Nella performance di Emilia Guarino i nostri corpi umani in mezzo alle piante, agli insetti, alle radici, ai suoni. Siamo interdipendenti. Siamo materia
Di Gisella Modica
Essere corpo. In mezzo ad altri corpi. Spesso lo dimentichiamo.
Il corpo, come per me la scrittura – la danza per Emilia – ci fa sentire a casa.
«Carissimo corpo, ti scrivo per dirti che qui siamo a casa».
Ci accoglie così, Emilia, a noi spettatori/trici, con un «grazie per aver accolto il nostro invito», scritto a mano con l’inchiostro nero su un foglietto di carta riciclata impreziosito da disegni stilizzati di piante e farfalle.
«Prima di cominciare questa breve strada insieme», continua l’invito, «vorrei chiederti di ascoltare i tuoi piedi, il tuo silenzio, la tua schiena, il tuo guardare, la tua lingua».
Schiocco la lingua, la passo sulle labbra, sono secche, screpolate. E’ luglio, fa molto caldo, ma il posto dove mi trovo è uno dei più belli al mondo, l’Orto Botanico, con le sue piante tropicali e subtropicali, i suoi Ficus secolari le cui radici si allungano sul terreno per decine di metri o scendono aeree dai rami, simili a liane che s’intrecciano, formando delle cavità come grandi nidi d’ape.
Da quanto tempo non ascolto il mio silenzio? E la mia schiena? Mi guardo i piedi, le unghia laccate di turchese: sono coperti di polvere.
Ho voglia di togliermi i sandali e proseguire “il viaggio” a piedi scalzi.
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«Vorrei invitarti, poi, per il tempo che abbiamo, a posizionarti nello spazio come vuoi tu, in piedi, oppure seduta, senza calpestare le radici, e a spostarti secondo ciò che ti chiama. Anche tu sei parte di questo ecosistema di corpi – piante, suoni, zanzare, fili elettrici, radici, capelli, denti, panchine, terra».
Anche questo dimentichiamo: siamo corpi umani in mezzo a tanti non umani, alle piante in particolare. Coesistiamo, siamo interdipendenti. Siamo compost. Siamo molecole, scarti. Siamo materia.
Lo scarto entra in compostiera senza alcuna malinconia della propria identità, accettando di divenire altro, trasformandosi individualmente e trasformando l’intero composto, eterogeneo assemblaggio multi livello tra molecole, corpi uni e pluricellulari che cooperano, negoziano, si invadono e parassitano, cambiando in continuazione la loro composizione e ciò che li circonda , al punto da rendere impossibile la differenziazione degli elementi.
Lo scrive Antonia Ferrante nel libro Cosa può un compost (Luca Sossella 2022).
Compost è il nome che Emilia ha dato alla sua associazione: “Spazio liminale del nostro divenire continuo”. Conoscere, frequentare il suo spazio, ha modificato radicalmente il mio sguardo sul mondo, orientandolo verso la molteplicità, il piacere di contaminarsi, di differire, diventare altro e l’abbandono costrittivo delle identità.
«Non c’è un solo punto di vista possibile, guarda, ascolta da dove vuoi, da lontano, o vicinissimo. Non mi disturberai».
Scelgo allora di ascoltare in piedi e sosto nel punto d’intersezione dei quattro viali dell’Orto che, in prossimità dell’Acquarium con le sue favolose Ninfee, formano un piccolo spiazzo. Qui mi attende con sorpresa un piccolo lago gelato (così lo interpreto) formato da triangoli di specchi spezzati, tra alberi di cotone che lasciano cadere sulle nostre teste batuffoli bianchi come fiocchi di neve. La neve a luglio! Una piccola magia sicuramente voluta da Emilia.
Come magico è il momento in cui da ogni albero si leva una voce amplificata che racconta in diretta di sé, della sua storia, della gioia di essere lì con noi.
“Mamma, gli alberi parlano!” Esclama una voce di bimbo.
«Vorrei che non ti considerassi “spettatore” ma presenza viva che muta il nostro spazio comune. Mi tocca il tuo essere qui».
Mi sporgo in avanti, sul limitare di un frammento di specchio, e mi rivedo, a testa in giù, tra fiocchi di neve. Ho una piccola vertigine. Non mi riconosco. Mi vedo diversa. Mutata o forse mutante. Non saprei dire in che modo, ma quando raddrizzo la schiena anche il luogo mi appare diverso da prima.
Sensazione davvero straniante!
I luoghi si trasformano al nostro passaggio. E ci trasformano. Se poi ad attraversarlo è un’azione artistica lo spazio si trasforma in un altrove tutto da immaginare.
Camminare in un luogo trasforma il nostro modo di guardare. Cambia la prospettiva. Riattiva i sensi. Camminando ci si riappropria del corpo. Camminare in un luogo, cura. Basta mettersi in ascolto.
Con stupore.
E’ con stupore che dal fondo del viale vedo infatti avvicinarsi uno strano individuo, corazzato, con un grosso casco da motociclista in testa. Si muove a piccoli passi, guardandosi intorno.
Rallenta, si ferma, si china su una pianta, osserva con la testa in su la chioma di un albero, riparte. Cauto – spaventato? – Direi straniato. Come me.
E’ forse un alieno approdato per caso o per errore in un luogo sconosciuto.
Qualcosa, non saprei esattamente cosa, lungo il percorso sembra aver trasformato nell’intimo l’alieno. Giunto infatti a pochi passi dal lago gelato, si libera lentamente, con gesti misurati, della corazza – via il casco, via la maglietta – per rivelarsi, ai nostri occhi di spettatori/trici incredule, donna dai lunghi capelli rossi.
Un corpo esile, tagliente come una lama, i cui movimenti sembrano fendere l’aria.
Danza, incurante del pericolo, tra gli specchi spezzati.
Si chiude, si schiude, come la corolla di un fiore. O come ali di farfalla. Si arrotola, si srotola come un serpente che muta pelle. Si aggroviglia e si stende come una radice assetata in cerca d’acqua.
Movimenti del corpo essenziali, misurati, scattanti, potenti. I muscoli del viso, delle braccia, delle gambe contratti, sembrano esplodere. Lo sguardo intenso, abbagliante, è puntato in un altrove.
Tutto sembra annunciare una trasformazione divenire in corso.
Il suono di una musica vibrante, incalzante, lo accompagna.
Rinascerà Emilia in un corpo non suo – di farfalla? Di pianta? Forse radice. Corpo denudato, fragile, esposto, vulnerabile, privo di orpelli e di barriere, si avvicina adesso ad un Ficus.
La seguiamo, trepidanti, con lo sguardo. Il corpo si rannicchia trova dimora dentro una sua cavità. Pianta tra le piante.
Trasformata.
Trasformata mi sento anch’io, nel mio intimo, avviandomi a piedi nudi verso l’uscita.
Qualcosa, non è più come prima. Non so cosa. Lo scoprirò col tempo.
Grazie Emilia per tutto questo.
La performance site specific “Siamo coorpi. La voce delle piante” si è tenuta all’interno del festival Metamorphosis (29/06 – 07/07) presso l’orto botanico di Palermo.
Musiche di Angelo Sicurella; voce e testi Alberto Nicolino; foto Rori Palazzo; tecnico luci Gabriele Gugliara; produzione Genia/Diaria
Gisella Modica
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