Quando la scrittura autobiografica aiuta le donne ad autorizzarsi e desiderare. Un progetto nato a Parma per merito di Daniela Rossi e Francesca Avanzini, che ha mobilitato alla scrittura centinaia di donne, attraverso un concorso, e da cui è nata una antologia, “Donne che raccontano storie”
di Loredana Magazzeni
La scrittura di sé, nella letteratura prodotta dalle donne, ha rivestito una dimensione intima che conteneva una volontà generativa, di rinascita personale e si basava sulla ricostruzione di alcune tappe della complessa edificazione di un’identità. E nella storia delle donne la scrittura in generale, e quella autobiografica in particolare, diventano uno straordinario strumento di emancipazione e liberazione, forse il principale. Vediamo però di mettere a fuoco la differenza fra i due termini memoir e autobiografia.
Il memoir è una scrittura selettiva, che sceglie e connota attraverso la storia di alcuni particolari eventi o periodi presi come momenti basilari, pietre di paragone dell’esistenza. L’autobiografia è anch’essa una forma di racconto di sé, ma segue un andamento cronologico progressivo, può essere scritta in prosa, in versi, in forma di saggio.
Per agire il cambiamento le donne hanno dovuto superare con sofferenza e costi personali i limiti loro imposti da una cultura patriarcale che le voleva conformi ai propri modelli. Ricordiamo i plutarchi e i galatei dell’Ottocento, ritenuti basilari, allora, nella cosiddetta educazione delle ragazze, che dettavano le regole del concetto di virtù e buon costume. Questo retaggio si è trascinato fino a oggi, ben oltre l’entrata delle donne nella sfera pubblica.
Si deve perciò al movimento delle donne, e ad Adriana Cavarero, in particolare, tra le filosofe, il mettere l’accento sulla narrazione, sul racconto di sé per ridare valore a partire dall’esperienza personale. Anche la psicologia e le discipline sociali hanno dimostrato che la familiarità con la propria genealogia aiuta le donne a trovare il loro posto nel mondo, e che la revisione della vita permette di venire a patti con il proprio passato.
A noi interessano le scrittrici e il canone femminile finora rimasto invisibile. Tratti autobiografici si trovano in tutte le grandi scrittrici, a cominciare dalle mistiche. C’è in loro un amore e un interesse per le vite, che siano di grandi donne del passato da portare ad esempio (le sante, le regine) che siano vite di donne comuni, da cui partire per raccontare un’epoca e una condizione sociale. È chiaro oggi che sia la storia sia la letteratura hanno al loro centro la memoria, che può essere attivata da oggetti, arredi, colori, sapori, suoni. Scrivendo autobiografia e memoir le scrittrici moderne hanno operato così una scelta precisa, in costante tensione fra pubblico e privato, individuale e collettivo.
Resta comunque il fatto che nell’autobiografia, la forma del racconto attua un ulteriore gioco manipolatorio di omissioni e selezioni, arrivando a confondersi col racconto di finzione, come accade in tante autrici, fra cui Elena Ferrante. Ricordiamo alcune delle grandi opere autobiografiche prodotte da donne: da Una donna di Sibilla Aleramo a Una giovinezza del XIX secolo di Neera, da Stella mattutina di Ada Negri a Diario di una scrittrice di Virginia Woolf, da Memorie di una ragazza perbene Simone De Beauvoir, alla Doris Lessing di Sotto la mia pelle, ma anche a tutti i romanzi di Annie Ernaux, fino a Ágota Kristóf, Dacia Maraini, Rossana Campo, Laura Lepetit e molte altre. Come non sottolineare il tema della memoria nelle scrittrici della Shoah, come Giuliana Tedeschi e Edith Bruck, o il focalizzarsi della scrittura autobiografica sui percorsi individuali e le scelte politiche, come accade in Goliarda Sapienza o in Maria Occhipinti.
La narrazione autobiografica è dunque uno strumento per le donne di produzione di senso e di costruzione identitaria: «narrarsi è anche (e in modo particolare) formarsi: farsi carico di sé, delinearsi nel tempo» (Franco Cambi). Lo scopo della ricerca femminista è allora la ricerca di percorsi nuovi che aiutino a comprendere l’esperienza delle donne, le loro relazioni, il loro linguaggio.
In questo senso vanno i laboratori di memoir avviati a Parma da Francesca Avanzini, da un progetto ideato da Daniela Rossi (Donne che raccontano storie, che ha portato a questa antologia). È stato per me un piacere e una responsabilità accettare l’invito di Daniela Rossi a far parte della giuria che con molta attenzione ha selezionato i migliori racconti fra le centinaia di testi arrivati al concorso.
Un lavoro insieme personale e corale, che racconta la capacità delle donne di stare insieme, di mettersi in cerchio, di guardarsi l’un l’altra e di raccontarsi, quello dell’antologia. Così alcune autrici si raccontano, fra queste Simona Buffa che ci parla del mondo infantile racchiuso nel grande condominio, quasi incombente come un universo a sé, murato e invalicabile per la bambina che era, al di là del quale lei immagina e infine raggiunge il pulsare della vita vera.
Così Adriana Ferrarini tratteggia la figura della madre attraverso il ricordo dei suoni, il mitragliamento della macchina da cucire o le canzoni che fischiettava. Anche in questo racconto c’è un dentro, con i suoi tesori e c’è un fuori, gli anni Sessanta e Settanta, da scoprire nel mondo grande, il male tenuto lontano e distante dalla presenza del padre e della madre.
Luciana Floris racconta la sua esperienza scolastica di lenta scoperta delle emozioni e del corpo, scoperta sottolineata dall’espressione “il tempo è nel ventre”.
Maurena Lodi sottolinea il passaggio dalla campagna alla città, le figure di madri forti dalle capacità senza limiti, delle madri guerriere. Spesso di mette a tema la violenza nell’educazione familiare degli anni Sessanta, temi vicini a quelli di Annie Ernaux, in cui la cosa che più pesa alle ragazze è quella di rimanere invisibili e inascoltate.
Ivana Manferdelli in Affetti stabili racconta con ironia le strategie di sopravvivenza messe in essere nel periodo della pandemia che, durante il primo lockdown, permetteva l’incontro e il ricongiungimento solo per i cosiddetti “affetti stabili”, creando così vuoti, condizioni particolari che la scrittrice riempie abbandonandosi al racconto.
In Le ginnaste Susanna Tosatti ci racconta il dramma delle ginnaste ucraine e di quello doppio di chi diventa madre in luoghi di guerra.
Laura Vicari con In terra straniera mette in relazione le storie di migrazioni interne (gli italiani emigrati dal sud) e quelle esterne, ritrovando in esse una comune umanità.
Barbara Vuano si apre al ricordo della propria esperienza giovanile di mamma precoce, la cui vita diviene un lento e inesorabile riscatto di sé e della propria libertà, ottenuto ardendo nel desiderio di rinascita, come per un processo di “autocombustione”. Queste ed altre scrittrici ci raccontano, con i propri testi, il doppio movimento della scrittura e della vita. Delle tante forme di forza che hanno le donne, questa del sapersi dire e raccontare, pur nei momenti difficili, è da valorizzare e non lasciare in secondo piano.
Daniela Rossi e Francesca Avanzini, Donne che raccontano storie, Consulta Libri e Progetti, Reggio Emilia, 2024

Loredana Magazzeni

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