In essi le donne di oggi possono ritrovarsi. L’operazione intellettuale compiuta da Michela Sarti è politica, di denuncia di una violenza degli uomini sulle donne “originaria”, perpetrata attraverso i secoli, di cui si possono ritrovare filologicamente le basi nelle culture classiche occidentali.
di Loredana Magazzeni
Il libro di Michela Sarti, dal titolo che prende una citazione da Quinto Smirneo, “Di coraggio vestita”, mi è caro perché frutto di una lunga passione dell’autrice verso la lingua e cultura greca, ma anche verso la storia delle donne e del femminismo, passione che ci ha fatto conoscere e ci ha unito in un gruppo di autocoscienza a Bologna negli anni Ottanta.
Si tratta di un libro importante perché si pone nel solco delle opere di rilettura e riscrittura del canone letterario, operate dal pensiero femminista (basti pensare ai tanti nuovi romanzi italiani su figure del mito, o alla poesia italiana e anglofona) con una visione aderente ai testi e al rispetto filologico del frammento, ma che spazia anche in una dimensione antropologica e storica, in cui il mito si pone. Ma non solo.
Oggi parlare di mito è parlare del nostro tempo: il femminismo infatti ci ha insegnato a guardare contemporaneamente alle genealogie e al futuro, e questo libro vuole in special modo parlare di un tema tanto importante e scottante qual è quello del potere delle donne, e se questo potere è quello della maternità, come ci si interroga riguardo ai suoi significati simbolici e originari e rispetto al suo controllo e disciplinamento.
Ho letto di recente il bel romanzo di Maria Rosa Cutrufelli, L’isola delle madri: è una distopia basata sul tema di una società che non riesce più a gestire la riproduzione, le è scappata di mano, e le donne sono diventate sterili.
Questo tema è centrale anche in altre distopie oggi particolarmente studiate dal pensiero femminista, la distopia del ciclo di Gilead, nei romanzi di Margaret Atwood Il racconto dell’ancella e I testamenti.
Il problema del controllo della sessualità e della maternità da parte maschile, in altre parole della potenza fisica, corporea delle donne è quello da cui parte l’ampia ricerca di Michela, che si muove dai miti originari per trovare un filo conduttore con le vicende di oggi.
Questo lavoro di analisi sulla “donna antica” è partito, come dichiara l’autrice, a livello personale dalla sua emozione scaturita dal confronto coi testi, in risposta all’incontro con tante donne che lei definisce “viventi”, come recita il sottotitolo, perché fermate in una eterna giovinezza, ma anche perché empaticamente ancora in contatto con noi, con le nostre emozioni e con i problemi relativi a sessualità e violenza, che riscontriamo ogni giorno in una società ancora patriarcale e violenta.
Miti visti come storie di straordinaria attualità, in cui le donne denunciano l’”originaria violenza”, sono ancora parole del sottotitolo, ossia puntano al nocciolo delle questioni e alle intenzioni nascoste del testo: i miti sono figure viventi, in cui le donne di oggi possono ritrovarsi, e l’operazione intellettuale che ne scaturisce è anzitutto politica, di denuncia di una violenza “originaria”, attuata attraverso i secoli, di cui si possono ritrovare filologicamente le basi.
Emergono da questo libro figure nitide ed eloquenti, che finalmente parlano (a dispetto del silenzio cui sono state per secoli relegate), la cui esistenza è stata letta e interpretata in modo se non distorto almeno parziale, ed è rimasta a lungo nell’ombra, senza diritto di parola.
Potremmo allora dire che il diritto di parola è il tema profondo di questo libro, dichiarato apertamente dall’autrice, che accompagna questo motivo fondante con infiniti esempi correlati, ad esempio, la ricostruzione delle morti per impiccagione, la morte per la gola, come la forma più comune di punizione per le donne che simbolicamente impone loro il divieto di parlare.
Potremmo dire anche che le donne dell’antichità sono considerate una specie a parte, pericolosa e perturbante al tempo stesso, ma di cui si teme la potenza e la ricchezza creatrice.
Come dicevo in apertura il libro si inserisce in un filone di ricerca e di studi femministi che annovera studiose e studiosi di cui si fornisce ampia bibliografia, tra cui spiccano, tra i tanti nomi, Nicole Loraux, Françoise Héritier, Giulia Sissa e Cristiana Franco, Eva Cantarella e Maria Gimbutas.
I capitoli danno un peso particolare ad alcune personalità o stati di essere delle donne, come la verginità delle sacerdotesse, Atena, o Aracne vergine tessitrice, Artemide vergine dea, vergini cacciatrici, amazzoni, ninfe. In altri capitoli si analizza il ratto, lo scambio e il dono come momenti costitutivi delle economie patriarcali, per il loro valore di simbolo nel processo di costruzione patriarcale di un femminile da sottomettere e violare. Il campo in cui si dispiega la parola femminile silenziata è quello della tela e della tessitura: la tela è il continuo racconto muto, per immagini, della violenza subita, la tessitura è l’arte di intrecciare fili di salvezza e di ricomposizione. Scrive Sarti che per le donne: “L’arte possiede un potere pacifico di resistenza”
La costante che attraversa la lunga storia dei poemi epici indagati è appunto quella della violenza, una violenza ritenuta per lunghi secoli normale, non un elemento perturbante e di denuncia.
E qui vorrei ricordare l’importanza della scuola, in cui i poemi epici vengono ancora studiati per le loro caratteristiche letterarie e formali, certamente importanti, ma non del tutto si indaga la lettura simbolica degli elementi femminili presenti.
Per questo motivo questo saggio denso e accurato può essere considerato un testo di ricerca scientifica ma anche un testo formativo per docenti delle scuole secondarie, in definitiva per tutte le docenti e i docenti.
Il suo pregio maggiore sta nella chiave di lettura che ci offre ma anche nell’accuratezza delle fonti e nella ricchezza delle citazioni testuali a supporto dell’indagine tematica. Le figure mitologiche sono analizzate sotto diverse sfaccettature, i capitoli prendono in esame azioni violente contro le donne come il rapimento, lo stupro di guerra, la verginità violata, l’uccisione. Altri capitoli indagano le tipologie di donne di cui ha bisogno l’eroe, come la dea, ninfa, maga, vergine o sposa.
La seduzione del dio si nasconde spesso sotto forme carezzevoli, si occulta dietro sembianze di animali o uccelli per imporre all’improvviso e nella rapidità la volontà maschile come unica possibile.
Il più delle volte si tratta di soggetti giovani, da sacrificare come vittime o da sedurre e stuprare da parte del dio. Ma la voce delle donne qual è? “Della volontà femminile resta solo il discorso degli uomini”, scrive Sarti.
Altro elemento sostanziale di questa ricerca è che le figure del mito, come Elena, Arianna, Metis, fra tante, risultano agglomerati di storie, soggetti aggreganti più discorsi narrativi, che sono tantissimi, e che vanno sbrogliati e analizzati, nei loro legami simbolici, dalla espugnazione delle città, legata, secondo il discorso maschile, al tradimento delle donne, all’uccisione di mostri che insidiano la comunità. Sono tanti i personaggi e le personagge che la ricerca di Michela Sarti fa rivivere sotto forme rinnovate e ci spinge ad approfondire come contenitori di storie non solo accadute ma che possono spiegare le trasformazioni dell’oggi nei modi di agire e pensare. E a pensare in modo rinnovato, ci invitano le parole con cui si conclude il libro: “Che le antiche voci possano continuare ad essere ricevute come un dono, per proseguire sulla strada del risarcimento alle donne di oggi insieme a quelle di ieri, perché continuino a venirci in aiuto nel pensare il nostro pensiero”.
Michela Sarti, Di coraggio vestita. Donne del mito, viventi, denunciano l’originaria violenza, Roma, Cisu, 2021
PASSAPAROLA:








Loredana Magazzeni

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