Dalle prime manifestazioni contro l’abrogazione dei diritti femminili nel 1979 al movimento “Donna Vita Libertà” del 2022, generazioni di iraniane hanno portato avanti con coraggio le proprie istanze di emancipazione. Ne scrive Rassa Ghaffari in un libro molto attuale dopo l’ultimo episodio della studentessa che si è spogliata per protesta a Teheran
di Paola Meneganti
Un libro importante, questo Strade di donne in Iran. Generi, generazioni, proteste, di Rassa Ghaffari, nata a Genova da genitori iraniani, specializzata in studi dell’Africa e dell’Asia e nella questione delle migrazioni, un dottorato in sociologia conseguito studiando la Repubblica Islamica dell’Iran.
Edito da AstArte, editore che pubblica molti volumi con elemento centrale la pluralità e la ricchezza sociale e culturale del Mediterraneo, il testo è affascinante nel suo rigore e nella sua complessità, che dichiara subito un posizionamento dialogante, aperto, lontano da pregiudizi, banalizzazioni e definizioni di comodo.
Il fulcro del libro consiste nelle istanze di liberazione delle donne iraniane, nel loro costituirsi e nel loro dipanarsi, complesso, plurale e ricco, che diventano centrali nelle proteste del 2022.
«Adottare una prospettiva di genere implica mettere a fuoco i modi e le forme in cui le relazioni di potere si definiscono e trasformano nel corso del tempo all’interno delle istituzioni della vita quotidiana. Il genere è un concetto relazionale, una lente attraverso cui esplorare le differenze, i rapporti di potere e la diseguale distribuzione delle risorse tra uomini e donne».
E’ la lente con cui è ripercorsa la storia dell’Iran, dai due shah alla rivoluzione islamica di Khomeini del 1979, ai nostri giorni, evidenziandone le ambivalenze, le contraddizioni e la forte radicalità: un oggi caratterizzato dal movimento Donna Vita Libertà (nome mutuato dall’attivismo del movimento indipendentista e dalle combattenti curde), esploso dopo la morte di Jina Masha Amini, la giovane curda morta dopo essere stata per tre giorni nelle mani della polizia morale a Teheran, accusata di avere indossato il velo in modo scorretto. Velo che è anch’esso centrale nell’analisi e nella narrazione dell’autrice, sottratto a rappresentazioni semplificatorie. Paola Rivetti nella prefazione scrive:
«Rassa Ghaffari ci fornisce il contesto storico e politico della sollevazione Donna Vita Libertà, raccontandoci come le istanze femministe di liberazione ed emancipazione hanno, nel corso degli ultimi decenni e, prima ancora della rivoluzione del 1979, nel corso dei secoli, assunto forme e pratiche politiche sorprendenti e apparentemente paradossali, quali la riappropriazione del velo come strumento di autodeterminazione nel contesto degli anni immediatamente pre-rivoluzionari, una pratica di soggettivazione e di autonomia che oggi vediamo riproporsi in forma opposta, ma con una sostanza simile».
Scrive l’autrice che ogni cambio di paradigma politico implica una trasformazione di norme, di discorsi e di rappresentazione dei generi.
«A emergere, in sostanza, è la forte ambivalenza che caratterizza il ruolo sociale femminile, in bilico tra le aspettative della tradizione e le prospettive di indipendenza della modernità; ambivalenza da intendersi non come confusione o contraddizione – quel perenne conflitto tra Islam e Occidente a cui molti media nostrani sono affezionati – ma coesistenza di più modelli e ideali diversi ma non inevitabilmente in contrasto».
Accanto all’indagine delle trasformazioni del perimetro politico, nel libro è condotta anche una analisi dell’intersezionalità tra generi e generazioni, un aspetto non molto indagato nel femminismo occidentale. Intrecciando queste due coordinate, Rassa Ghaffari mette in luce anche il costituirsi dei modelli maschili e, per molti aspetti, la loro crisi:
«Gli uomini di questa generazione [di giovani uomini, n.d.r.], intervistati tra il 2018 e il 2020, hanno evidenziato le numerose pressioni e difficoltà a elaborare le proprie identità maschili in accordo con le aspettative e gli standard socialmente riconosciuti e adottati: i modelli di virilità proposti dallo Stato, incarnati dal martire, il mullah e il buon cittadino musulmano, si scontrano oggi con la formazione e circolazione di nuovi valori e priorità, anche e soprattutto grazie ai mutamenti delle identità femminili».
Ghaffari ricostruisce una genealogia delle diverse manifestazioni di dissenso che hanno attraversato la storia del paese. Sappiamo come il termine “genealogia”, qui mutuato da Foucault, sia di fondamentale importanza nella riflessione teorica femminista, prima tra tutte quella di Luce Irigaray, che ha dato vita ad un movimento genealogico ricercando nel passato forme di autorità e libertà femminile, forme presenti nella realtà iraniana che il libro indaga.
Molte le testimonianze raccolte, importanti, ci dice l’autrice, per costruire immaginari sociali, dato che per i movimenti di liberazione l’assenza di immaginazione, costretta e vincolata dalla paura nelle situazioni di illibertà, è un problema. È quindi essenziale liberare l’immaginazione, e nell’ultimo capitolo del libro si leggono le molteplici esperienze di immaginazione liberata inventata da giovani donne, e anche da giovani uomini, con l’ausilio di strumenti non tradizionalmente politici: innanzitutto il corpo, corpo che si manifesta e si muove, riappropriandosene e trasformandolo in spazio politico, nello spazio pubblico, un elemento anche questo centrale; poi la danza, la street art, i social media, la letteratura.
Non è sufficiente, scrive Ghaffari, la chiave di lettura costituita da un continuum tradizione/modernità, viste le “innumerevoli contraddizioni insite nella natura stessa della Repubblica Islamica”: questo emerge dall’indagine sulle diverse forme di politicizzazione delle generazioni, lette anche alla luce dei molteplici strati anagrafici della popolazione.
La periodizzazione storico-politica fa da sfondo al testo: dalla monarchia degli shah, salita al potere negli anni venti del novecento, alla rivoluzione del 1979, di cui Ghaffari fornisce una lettura precisa e problematizzante, alla terribile guerra con l’Iraq, durata dieci anni, dal 1980 al 1988 fino ai successivi anni della Repubblica islamica, in cui si alternano periodi di dura repressione ad altri di una qualche apertura.
Ultime considerazioni: una sui nomi di Jina Masha Amini, conosciuta in occidente con il secondo, poiché il primo, in lingua curda, non è permesso nella Repubblica islamica; l’altra sulle parole di una testimonianza raccolta nel libro, in cui si legge che Donna Vita Libertà non deve essere uno slogan, bensì “una pratica quotidiana”.
Rassa Ghaffari, Strade di donne in Iran. Generi, generazioni, proteste, AstArte 2023
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Paola Meneganti
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