L’impero che fu narrato in undici storie visionarie nel libro Kalpa Imperial dell’argentina Angélica Gorodischer, che allude alla dittatura di Videla mentre ci immerge in un passato fantastico
Di Manuela Altruda
«La paura risiede negli uomini e non nelle cose, nemmeno nei palazzi diroccati».
Spesso le copertine dei libri non funzionano. È palese che alcuni lettori – quelli impulsivi che in libreria si fanno ammaliare da colori, immagini, evocazioni – comprino un libro convinti di portare a casa una certa storia per poi ritrovarsi tra le mani tutt’altro, spesso delusi. Ma non è questo il caso. Il lettore impulsivo che tirerà giù dagli scaffali Kalpa Imperial di Angélica Gorodischer (1928-2022) porterà a casa esattamente ciò che la sua copertina promette: un mosaico di architetture, incastri, una rappresentazione perfetta e riuscita dell’ingegneria del potere e della narrazione stessa. Nella parte superiore della prima di copertina campeggia un insieme di edifici vagamente art nouveau – sembra quasi di venir trasportati in un giorno qualunque della storia dell’impero austro-ungarico –, segue nella parte centrale una grande porta di pietra che un po’ alla maniera dei giardini di Bomarzo incute timore e, al tempo stesso, suscita curiosità; nella parte inferiore, capovolta, l’antica città di una civiltà perduta nel tempo e nello spazio. I lettori più temerari, quelli che con coraggio proveranno a guardare oltre la porta di pietra, a immaginare dietro le finestre di quegli edifici in apparenza abbandonati un narratore pronto a svelare la storia di dinastie cadute e risorte, allora quei lettori avranno trovato ciò che cercano: la creazione di un’autrice sorprendente.
«Il narratore disse: Strane professioni scelgono gli uomini, non credete? Non voglio dire che ci siano mestieri più pittoreschi o più insoliti di altri. Voglio dire che spesso gli uomini non vivono per essere, o cercare di essere, le migliori persone possibili, ma per aggiungere al proprio nome titoli altisonanti, secchi e vuoti, vesti false e innecessarie che finiscono per prendere il loro posto, schiacciandoli e derubandoli. Tutto questo ha molto a che vedere con ciò che sto per raccontarvi».
Kalpa Imperial fu pubblicato per la prima volta in Argentina nel 1983 da Ediciones Minotauro e tradotto in inglese dopo vent’anni esatti, nel 2003, da Ursula K. Le Guin per Small Beer Press. Lo scorso ottobre, a quasi quarant’anni dalla sua prima comparsa sulla scena editoriale, l’opera di Gorodischer è arrivata anche in Italia grazie allo straordinario – e necessario – lavoro di recupero di Rina Edizioni che l’ha proposta nella collana di straniera “Água viva” (diretta da Luciano Funetta). La traduzione è di Giulia Zavagna ed è, come sempre, una garanzia. L’edizione italiana ha in comune con quella inglese non solo una copertina enigmatica – molto simile nelle scelte iconografiche – ma anche la decisione di non tradurre il titolo. Può sembrare azzardato perché un lettore potrebbe chiedersi di cosa parliamo quando parliamo di un kalpa imperial, ma è più che comprensibile: si tratta di un caso di intraducibilità e qualunque tentativo di resa in un’altra lingua avrebbe rischiato di sminuire l’intento iniziale. Tra l’altro, non è la prima volta che in casa Rina accade qualcosa del genere: anche per la raccolta di poesie di Mina Loy, The Lost Lunar Baedeker, edita sempre nella collana “Água viva”, si è scelta la strada della non-traduzione.
In ogni caso, prima di questa edizione l’autrice argentina era poco noto in Italia, fatta eccezione per il romanzo pubblicato da Edizioni Socrates Come svoltare nella vita (senza farsi ammazzare), e per il più noto racconto «La sposa perfetta» inserito in Le visionarie, una raccolta curata da Ann e Jeff VanderMeer (Nero Editions, 2018, con la traduzione di Veronica Raimo e Claudia Durastanti).
Quando il primo volume di quello che poi sarebbe diventato Kalpa Imperial fu pubblicato in Argentina, il paese viveva un momento politico e sociale di grande cambiamento: dopo otto anni fu messa fine al regime dittatoriale di Jorge Videla e ai soprusi del Proceso de reorganización nacional.
Per spiegare il nesso tra questa breve premessa storica e il libro di Gorodischer è necessario tornare per un attimo al titolo del libro: a cosa allude? Cos’è il kalpa imperial? Nella visione induista e buddhista della cosmologia, kalpa è un termine di lingua sanscrita che indica un ciclo cosmico, forse più noto come giorno di Brahma; si tratta di un arco temporale che si estende sulla lunga durata, un concetto su cui si basa l’intera teoria dell’evoluzione e dell’involuzione del cosmo. L’aggettivo imperial ovviamente fa riferimento a un impero, uno stato, un governo di qualsiasi genere e natura. L’opera, in effetti, è un romanzo – o meglio un romanzo per racconti, undici in tutto – che narra le vicende di un impero che è nato, caduto e risorto innumerevoli volte, in un’epoca lontana e vicina, in un luogo che è un non-luogo. Anche la struttura scelta rispecchia la ciclicità degli eventi, il loro susseguirsi e ripetersi, in fondo, sempre uguali e l’ambiguità degli eventi stessi. È inevitabile mettere a confronto la storia dell’Impero con le vicende dell’Argentina degli anni Ottanta, quella in cui ha vissuto e scritto l’autrice. Una dichiarazione di intenti nemmeno troppo velata se si legge con attenzione l’incipit del primo racconto:
«Il narratore disse: Ora che soffia un vento propizio, ora che sono finiti i giorni di incertezza e le notti di terrore, ora che non vi sono più accuse né persecuzioni né esecuzioni segrete, ora che il capriccio e la follia sono scomparsi dal cuore dell’Impero, ora che noi e i nostri figli non siamo più assoggettati alla cecità del potere; ora che un uomo giusto siede sul trono dorato e le persone si affacciano tranquillamente alla porta di casa per vedere se fa bel tempo e si dedicano alle loro attività e pianificano le vacanze e i bambini vanno a scuola […]».
Il lettore deve affidarsi a narratori differenti che di volta in volta potranno essere più o meno affidabili, più o meno coinvolti in prima persona. Un cantastorie, un fantino, un archivista: uomini che conoscono la storia da punti di vista differenti ma con uno scopo comune, ossia quello di raccontare come – e fino a che punto – il potere plasmi gli uomini. Non è affatto un caso che J.J.R. Tolkien sia tra i modelli di riferimento per l’autrice e che venga citato insieme a Hans Cristian Andersen e Italo Calvino nei ringraziamenti all’inizio del romanzo. L’idea di potere che Gorodischer vuole raccontare è chiara già nelle pagine del secondo racconto/capitolo, «Ritratto dell’imperatore». Il protagonista è un ragazzino di nome Bib «che quando gli altri bambini giocavano in mezzo al fango e gli animali, andava alle rovine e scavava in cerca di strani oggetti che poi ripuliva e nascondeva in un posto segreto dove poteva studiarli e accumularli indisturbato». Un giorno, nella grande casa di pietra tre le rovine, quella di cui tutti avevano timore perché si riteneva fosse il luogo in cui abitava la Paura, Bib trovò una specie di seduta. Le sue dimensioni erano di certo inusuali, ed era ricoperta di pietre dure che luccicavano più di ogni altra cosa mai vista. Quello strambo seggio era un trono e sedendovisi solo per qualche istante Bib, che era un ragazzino minuto, si sentì un gigante. In Kalpa Imperial il trono è l’anello del potere tolkieniano: può corrompere e portare gli uomini sulla strada della follia.
«Il potere è dannoso come un animale non del tutto addomesticato, è pericoloso come un acido, è dolce e mortale come miele avvelenato».
La scrittura di Gorodischer è evocativa e visionaria e, nonostante nulla in questo romanzo rientri nella definizione canonica dell’ordinario, attraverso accurate scelte di lessico e forma trascina il lettore in questo mondo di finzione. Un mondo che però somiglia tanto alla contemporaneità dell’autrice e alla nostra.
E a questo punto, il lettore coraggioso che non solo avrà tirato giù da uno scaffale di una libreria questo volume, impressionato da una copertina enigmatica e da un titolo inconsueto, non solo non desidererà altro che comprendere e possedere l’immaginario di Gorodischer ma riuscirà finalmente a interpretare quella frase in esergo: «il ventesimo secolo mi deprime».
La dama de la ciencia ficción argentina – così era nota in patria l’autrice – ha preso il tempo presente, quello dell’Argentina vittima della dittatura e della sua stessa storia, e l’ha trasformato in una rappresentazione della corruzione dell’uomo che nulla può dinanzi al potere.
Angélica Gorodischer, “Kalpa Imperial”, traduzione di Giulia Zavagna, Rina edizioni, Roma 2022
PASSAPAROLA:








Manuela Altruda

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