Marinella Senatore, incaricata di festeggiare i 20 anni del Palais de Tokyo a Parigi, ha creato «l’alleanza dei corpi»: performance, workshop, DJ set, con artist* e sportiv*, professionist* e dilettant*. Una scrittrice che vive a Parigi ci racconta come quella serata le è sembrata la promessa di altri modi di fare società, politica, legame, azione, un modo diverso di intendere il potere, di vivere la terra
di Chiara Mezzalama
Ci sono dei momenti di grazia. Preziosi e rari, come quello che ho vissuto qualche tempo fa al Palais de Tokyo a Parigi. È cominciato all’aperto, davanti al marmoreo ingresso monumentale di questo palazzo, con i tamburi potenti della Batucada brasiliana, alcune ballerine in tutù bianco di una scuola di danza parigina e quattro danzatori, «stilosi» ha subito decretato mio figlio, scegliendo senza esitazione di seguirli all’interno del museo; quest’ultimo investito (nel senso letterale del termine) dalla forza delle idee di Marinella Senatore, che per festeggiare i 20 anni di quest’istituzione consacrata all’arte contemporanea, ha avuto carta bianca. Per quattro giorni, in settembre, il Palais de Tokyo ha accolto performance, workshop, DJ set… un festival che ha riunito più di quaranta associazioni di artist* e sportiv*, professionist* e dilettant*, il cui coinvolgimento culminava in più di due ore di esibizione, una sorta di rito contemporaneo che questiona il ruolo dell’arte e dei luoghi di esposizione, in questi tempi incerti e tristi.
Tra le luminarie colorate, che riprendono le atmosfere delle feste paesane, – da sempre la luce è al centro del lavoro di Marinella Senatore –, si comincia con un invito: «Dance first, think later». Allora mi lascio trascinare da questa sarabanda incredibile, di suoni, corpi, costumi, un’energia pazzesca che si sprigiona fin dai primi momenti, come se Senatore fosse la direttrice di un’insolita orchestra di strumenti umani. Si intuisce una regia, un pensiero che è profondamente politico e consiste nel costruire una comunità, per quanto temporanea, non gerarchica, fluida, variegata e inaspettata come le comunità che nascono, o dovrebbero nascere, dal dissesto. Precarie, certo, ma potenti e necessarie come quelle descritte da Anna Tsing ne «Il fungo alla fine del mondo».
Fin dai primi istanti, infatti, ci si sente parte di qualcosa di più grande, subito il pubblico si mescola con gli artist*, a loro volta mescolat* come in una grande parata, un altro monito richiama l’attenzione: «L’incoerenza è un risultato straordinario». Come raccontare l’energia che si sprigiona da questo inno alla vita? L’origine è un battito, ritmo ancestrale e profondo dei tamburi della Batucada che fanno entrare in risonanza i diversi corpi degli artist*, e i nostri corpi con loro.
In questo movimento circolare compaiono, come per magia, alcune coppie di danzatori di tango che sembrano fluttuare senza peso, in mezzo al movimento decisamente potente delle pattinatrici di Roller Derby, mentre alcuni ragazzi volano e si arrampicano usando le strutture in cemento brut del Palais de Tokyo per il Parkour, saltando in mezzo alle ginnaste con i nastri e le acrobazie, mentre un coro di donne inizia a cantare, sfumando nei suoni dei Beatboxer, che danno il ritmo a un gruppo di persone disabili, alcune in carrozzella, ed è un momento sconvolgente perché capisci che chiunque può far qualcosa di bello con il proprio corpo, nella misura in cui gli altri ti sostengono, ti guardano in un certo modo, senza pregiudizi e con amore, con le paillettes sugli occhi dei Cheerleader, quasi tutti maschi, i loro pompon scoppiettanti e il suono dell’arpa che per qualche istante, come una polvere d’oro, trascina i lottatori nella bellezza delle forme, fino a raggiungere la leggerezza degli Acroyoga che paiono un unico corpo mutante, e che rumore è quello? È quello delle «claquettes», giovani e bellissimi ballerini di tiptap, l’orchestra di steel drum non ha finito di riempire lo spazio di suoni cristallini che il coro di gospel attacca, e c’è un tipo da solo che brandisce la spada coreana, i samurai, si sa, sono tipi solitari, e ancora un’orchestra di fiati, tamburi africani, danzatrici di tarantella e tutti e tutte per un tempo lunghissimo sembrano totalmente felici di essere immers* in questo flusso energetico che accoglie ogni diversità.
E penso con un certo orgoglio da espatriata a quest’artista italiana, Marinella Senatore, che è riuscita a mettere insieme tutta questa bellezza, immaginando con accuratezza ogni incontro e movimento, così da farlo apparire quasi casuale. Questa «alleanza dei corpi» sembra la promessa di altri modi di fare società, politica, legame, azione, un modo diverso di intendere il potere, di vivere la terra, fare arte, stare insieme, immaginare. Usciamo dal Palais de Tokyo ballando e incontriamo la Tour Eiffel vestita di luce dorata. In altri (numerosi) luoghi della terra, la promessa di Marinella Senatore sembra ancora così lontana, inimmaginabile. Ma è stato così bello crederci, almeno per una sera. Non si può mai sapere quanto lontano può andare una scintilla di luce.









Chiara Mezzalama

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