CARA PROF 3. Ma cosa insegniamo a figlie e figli?

Paola Meneganti, 4 marzo 2023

Studenti, docenti e attiviste femministe dell’associazione Evelina De Magistris hanno fatto un percorso insieme, compresi podcast e video, poi raccolto nel volume “Fa differenza” a cura di Daniela Bertelli. Scrivono le formatrici: «Abbiamo imparato a riflettere insieme, mettendo in gioco i differenti punti di vista: il valore della differenza è emerso quindi non solo nei contenuti del percorso, ma anche nella metodologia di lavoro»

di Paola Meneganti

“Educare alla consapevolezza del sé per educare alle differenze” è il titolo di un percorso realizzato da alcuni anni dall’associazione Evelina De Magistris di Livorno nelle scuole superiori della città. Si tratta di interventi svolti sia in classe, a carattere di laboratorio attivo, sia a livello di formazione delle/dei docenti, progettati come «contributo alla prevenzione di comportamenti discriminatori e violenti nei confronti dell’altro/altra da sé, sollecitando i ragazzi e le ragazze a decostruire gli stereotipi, a percepire la presenza delle differenze, a partire dalla differenza sessuale, come una occasione di confronto, di ripensamento di sé e dell’altro/altra, di arricchimento personale ed insieme collettivo».
Così si legge in un interessante volume, curato da Daniela Bertelli dal titolo “Fa differenza. Crescere insieme oltre gli stereotipi”. Il volume, la cui stampa è stata finanziata dal Comune di Livorno tramite il CRED – Centro Risorse Educative e Didattiche, è concepito come un racconto e, insieme, una sorta di diario di quanto avvenuto nelle diverse classi di due licei scientifici, coinvolte dal progetto nell’anno scolastico 2019-2020.
Anno cruciale: ragazzi e ragazze fecero appena in tempo a concludere il percorso in classe, prima che l’epidemia da Covid facesse chiudere tutto. Non potendo presentare i risultati del proprio lavoro (video, power point, riflessioni) in una iniziativa pubblica, come negli anni precedenti, le docenti e l’associazione Evelina De Magistris hanno realizzato questo volume, con l’intento non tanto e non solo di dare legittimo riconoscimento alla loro partecipazione, ma anche di testimoniare e lasciare traccia di un lavoro per iscriverlo in una sorta di genealogia di pensiero e di attività.
Il coinvolgimento delle formatrici non ha carattere neutro, ma è palese e dichiarato: «Abbiamo tutte e tutti imparato a cominciare a riflettere insieme, mettendo in gioco i differenti punti di vista: il valore della differenza è emerso quindi non solo nei contenuti del percorso, ma anche nella metodologia di lavoro».
È davvero interessante che moltissime e moltissimi studenti abbiano individuato nella paura di essere giudicati uno degli ostacoli più forti alla pratica della libertà. Questa riflessione la dice lunga sulla potenza di modelli e stereotipi, quando vengono vissuti come un “dover essere” per rispondere a ciò che altrui indica, autorizza, impone. E questo accade ovunque: anche a scuola.
Non a caso, una insegnante, Patrizia Nesti, scrive: «Nonostante tutto la scuola è una struttura gerarchica, che risente delle divisioni sociali e spesso le riproduce, che veicola e ripropone più o meno consapevolmente il sessismo che permea l’ordine sociale attuale. Ecco perché è importante provare a fare un lavoro di decostruzione proprio a scuola …».
Il lavoro di decostruzione ha quindi affrontato i concetti di uguaglianza e differenza, gli stereotipi, la pubblicità e i canoni di bellezza. Il libro testimonia nei diversi ambiti gli esempi di sessismo presenti, in maniera a volte sguaiata, a volte sottile, nella pubblicità, oppure le esternazioni parimenti ed esplicitamente sessiste di personaggi molto presenti sui media, oppure ancora, tasto assai dolente tra gli altri, nei libri di testo. Senza contare gli “esempi” del permanere di una mentalità e di pratiche escludenti nello sport, o in alcuni campi del sapere – segnatamente la scienza – o nello stesso linguaggio.
Ma, con guizzi improvvisi e benefici, si mostrano anche esempi di resistenza e di critica: video e testi giocati sul filo dell’ironia, la rilettura di alcune favole e alcune aziende che si sottraggono esplicitamente al piegarsi allo stereotipo. E poi le parole e le pratiche di molte donne che, magari con fatica, ma con tanta determinazione e, ancora una volta, ironia, «si sottraggono all’immagine tradizionale del femminile, per sé e come indicazione alle giovani generazioni». E ci sono anche prese di posizione di uomini che mettono in discussione il ruolo tradizionalmente attribuito al maschile.
Non solo: nello svolgersi del progetto, e quindi nel libro, sono presenti figure di donne grandi fin dal Medioevo, fino alle reggitrici di governi rinascimentali e alle pensatrici, alle scrittrici, alle scienziate, alle architette; rivisitazioni di figure del mito attraverso il lavoro di re-interpretazione di studiose, scrittrici e scrittori (tra tutte, Penelope, riletta da Margaret Atwood); percorsi, attraverso molte immagini, nel mondo dell’arte; una riflessione attenta sul concetto di uguaglianza presente nella nostra Costituzione, e al sessismo e razzismo delle “avventure” coloniali, compresa quella sciagurata italiana.
Una parte fondamentale del libro sono le voci di ragazzi e ragazze. Scrive Giulia: «(Questi percorsi) Mi hanno fatto capire quanto questo divario tra uomini e donne fosse espresso anche nelle cose apparentemente più banali, come regalare le bambole alle bambine e le macchinine ai bambini, quanto danno faremo se continuiamo a porre questi stereotipi ai più piccoli, rischiando di non riuscire mai a sradicare del tutto il maschilismo. Questo maschilismo che non è dannoso solo per le donne ma lo è anche per gli uomini, posti ogni giorno davanti alle aspettative di essere forti e di non dimostrare neanche un momento di fragilità emotiva».
Una frase-guida che attraversa il libro è di Chimamanda Ngozi Adichie:

«Io vorrei che tutti cominciassimo a sognare e progettare un mondo diverso. Un mondo più giusto. Un mondo di uomini e donne più felici e più fedeli a sé stessi. Ecco da dove cominciare: dobbiamo cambiare quello che insegniamo alle nostre figlie. Dobbiamo cambiare anche quello che insegniamo ai nostri figli». (Dovremmo essere tutti femministi).

Certo è che, come scriveva Carla Lonzi, l’essere femministe è stata ed è una festa per moltissime donne. Cosa augurarsi? Che percorsi come questo, che coinvolgono ragazze e ragazzi, e docenti, possano tradursi in consapevolezza, attenzione, crescita e, magari, gioia. Appunto, una festa.

A cura di Daniela Bertelli, “Fa differenza. Crescere insieme oltre gli stereotipi”, Livorno, editrice Erasmo, 2021, s.i.p.
Chimamanda Ngozi Adichie, “Dovremmo essere tutti femministi”, Einaudi, 2015

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Paola Meneganti

Sono nata e vivo a Livorno. Laureata in filosofia e in scienze archivistiche e biblioteconomiche, ho diretto per anni un servizio della Provincia, e ora sono in pensione. Ho contribuito a fondare, nel 1984, il Centro Donna di Livorno e, nel 2002, ho dato vita, con altre, all’associazione femminista Evelina De Magistris, che è tuttora gioiosa pietra miliare per la mia esistenza. Noi Eveline operiamo cercando di essere fedeli ad alcune pratiche politiche che caratterizzano il femminismo: la pratica della relazione e la pratica del partire da sé, che pensiamo possano vivificare la politica e il desiderio che molte e molti hanno di agire nel mondo, ma che non riescono ad esprimere in una realtà ossificata e bloccata. Ho scritto saggi di argomento filosofico e di teoria femminista, pubblicati in volumi collettanei, interventi, recensioni, e ho curato svariate pubblicazioni. Sono socia della Società Italiana delle Letterate, studio le filosofe e le pensatrici, sono una lettrice appassionata e privilegio la narrativa e la poesia scritte da donne. Infine, posso dire, con Carla Lonzi, che il femminismo è stata la mia festa.

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