La scrittrice sarà ospite ad Archivio Aperto, il Festival di Bologna dedicato al patrimonio cinematografico privato, sperimentale, d’artista con 19 film in gara, nella sezione “Poetry, Diaries, Novels” curata dalla co-direttrice della kermesse Giulia Simi e da Francesca Maffioli, che LM ha intervistato
di Amanda Rosso
Dal 25 al 30 ottobre a Bologna è in corso la XVI edizione di Archivio Aperto (il festival dedicato alla riscoperta del patrimonio cinematografico in piccolo formato — privato, amatoriale, sperimentale, d’artista — organizzato dalla Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia), dedicata al futuro della memoria, alla memoria come atto creativo e desiderante: «Pensare la memoria come atto creativo significa pensarla come laboratorio di costruzione del futuro, come materia con cui tessere le immagini per nuovi paesaggi, nuove relazioni, nuovi accadimenti».
Il programma è ricco e offre prospettive diverse e intessute di legami sotterranei indissolubili. Non un compito facile quello della giuria composta dalla regista e ricercatrice Adele Tulli, autrice di Normal (2019), da Mads K. Mikkelsen, a capo della programmazione di CPH:DOX., e da Fiona Tan, regista sperimentale e autrice di Dearest Fiona (2023): 19 i film selezionati fra le oltre 300 proposte provenienti da 20 Paesi. In gara anche 9 anteprime italiane.
Nel nutrito programma di proiezioni, incontri e workshop, uno degli eventi più attesi della rassegna è la serata di lunedì 30 ottobre che, nell’ambito della sezione Poetry, Diaries, Novels curata da Francesca Maffioli e Giulia Simi (co-direttrice del festival assieme a Sergio Fant) vede il ritorno in Italia dopo più di dieci anni della autrice Jamaica Kincaid, che sarà introdotta da Nadia Terranova e in dialogo con Francesca Maffioli.
Poetry, Diaries, Novels. Film di famiglia e letteratura, quest’anno alla sua seconda edizione, è una sezione che «propone un incontro con uno scrittore o una scrittrice che più di altri abbiano messo a fuoco il tema della parola come indagine sulle storie personali intrecciate alla storia collettiva. I frammenti di vita compongono così il mosaico della storia: passata, presente, futura. Nella loro ricerca, spesso i media di registrazione della realtà – fotografia, cinema – scorrono sotterranei: evocati, indagati, interrogati».
Kincaid, nata Elaine Potter Richardson in St. John’s, nell’isola caraibica di Antigua nel 1949 si trasferisce a New York a diciassette anni per lavorare come au pair e sostenere la famiglia. Dopo essersi iscritta alle scuole serali e aver vinto una borsa di studio per il Franconia College in New Hampshire, decide di abbandonare gli studi per tornare a New York dove collabora con diverse riviste fino ad approdare al prestigioso The New Yorker.
Dopo aver cambiato nome negli anni Settanta – per assicurarsi che ad Antigua nessuno sapesse che scriveva – pubblica la sua prima novella At the bottom of the river nel 1983 (In fondo al fiume, Adelphi, 2011 trad. Franca Cavagnoli), seguita in rapida successione da Annie John nel 1985 (Adelphi, 2017, trad. Franca Cavagnoli) e Annie, Gwen, Lilly, Pam and Tulip l’anno successivo. Nel 2023 esce per Adelphi Autobiografia di un vestito, con la traduzione di Cavagnoli.
La redazione di Letterate Magazine ha avuto il piacere di intervistare Francesca Maffioli, la curatrice assieme a Giulia Simi della sezione Poetry, Diaries, Novels.
L’edizione di quest’anno di Archivio Aperto si focalizza sulla memoria, sui suoi aspetti creativi, quindi sia legati all’immaginazione sia alla potenza creatrice della memoria. La memoria nella scrittura delle donne, soprattutto delle donne marginalizzate, ha un ruolo cruciale nell’affermazione di una identità complessa e in un certo senso della riappropriazione di una storia individuale e condivisa. Quella della scrittura memoriale e autobiografica accomuna sia Annie Ernaux, l’ospite della passata edizione, che Jamaica Kincaid…
Entrambe le scrittrici guardano alla memoria personale come ad uno strumento per raccontare come la Storia ha attraversato le loro ma anche le nostre esistenze. Entrambe hanno scritto storie abitate da personagge che giostrano tra la prima persona e la terza, riuscendo a rendere tutta la complessità dell’autobiografismo letterario. «I myself am a fiction» ha dichiarato Kincaid, e Ernaux invece ha detto a più riprese di non riconoscersi nell’autofiction. In effetti entrambe parlano di loro stesse, pur non facendolo veramente: scandagliando la memoria dall’infanzia fino ai tempi presenti – ancorate alla Storia collettiva. Da una parte quella francese, dalla Normandia del secondo dopoguerra fino agli anni parigini, quelli della contestazione; dall’altra Antigua, la diaspora africana, lo sradicamento e l’arrivo a New-York e poi nel Vermont. L’infanzia e i pomeriggi nel retrobottega del café-épicerie familiare a Yvetot ha il suo corrispettivo nelle giornate ad Antigua, trascorse tra la scuola delle monache inglesi e la biblioteca – considerata dalla voce narrante di Kincaid un luogo meraviglioso. Da una parte abbiamo la provincia francese e Parigi, dall’altra Antigua, l’impero britannico e gli Stati Uniti.
Jamaica Kincaid, è una scrittrice dalla potenza stilistica rara e ha uno sguardo profondo sulle relazioni di potere, sia nell’intimità che a livello macropolitico, specialmente nelle relazioni di genere, classe e razza, categorie che si inseriscono all’interno di un sistema coloniale e post-coloniale…
Jamaica Kincaid è una scrittrice sconvolgente. Scelgo quest’aggettivo a ragione, e amando anche la faccia devastante del termine, anzi forse amandola propria per questa ragione. Ho letto tutte le opere di Kincaid, anche se piuttosto tardi (ho iniziato una decina di anni fa), e In fondo al fiume (Adelphi, 2011) è l’ultimo libro che ho letto. Eppure in quel testo, che raccoglie i primi racconti che la scrittrice pubblicava sul “New Yorker”, mi sembra che ci sia già tutto quello che ritroviamo in quelli successivi. L’intranquillità dell’infanzia e dell’adolescenza, il rapporto fantasmatico madre-figlia che ritroveremo in Autobiografia di mia madre (Adelphi, 1997), lo scandagliamento dei modi in cui i rapporti di potere governano le relazioni umane e l’ambivalenza che tiene i sentimenti più complessi – come quando la protagonista di Annie John lascia (sollevata e insieme abbattuta) i genitori e l’isola di Antigua alla volta dell’Inghilterra. Per tutti questi motivi, quando Giulia Simi mi ha contattata per parlarmi della sua idea di invitare Jamaica Kincaid, ho accettato senza pensarci e con gioia. La scrittura di Kincaid è sovversiva perché mette in discussione, scardina e sovverte. E non rassicura, mai. In Un posto piccolo (Adelphi, 2000), che è un saggio su come il turista occidentale percepisce l’altrove, segnatamente l’isola di Antigua, la voce di Kincaid riversa la sua rabbia nei confronti dell’ottusità occidentale e di quella configurazione per cui si perpetuano le posizioni di subordinazione volute e mantenute dall’impero coloniale inglese. Le allusioni alla tratta atlantica e alla diaspora africana sono continue. Il prototipo di turista a cui il testo è rivolto è il maschio bianco, europeo e americano. E io, Amanda, per rispondere alla tua allusione all’intersezionalità, aggiungo che si tratta dell’uomo dalle larghe disponibilità finanziarie, che opta per i Caraibi …
Biografia di un vestito è uscito quest’anno per Adelphi con la traduzione di Franca Cavagnoli, una coppia di racconti in cui la memoria, quella quotidiana raccontata dagli oggetti, è al centro della narrazione…
Cavagnoli è una traduttrice eccellente ed è anche una fine conoscitrice dell’opera di Kincaid. Questi racconti vennero scritti dall’autrice a qualche anno di distanza – entrambi negli anni Novanta. In entrambi troviamo una fascinazione nei confronti dell’immagine: della propria, di quella catturata dall’obiettivo fotografico e di quella riflessa, nello specchio e negli occhi di chi osserva. L’autrice, sbarcata negli States, frequentò a New-York una nota scuola di fotografia, la New School for Social Research. Biografia di un vestito, da cui è tratto il titolo del nostro libricino, racconta di una bambina e di una madre e dei giorni che precedono lo scatto di una fotografia in uno studio fotografico ad Antigua. La bimba ha due anni e la madre le ha confezionato con perizia un abito in popeline giallo. Scrive Kincaid: «un tessuto leggero dalla grana compatta, lavorato nelle città francese di Avignone e portato in Inghilterra dagli Ugonotti, ma al tempo non potevo saperlo». L’altro racconto, che si intitola Quando ho rimesso insieme i pezzi parla ancora degli oggetti che ci vestono e ci rivestono, ma stavolta di quelli di una protagonista più adulta – una giovane donna razzializzata nella New-York classista degli anni Settanta.
L’incontro con Jamaica Kincaid si svolgerà lunedí 30 ottobre dalle 17.30 alle 19.00 all’Auditorium Enzo Biagi. Per info e prenotazioni cliccate qui.
Per esplorare il programma di Archivio Aperto cliccate qui.
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Amanda Rosso
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