La fragilità e la forza dei singoli nel romanzo “Splendora” di Alessia Bronico, che sarà a Roma a Feminism6 (3-6 marzo). E intorno la comunità abruzzese che assiste alla sua emancipazione e pulsa di vita: la “malfatta”, la “ciurma degli zii”, l’amica Ida, l’upupa, le tradizioni, le feste. Un’Italia regionale ed eccentrica come quella de “L’arminuta”
di Loredana Magazzeni
Vincitore del Premio internazionale di letteratura Città di Como 2022, il romanzo di Alessia Bronico, scrittrice e poeta di origine abruzzese (di Atri, più precisamente, la “regina delle colline”) colpisce per l’originalità dell’impianto narrativo e la complessità tragica della vicenda narrata.
Il libro narra la storia di Dora, ragazza di origini popolari, che proviene da una famiglia disagiata, in carico ai servizi sociali, potremmo definirla con linguaggio burocratico, una ragazza che costruisce però con le unghie e con i denti la sua normalità, strappandosi letteralmente dal rapporto con la madre e i familiari, facendo a brandelli i pur fragili legami che la univano a un contesto familiare disfunzionale e malato. Ma è anche la storia di un’amicizia femminile, quella con Ida, alter ego di Dora, di provenienza sociale opposta ma non per questo meno esposta alla violenza familiare e sociale.
La ricostruzione narrativa segue tappe cronologiche precise, dal 1975 (gli anni della prima infanzia) al 1988 (gli anni di una giovinezza dolorosamente autocostruita e finalmente autonoma), avvicendando date e racconto in modo da lasciare alternante il contatto del lettore con la vita di Dora, tra presente e un passato ingombrante e nefasto, da cui il presente sgorga e procede.
La forza di Dora sta in questo contrappunto: non si lascia annientare dal suo passato, se ne distacca e costruisce con lucida determinazione la sua libertà finalmente conquistata.
Questa la trama in breve, ma è altro ciò che il libro ci offre. Intanto, la pratica dell’autrice con il linguaggio della poesia dona al testo un tessuto linguistico poetico e avvolgente, dove quasi epicamente vengono utilizzati nomi ed epiteti di omerica memoria per definire personaggi e vicende. La “piccola sdentata”, “il vecchio grigio”, “parola di zucchero”, “la malfatta”, Isolina, “la zia dalle mani appuntite”, ogni persona viene definita da una qualità fisica o morale, come avviene nel racconto epico e in quello più semplice ma ugualmente antico delle piccole comunità rurali. Ad esempio, Angeladivina, la cuoca del ristorante presso cui lavora Dora, è la “donna corta e grossa”, che “tentava sempre di imbottirla, ci teneva a quella ragazza tutta luce e solitudine”.
Un altro aspetto che si collega a questo è quello dell’inserzione del dialetto (scrima, sgrimoni, quessa so’ io…) e delle intramature comunitarie che identificano e danno storia alla vita dei singoli di un comune abruzzese nel Novecento, Atri. Ad esempio, le pratiche, come la foratura delle orecchie per le bambine, la visita ai feretri dei parenti, i giochi come a “quattro cucuzze e tutto il cucuzzaro”, le feste di paese, gli addobbi, le famiglie allargate, con “la ciurma degli zii” e dei cugini che si ritrovano per le festività. In questa prospettiva è interessante leggere il libro come un romanzo regionale, che ci illumina sulle cerimonie familiari e sociali, il trascorrere del tempo e delle stagioni, e i linguaggi che costellano la vita degli abitanti, singoli e comunità. Non si tratta però di una narrativa regionale, quanto di una narrativa che guarda all’Europa (non dimentichiamo il recente Nobel ad Annie Ernaux per i suoi romanzi autobiografici ambientati nella profonda provincia francese), elegge a soggetto le comunità minori ed eccentriche, come accade in Donatella Di Pietrantonio de “L’arminuta”, o nella Napoli di Elena Ferrante.
E c’è in “Splendora” la presenza di un uccello, l’upupa, che come il cardillo di Anna Maria Ortese aggiunge la presenza confortante di un elemento simbolico mite e benaugurante nella tragedia quotidiana e nella disperata appartenenza, a snodare il filo ingarbugliato del destino.
Costellano il romanzo attacchi di notevole forza: “era una bambina fin troppo calma: aveva addosso la tranquillità degli infelici”, personaggi indimenticabili come la nonna Maria Mafalda, “prima che diventasse la malfatta. Massiccia dalla testa ai piedi, i capelli biondissimi fermi in due pettinesse di tartaruga”, donne capaci di “governare il filo” dell’uncinetto come quello della propria e altrui vita.
Molto ci sarebbe ancora da dire su questo esordio narrativo colto, appassionato, carico di potenzialità e di rimandi affettivi, caro a chi, come me, conosce e ama questi luoghi, e speriamo a chi, ignaro della nostra storia, si appresta ad entrare nella vita della provincia italiana per imparare molto, oltre ogni globalizzazione, sulla forza viva delle comunità.
Alessia Bronico, Splendora, Milano, Francesco Brioschi editore 2022
PASSAPAROLA:








Loredana Magazzeni

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