sappiamo, e l’abbiamo ampiamente dimostrato. E tanto basti senza aggiungere altro.
Ma non posso essere d’accordo neppure sulla tesi che attraversa e sostanzia il libro. In realtà gli uomini sono cambiati, hanno avviato un percorso lungo e accidentato che forse è solo all’inizio, ma parlo con molti, scrivo con loro, mi confronto con uomini che pure a fatica fanno i conti con la loro maschilità. E ottengono risultati.
Il femminismo ha offerto alcuni buoni esempi di pratiche riflessive cui si sono ispirati, ma il lavoro lo fanno e lo devono fare loro, anche confrontandosi con le narrazioni letterarie che raccontano sfide cartacee, sofferenze stampate su pagine che rappresentano, possono rappresentare momenti utili di riflessione, ma anche soglie su cui soffermarsi per poi superarle.
Francesco Piccolo, Son qui: m’ammazzi. I personaggi maschili nella letteratura italiana, Einaudi, Torino 2025
PASSAPAROLA:








Barbara Mapelli

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