Sono di ritorno dalla giornata di studi nel centenario della nascita di Maria Occhipinti, Una donna del sud, svoltasi presso la Casa internazionale delle donne, il 5 novembre, promossa dalla SIL, e nata su desiderio di Serena Todesco, giovane studiosa di letteratura siciliana, e realizzata grazie alla relazione che si è creata tra lei e me, che ho accolto con entusiasmo la proposta.
In aereo rivedo una giovane partecipante all’evento, che avevo già notata per il suo sguardo attento e a tratti commosso. Mi dice che è di Brooklyn, si chiama Julia, e vive da un anno a Palermo per studiare le scrittrici siciliane. La incuriosiscono per la loro ribellione, messa in atto in luoghi e tempi ancora lontani dal femminismo, e per il loro carattere indomito, fuori dalla norma, motivo per cui sono state relegate nel silenzio, e dimenticate.
«Ero venuta per saperne di più», mi dice. «Ho sentito intorno a me una tale carica di energia, proprio come se questa donna fosse seduta accanto a me, che ho pianto. Non credevo potesse succedermi».
La stessa carica ha attraversato anche i corpi delle relatrici, che hanno restituito la potenza e la ‘bruciante attualità’ (Todesco) di Maria – la sua scrittura, i gesti, le scelte di vita – attraverso il filtro dei propri vissuti incerti in questa fase di transizione, provando a intercettare l’eco di nuove cartografie. Una tensione che il pubblico, in presenza e sul web, ha percepito, accogliendo quanto di palpitante, di insoluto e non pacificato si celava dietro ogni relazione. Tensione resa ancora più viva dall’evocare, da parte di ciascuna relatrice, le scrittrici più amate e studiate a partire dai racconti di Maria Occhipinti, dalle sue due autobiografie (“Una donna di Ragusa” e “Una donna libera”) e dai suoi appunti politici.
Così nella sala intitolata a Simonetta Tosi che, come Maria, dedicò la sua vita alla cura e alla salute delle donne, si è sentita aleggiare una folla di scrittrici, scrittori e filosofe, che hanno occupato ogni angolo disponibile della sala, provocando quella (s)carica da tutte avvertita: ed ecco Karen Barad, richiamata da Serena Todesco per il “taglio agenziale” operato da Maria contro il patriarcato, e per la sua “etica dell’alterità”. bell hooks, chiamata in causa da Elvira Federici per il suo “fare casa” ovunque si trovasse, insieme a Goliarda Sapienza, per “la creazione di una genealogia femminile” e Carla Lonzi, per “la radicalità della sua rivolta”. Simone de Beauvoir, evocata da Maria Rosa Cutrufelli per il suo “sguardo politico sul mondo” e “una forma del raccontare mai autoreferenziale, ma che risulti utile per le altre”. Maria Zambrano, per “essere stata costretta, come Maria, ad abbandonare il suo sud (Andalusia) senza mai dimenticarlo nel suo continuo peregrinare”, e per il suo “andare continuamente incontro all’Altro”, è stata ricordata da Nadia Terranova, accanto ad Annie Ernaux, per la “scarnificazione della forma del raccontare” e “il riscattarsi dalla vergogna attraverso la scrittura”, e a Natalia Ginzburg, per “la persistente ironia e il distacco da sé malgrado la scrittura infuocata”. E ancora: Sibilla Aleramo, per la scrittura usata come vettore per “raggiungere la figlia e farsi riconoscere”; Alba De Cespedes per “l’ostinazione a scrivere la verità” (Adriana Chemello). Eugenio Montale, per “il suo rivolgersi a un tu impreciso, parlando di una forma d’amore che non si sofferma su un oggetto, ma trabocca nel mondo e nella natura”, e Umberto Saba, per “l’ascolto di sé che si fa ascolto del mondo” (Maria Attanasio). E di nuovo bell hooks per la medesima “ostinazione a vedere il mondo per quello che realmente è e l’amore per la giustizia”; Gloria Anzaldua per “l’empatia come capacità di vedere al di sotto della superfice delle cose”; Virginia Woolf, per “l’ostinazione a rendere vera la sua vita attraverso il movimento di traduzione della scrittura”; Luisa Muraro per “l’ ‘eccellenza’ che Maria ha mostrato in ogni suo gesto e per il suo desiderio sproporzionato di esistenza libera” (Gisella Modica). E aggiungerei adesso Anna Maria Ortese, per il suo realismo magico, l’amore per la natura, e il suo non credere solo a ciò che si vede.
Ho voluto citare tutte/i per evidenziare il maestoso e variegato mosaico che è stato necessario per comporre e contenere la personalità di Maria Occhipinti, talmente poliedrica, imprevedibile e sfuggente, da rendere impossibile qualsiasi catalogazione.
Ad amplificare l’intensità di corrente hanno contribuito ancora due elementi: la presenza di Marilena Licitra, che ha raccontato del continuo peregrinare della madre, e che cosa questo abbia determinato in lei, bambina al suo seguito, fino a che, da giovane adulta “si ribella ad una ribelle” e decide di fermarsi in Canada.
L’altro elemento, le poetiche immagini del documentario Con quella faccia da straniera. Il viaggio di Maria Occhipinti, (Pinup Filmaking, 2013) per la regia di Luca Scivoletto e la sceneggiatura di Maria Grazia Calabrese, che ne ha raccontato la genesi e le difficoltà di realizzazione.
Perché l’esperienza di Maria Occhipinti continua a interrogarci, ad indicarci possibili vie d’uscita alle tragedie attuali, e ad emozionarci? Perché continuiamo a “riconoscerci” in lei, una donna semianalfabeta, nata in un tempo in cui le donne erano considerate “bestie da soma” (Chemello), in una città ai margini della Sicilia, in una famiglia povera e violenta, vittima di stereotipi e pregiudizi?
Sono riflessioni ancora tutte da approfondire, insieme a quella sull’ “intersezionalità” di Maria Occhipinti, e alle domande se la questione nord/sud sia ancora materia “di bruciante attualità”; se e quanto in questo coinvolgimento emotivo, e nell’avvistamento di nuove cartografie per il futuro, c’entri essere “Una donna del sud”.
Maria Occhipinti visse tra l’Italia, l’Europa, l’America, lavorando come infermiera, badante, baby sitter e operaia tessile per sostenere sé stessa e la figlioletta. Ci ha lasciato due autobiografie, “Una donna di Ragusa”, uscito per Feltrinelli nel 1976, e “Una donna libera” (Sellerio, 2004, esaurito). Ha poi scritto “Il Carrubbo e altri racconti” (Sellerio, 1993) e un libro di pensieri poetici, scritti incessantemente nel corso della sua vita, “Anni d’incessante logorio” (Sicilia Punto L Edizioni, 2016).
PASSAPAROLA:









Gisella Modica

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