Storia del trentenne Loris, precario afflitto da un malessere che crea insofferenza negli altri come l’ipocondria, della sua socia Catastrofe e delle colombe allevate dall’amato e stravagante nonno Tempesta. Il nuovo, avvincente romanzo di Giulia Caminito “Il male che non c’è”
Di Silvia Neonato
Loris è un trentenne laureato in Lettere, stagista in una piccola casa editrice. Amerebbe molto il proprio mestiere se non fosse sotto pagato e soprattutto potesse realizzare il suo sogno che non è quello di correggere bozze o inviare mail promozionali ma quello di occuparsi di letteratura, lui che è un grande lettore, fin da bambino e che quel mondo sembra averlo sognato da sempre. Quando era piccolo i suoi genitori dovevano addirittura impedirgli la lettura compulsiva, perché già allora si rifugiava nelle parole scritte e si astraeva in un suo mondo inaccessibile e fantasmagorico.
Del resto Loris tanto bene non sta neppure da adulto: è un malato immaginario come quello celeberrimo di Molière, ma non ne ha i tratti leggeri e scherzosi. Lui è un ragazzo cupo, addolorato, che oscilla tra il timore di essere gravemente ammalato e la depressione. La sua malattia, mai citata da Giulia Caminito in queste pagine dall’italiano limpidissimo e musicale, è l’ipocondria. Ma potrebbe essere la bulimia o l’ansia o la sindrome dei cosiddetti hikikomori, i ragazzi che non escono di casa e non fanno nient’altro che stare davanti al computer che dal Giappone si sono diffusi in tutto il pianeta. Insomma Loris è sofferente per uno dei tanti malesseri che affliggono tanti umani del Terzo millennio, e molti della generazione di coetanei di Caminito, coetanei che lei ha già ben descritto nel suo precedente, originale romanzo (tradotto in molte lingue) L’acqua del lago non è mai dolce.
Non tutti ovviamente accusano disagi: non sembra affatto malata Jo, la ragazza di Loris, che lavora, studia, fa sport, entra ed esce dalla sua vita con disinvolto ottimismo, fa l’amore con lui e persino gentilmente si occupa – almeno fino a un certo punto – dei sintomi che Loris accusa di continuo e che lo lasciano terrorizzato in un baratro di solitudine e incubi, certo che i medici non trovino il male che lo assedia, anche se nessun accertamento diagnostico e nessun prelievo conferma mai le temute malattie. Il male non c’è, lo dice pure il titolo del romanzo che ti trascina in un vortice di emozioni varie e contrastanti. Perché l’ipocondria è antipatica, difficilmente crea solidarietà negli altri, è una malattia respingente molto più della tosse disperata di Katherine Mansfield malata di tisi. E peggio dell’inedia depressiva di Bovary e della melanconia che tanto piace in letteratura. E difatti anche il padre di Loris non sopporta il figlio e non lo capisce. E anche chi legge è esasperato dalle purghe, dalle corse in ospedale, dai sintomi che Loris accusa in un crescendo pazzesco.
Ma la pena è tanta per questo ragazzo che non riesce ad adattarsi al mondo violento, mutageno, precario dei nostri giorni. Perché se la malattia non si trova mai malgrado le visite cui Loris si sottopone ossessivamente, il dolore che prova è invece tremendo. «È come un uovo dal guscio compatto» che scende nella gola e lentamente va nello stomaco e gli rende impossibile vivere, lavorare e amare che sono poi le tre facoltà che Freud intende mantenere nei pazienti tramite le cure psicoanalitiche.
Loris si sente inetto e triste come la sua collega di lavoro Martina, che si occupa di catalogo digitale, trasforma i file word in e-pub, un mercato che si rivela però in calo di vendite: e infatti la giovane, che lui ha sentito piangere sulle scale e con cui ha preso un caffè in casa editrice, teme di perdere il lavoro. E gli ha detto che lei neppure li legge gli e-book, ha “dovuto imparare per sopravvivenza”.
Chi gli sta vicino? Una giovane donna, una bella sirena beffarda, un mostro con le unghie lunghe e le braccia piumate, Catastrofe. Insinuante e sollecita gli suggerisce altri sintomi utili alla diagnosi, lo tranquillizza al pronto soccorso ma fino a un certo punto, gli si siede sul letto per consolarlo e confermarlo nella sua disperata inedia. Catastrofe è un’invenzione fantastica e ingombrante, difficile da scordare, antipatica in fondo quanto l’ipocondria che ti mette a disagio e rischia di spezzare appunto la tua empatia verso il malato che cerca con ogni mezzo di dare un nome e una svolta al malessere che prova.
Al contrario è molto simpatico il nonno Tempesta, ormai scomparso, ma evocato spesso da Loris: da bambino ha passato con lui i giorni più belli della sua infanzia, lontano dai genitori ha preparato gli addobbi di Natale, curato la terra e pure i colombi nella voliera, colombi amati e da cui ha imparato la sconfitta, la forza, il distacco. E infatti sono riprodotti con le loro ali bluastre sulla copertina, poetica e avvolgente come questa storia.
Altro rifugio sono naturalmente i social media. Loris è maniacale nella ricerca di malattie nuove e di altri sintomi. Non solo però, segue i malati che si raccontano, come ad esempio la giovane americana affetta da un cancro che lancia sui social una straziante raccolta di fondi per curarsi. Loris non può resistere al richiamo di una malattia conclamata e infatti ogni giorno, più volte, si collega a lei per sapere se peggiora e quanto fino al sorprendente esito.
Le sorprese non sono finite: oltre alle colombe c’è un altro animale che consola e lega alla vita e non alla malattia ed è un misterioso e forse magico agnellino cui Giulia Caminito affida le speranze per un futuro più sereno e meno disagiato. Un agnellino fragile eppure portatore di pace.
Giulia Caminito, Il male che non c’é (Bompiani, 2024)
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Silvia Neonato
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