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Donatella Alfonso nel suo primo romanzo “Quando gli alberi parlano” (verrà presentato a Genova il 9 settembre) narra di Antonia, partigiana del Ponente ligure e donna in lotta contro i pregiudizi. Jolanda, pochi chilometri più in là, è l’eroina di “Come le lucciole” dell’esordiente Francesca Pongiluppi. Due autrici liguri di diverse generazioni mostrano una intrigante consonanza

Di Silvia Neonato

Nell’ultimo anno sono usciti due romanzi di due esordienti liguri nella narrativa, due libri appassionanti nel senso letterale di questa parola, scritti in una lingua elegante e che curiosamente hanno più di un punto in comune. Francesca Pongiluppi con “Come le lucciole”, lo scorso anno ha vinto la quarta edizione del premio Letterafutura creato dalle inventrici del Festival inQuiete di Roma, mentre in questi giorni Donatella Alfonso, autrice di saggi che spaziano dalla storia del Situazionismo, alle donne di Ravensbrück, all’assassinio di Guido Rossa, ha ora pubblicato il suo primo romanzo “Quando gli alberi parlano”.
In cosa consistono le somiglianze? In entrambi al centro delle storie c’è una donna che battaglia contro il conformismo e anche contro il nazifascismo, con diverso impegno ma con sguardo comunque attento, a riprova di come la ferita della guerra civile e l’epopea dei giovani che hanno lottato per l’Italia repubblicana e antifascista di oggi (ebbene sì, sta scritto nella nostra Costituzione del 1946) siano ancora terreni fertili e niente affatto ingessati dalla retorica che certe ricorrenze e certi personaggi a volte fanno temere. Entrambi i racconti inoltre si svolgono in un paesino dell’entroterra ligure di Ponente e descrivono luci e profumi apparentati nel fare da sottofondo. E le autrici approfondiscono i legami familiari e propongono riflessioni originali sull’amore tra una donna e un uomo.
Le consonanze finiscono qui e moltissime sono in realtà le differenze nelle due storie che pure desidero raccontare insieme, senza nulla togliere all’originalità delle due autrici, perché mi sembrano legate da fili consistenti. Pongiluppi per il suo romanzo politico e di formazione parte dal colonialismo italiano in Libia e approda ai giorni del G8 a Genova, nel luglio 2001, con la morte di Carlo Giuliani e i massacri della scuola Diaz e di Rivarolo. Sonia, io narrante della vicenda con un finale thriller, lascia i suoi compagni di lotta appena prima del G8, malgrado abbia lavorato tanto alla riuscita della manifestazione e parte alla volta di un paesino che sovrasta la piana di Albenga, dove ha trascorso le vacanze estive con i nonni per tutti gli anni della fanciullezza. Deve fare i conti con il suo passato e con sé stessa. L’urgenza per cui molla tutto e tutti è data dall’aver letto sul quotidiano Il Secolo XIX che è morto Giannetto Bruzzone, il proprietario, insieme a sua moglie Jolanda, della palazzina liberty nella quale i nonni affittavano un piano. Sonia da bambina ha amato molto Jolanda, l’affascinante donna arrivata lì nel 1943 senza conoscere nessuno e che se n’è andata da tempo Anche lei era in Libia, in un bordello, ma questo non lo sa nessuno in paese, forse neppure Giannetto che la ama senza fare domande. Jolanda, scappata su una nave ospedale, ha seguito le tracce di un ufficiale italiano di Albenga, suo cliente, che diceva di volerla sposare dopo la guerra.
Dell’ufficiale nessuna notizia, ma con Giannetto trova una felicità che non ha mai vissuto: con lui diventa contadina e si impegna per fornire ai partigiani, che dall’Appennino scendono in paese, medicinali e cibo. Anche i nonni di Sonia hanno vissuto qualche anno in Libia: lui si era distinto in Abissinia e quindi aveva avuto la direzione della Rinascente, per poi perdere tutto. Quali legami ci sono tra questi personaggi lo si scopre soltanto alla fine, quando Sonia, una volta in paese, chiede al nipote di Giannetto – che conosce fin da piccola – le chiavi per poter entrare nella palazzina liberty dove non abita più nessuno da anni e apre finalmente l’impenetrabile stanza verde, dove Jolanda si chiudeva senza dare spiegazioni e dove ha lasciato, ben sigillato, il proprio diario.
Come si vede le protagoniste di Pongiluppi sono in realtà due, dal destino intrecciato, ma ben distinte e se la giovane Sonia è combattuta tra la politica e la ricerca di se stessa, Jolanda, quando la conosciamo noi lettrici, è invece concentrata sull’amore e sulla relazione con un uomo semplice che sa amare e che riscatta la miseria e la viltà dei tanti che hanno attraversato la sua vita.
Nel romanzo di Donatella Alfonso invece la protagonista è Antonia, saldamente al centro delle pagine e fissa dietro al banco dell’unica bottega del paese, anche lei giovane in epoca fascista. Ha vent’anni, ha studiato, vorrebbe fuggire in città, ma scoppia la guerra e un giorno arrivano lassù i nazisti: un giovane ufficiale le chiede di aiutarlo a migliorare il proprio italiano per gli studi universitari che intende riprendere alla fine della guerra. Sembra un ragazzo decente, educato, che non condivide i metodi della Gestapo, ma Antonia non può fidarsi e poi suo fratello Enzo collabora con i partigiani e Nini, qualcosa di più di un amico, che è già sui monti, dove coraggiosamente combatte con il suo gruppo di uomini. Lei stessa del resto fa la staffetta. Intorno ci sono i suoi familiari, vigili, partecipi e spaventati, i contadini travolti dalla storia ma anche protagonisti e un sacerdote legato alla Resistenza.
Non si può spoilerare troppo neppure in questo romanzo perché si rovinerebbe la storia, che anche Alfonso, come Pongiluppi, conclude dopo una suspence notevole che ci tiene inchiodate alle pagine. Si può soltanto dire che Antonia diventa madre e del suo essere senza un compagno farà la battaglia della propria esistenza. La figlia Alma (ecco anche qui una seconda generazione) vorrebbe sapere la verità sulla propria nascita, ma Antonia è chiusa nel dolore e in un silenzio che nulla scalfisce. È una donna scandalosa come la Jolanda del romanzo di Pongiluppi e come lei è costretta dalla vita a riflettere sugli uomini e le relazioni amorose, senza però averne, almeno fino a un certo punto del racconto, la serenità. È rimasta imprigionata nel borgo da cui voleva fuggire e deve fare i conti con il ritorno, in tempo di pace, dell’ufficiale tedesco che lei teme abbia tradito il prete partigiano e tutti loro.
A pochi chilometri di distanza, tra gli ulivi, i boschi e i terrazzamenti strappati alla verticalità dell’Appennino ligure, due donne libere ci mostrano l’Italia che cambia, la società dove hanno vissuto le nostre madri, magari non schierate ma di sicuro attraversate dalla guerra, dalla morte dei loro uomini, fratelli, padri, fidanzati, messe di fronte alla scelta dei partigiani o a quella di chi aderiva alla Repubblica di Salò, desiderose di mutare le regole del gioco pubbliche e private, inquiete e spesso coraggiose e battagliere, anche se non determinate e forti come le due indimenticabili protagoniste dei romanzi di Pongiluppi e Alfonso.

Francesca Pongiluppi, Come le lucciole, Solferino 2024
Donatella Alfonso, Quando gli alberi parlano, Castelvecchi 2025

 

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Silvia Neonato

Silvia Neonato, giornalista, genovese, vive a Genova. Organizzatrice di eventi culturali, è socia della SIL, di cui è stata presidente nel biennio 2012-2013. Ha debuttato su il manifesto, ha diretto il magazine Blue Liguria ed è nella redazione di Leggendaria. Ha lavorato a Roma per molti anni, nella redazione del giornale dell’Udi Noi donne, a Rai2 (nella trasmissione tv Si dice donna) e Radio3 (a Ora D), per poi tornare a Genova, al Secolo XIX, dove ha anche diretto le pagine della cultura. Fa parte di Giulia, rete di giornaliste italiane. Ha partecipato con suoi scritti a diversi libri collettanei.

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