C’è un rumore di fondo che mi disturba e che voglio ascoltare in questa storia che vede protagoniste Alice Munro, morta lo scorso maggio a 92 anni, maestra del racconto, Nobel per la letteratura nel 2013, riconosciuta globalmente come scrittrice femminista, e la terza delle sue quattro figlie, Andrea Robin Skinner, una figlia che può cambiare la nostra lettura dell’opera della madre.
Straniante per me, in questa prospettiva, più che la ri-lettura di “Nemico, amico, amante” (2001) è la contraddizione della sua scelta coniugale con “La vita delle ragazze e delle donne” (1971), scritto che già aveva 40 anni. Certo la letteratura può tutto, la scrittura è libertà. Ma ha senso scollare un’arte dall’agire? La risposta è facile se parliamo di thriller, è la fiction, non è lo scrittore l’assassino. E per noi femministe è immediata quando si tratta di denunciate l’ignavia degli uomini verso i propri simili.
Mi chiedo però se si può “costruire” il proprio dolore sopra il corpo delle figlie.
Sappiamo che un abuso può essere taciuto per 30 anni (nel libro #quellavoltache raccolsi le testimonianze) perché elaborarlo è doloroso quanto subirlo. Considerazioni e polemiche già spopolarono con il caso Weinstein (che comunque fu condannato per stupro e violenza sessuale a 23 anni di carcere).
Quello che non riesco a scorgere tra le righe di Munro (certo sono un po’ “frettolosa” perché trovo noioso il genere del racconto, in realtà) è una certa denuncia, disgusto, paura (?) verso quella “prigione tossica” che dovrebbe essere stato il suo rapporto con l’abusatore/marito. Ho detto che la leggo male. Da sempre. Eppure sembrerebbe andata proprio così. Salvo scriverne, di se e del proprio disagio, meno della propria debolezza forse. Per nulla della propria figlia. Eppure è lei la storia.
L’intellettualità può farsi alibi? Una vita di letteratura di denuncia – non autodenuncia – può legittimare l’omertà? Può far cadere la più importante delle domande: “Tu come stai?”
E non sta anche nella “nostra” tolleranza assolutoria (è nata nel ‘31, è una grandissima scrittrice…) che il tarlo del potere maschile violento (si abusa in molti modi) può scavare cunicoli dentro di noi?
Questo brutto fatto di cronaca, che purtroppo non parla tanto di Andrea quanto di Alice, che invece dovrebbe dialogare anche con noi, io credo, mi chiarisce perché mi ritrovo a leggere la generazione delle madri con insofferenza sempre maggiore, fino a risultare una lettura straniante. Hanno agito il potere su di noi esattamente con la struttura culturale che stiamo combattendo e che cerchiamo di superare al costo delle nostre vite. Un’impostazione di provenienza patriarcale loro impartita e non superata nonostante il contro canone linguistico che andavano sperimentando (erano emancipazioniste d’altronde). Non mi interessano più le loro contraddizioni.
Davvero abbiamo così bisogno di giganti e non di una vita ordinariamente salvifica? Può esistere un’”amnistia” per la letteratura tale da farci continuare ad aver fiducia nelle parole nonostante la forza delle scelte? Un Marx miliardario globale avrebbe sortito lo stesso effetto sulle “masse”?
Fosse stata Munro una scienziata che ha scoperto le stelle, risponderei di si. Ma non era Hedy Lamarr che inventò il wireless primordiale e fu diva di Hollywood. Alice Munro è stata la femminista che ha scoperchiato il cosmo dell’abuso anche sul corpo di sua figlia senza diventarne sorella. Allora, no non sarei così assolutoria. Troppi alibi in una letteratura troppo auto centrata.
Penso invece che, se la storia è vera – “sorella io ti credo” dovrebbe valere sempre, anche in questo caso talmente scomodo – è proprio la morte della madre ad aver dato il coraggio alla figlia di parlare.
È il peso massiccio e ingombrante (abusante oserei dire) di quella generazione a frenarci. Chi ha perso la madre, sa cosa dico. E so quanto sia difficile ammettere che è proprio da quella voragine che sgorga (se sgorga) in tutta la sua forza il coraggio di cambiare.
Il lentissimo “progresso” del Gender Gap globale dice che ci vorranno 134 anni per raggiungere la parità di genere. E che è importante formarci.
Credo sia giunto il momento che questo passi anche dalle nostre letture che devono farsi più critiche verso la generazione delle madri oltre che dei padri. Lo so è doloroso, ma è necessario imparare a fare senza.
Le madri parlano a se stesse, non parlano con noi, ecco cosa mi sta disturbando, ed è esattamente quello che Munro mi aiuta a scoprire. Credo stia in questo gesto di appropriazione/espropriazione la forza delle nostre madri. E sta tutto nella loro perdita. La figlia che denuncia lo sa.
E per tutte è ora di lasciarle andare.
PASSAPAROLA:









Simona Bonsignori

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