L’ultima sequenza di immagini della graphic novel Alison ci mostra una donna anziana seduta tra i suoi quadri colorati, dopo che una giovane donna l’ha accompagnata in quella stanza dicendole: «La lascio un attimo da sola con le sue opere, se vuole. Io sarò di sopra». Sono, queste, tra le poche tavole a colori del libro, dove le opere di Alison – e lei stessa – riempiono di luce le pagine. Tutta la graphic novel è in bianco e nero, asciutto ed efficace. La scelta di introdurre i colori alla fine, con Alison seduta in centro a nutrirsene, ti fa sentire accanto a lei, in mezzo alla bellezza che ha creato. Fa anche pensare che tutta la storia letta fin lì sia rivissuta da Alison in quel momento, per rispondere alla domanda che, poche tavole prima, una giovane studiosa d’arte le pone: «Patrick Kerr aveva più di quarant’anni quando l’ha conosciuto. Lei ne aveva venti ed era sposata. Crede che lui abbia superato il confine? Che se fosse vivo, si parlerebbe di Me Too?». Dal palco, dove è seduta, Alison risponde: «Ah. Ok…Non lo so. Il trucco di Patrick Kerr era non far capire se era un mostro o un angelo custode. Almeno per me! Forse per le altre era più chiaro, e ce ne sono state tante. Tante, tante altre. Non sarei un’artista se non fosse per lui. Ha visto qualcosa in me. Che fosse per andare a letto o per educarmi… non lo saprò mai. Non importa. In ogni caso sono diventata una pittrice grazie a lui. O meglio… sono diventata una pittrice stando anche con lui. Non posso condannarlo, mi ha dato tutta la mia vita».
Questa risposta, che l’autrice, Lizzy Stewart, mette in bocca alla sua Alison, mi ha stesa. Perché è assolutamente realistica, l’ho sentita formulare tante volte, da molte donne. E sono molto veri e sinceri tutto il racconto e il personaggio di Alison, che, come le donne a cui penso, immagino che si chieda: «certo, è stato tutto sbagliato e orribile, ma, senza di lui, senza quell’incontro, come sarebbe stata la mia vita? Sarei rimasta in provincia, in un matrimonio sbagliato e noioso, senza sapere che cosa era l’arte, senza vivere».
È un dubbio terribile. Lizzy Stewart, con grazia e profondità usa immagini e parole per metterci in quella situazione. In ogni tavola della graphic novel, riesce a racchiudere enormi quantità di informazioni, e riesce a dare movimento alla sua narrazione anche quando la sua eroina è silenziosa e bloccata. Il libro è costruito come l’archivio di una vita: foto, biglietti, schizzi, tavole, appunti, lettere, copertine di libri. La narrazione scelta dall’autrice è, davvero, la costruzione di una relazione intima con la protagonista.
L’Alison del titolo è Alison Porter. Quando il libro inizia, è la metà degli anni Settanta e lei è una neo-sposa diciottenne, con il marito Andrew – un brav’uomo, ma anche piuttosto noioso – che ha contribuito a realizzare i suoi sogni di una vita ordinaria e adulta, proprio come quella che i suoi genitori hanno avuto prima di lei. Ma c’è un problema. Intrappolata nel loro cottage sulla costa del Dorset, senza nessuno con cui parlare e senza molto da fare mentre Andrew è al lavoro, Alison si annoia e si sente sola. È questo che la spinge a iscriversi a un corso tenuto da Patrick Kerr, un illustre ritrattista (le sue opere sono esposte alla Tate) di quasi 30 anni più anziano di lei:
«Patrick non viveva nel Dorset; veniva da Londra. Si chiamava Patrick Kerr ed era un pittore rinomato e rispettato, faceva parte della Royal Academy. Passava un mese e mezzo nel Dorset a badare alla casa del suo amico Roger Blake-Kelly, un altro pittore. Io non li conoscevo. Lo definivano “l’ultimo vero pittore vivente”. Sbuffava ogni volta che sentiva quell’espressione. “L’ultimo dinosauro in mezzo a tanti umani scintillanti”», commentava ridendo. Kerr era nato nell’Oxfordshire nel 1931, in una famiglia istruita e benestante che aveva incoraggiato la sua passione per la pittura sin dall’infanzia. Aveva studiato alla Slade e poi al Royal College of Art negli anni Cinquanta, con il sostegno di mentori che sono stati pionieri della Pop Art inglese e dell’astrattismo. Aveva iniziato come saltuario autore di ritratti, ma presto era stato accettato dal mondo dell’arte non solo grazie al talento, ma soprattutto grazie al suo bell’aspetto, al suo lignaggio e a un fascino innato. L’ascesa è stata rapida. (…)
Dieci anni dopo, Kerr aveva già venduto dei dipinti alla Tate e alla National Portrait Gallery. La sua storia era il sogno di chiunque. Aveva talento e veniva celebrato e premiato per quel talento, dopo appena qualche anno di gavetta. Per lui la pittura veniva prima di tutto. Non che disprezzasse la videoarte e le performance, ma non facevano presa su di lui. La pittura invece era nobile e sincera ed era “l’ambito del vero genio”. I suoi amici erano tutti carismatici e di successo; scrittori, fotografi e gente che “possedeva cose”: gallerie, teatri, case editrici… erano quasi tutti uomini. Non credo se ne sia mai accorto. Per molto tempo neanche io mi sono accorta che Patrick era parte del problema, dato che un po’ lo era. Era fieramente anti-sistema, come può esserlo solo qualcuno che viene adorato dal sistema. Gli dispensavano soldi e quindi la libertà di dedicare la sua vita alla pittura. Non aveva tempo per la gente che non viveva in base ai propri desideri come faceva lui; non riusciva a concepire l’adesione alla norma. Non sapeva che la maggior parte delle persone deve farlo. Lo spazio di manovra ce l’hanno solo alcuni, e non tutti».
Kerr la corteggia e Alison inizia una relazione con il suo nuovo tutor, molto incoraggiante – Patrick è estremamente persuasivo – e subito dopo lascia il marito, seguendo il grand’uomo a Londra, dove lui la ospita in un minuscolo appartamento sopra un’edicola (non può vivere con lei: non riuscirebbe a lavorare). In città, lontana dalla sua famiglia, Alison è ancora isolata, ma ora ha un nuovo scopo, prima sotto forma di Patrick, e poi sotto forma della sua arte. Incontra nuove persone e si fa nuovi amici, e gli anni iniziano a scorrere in modo produttivo, scanditi alla fine dalle mostre dei suoi dipinti, ognuna più grande e di maggior successo della precedente. Ci sono anche momenti bui, una forte depressione che la riporta nel Dorset. Qui riprende le fila della sua vita e i legami con la sua famiglia d’origine. Nasce un rapporto forte con il nipote, figlio del fratello: «Daniel era così piccolo. A volte, quando piangeva, diventava una di quelle scimmiette neonate, aggrappato alla madre con le piccole dita ossute. Non riuscivo a guardarlo dritto negli occhi, era come una persona senza pelle. Stare vicino a lui – guardarlo disegnare, il modo in cui parlava sottovoce, i suoni che faceva addormentato accanto a me sul divano – mi dava alla testa, era stupendo. Era l’amore incarnato, l’amore fin dentro le ossa. Daniel ora ha trentaquattro anni. Insegna Inglese alle medie. Non disegna più, come succede spesso ai bambini, ma le immagini continuano a venirgli in mente e ore le descrive invece di disegnarle. Mi manda lunghe mail in cui racconta nel dettaglio le scene strane a cui ha assistito nel paese in cui sono cresciuta. Quando viene a trovarmi lo porto fuori a cena dal nostro vietnamita preferito e poi andiamo a vedere il film più scemo che troviamo e beviamo gin da una fiaschetta che conservo per queste occasioni. Daniel è ancora facile da amare. Per me è la gioia pura. Stiamo nella mia cucina, lo lascio fumare in casa come una brava zia cattiva, e lui mi dice tutto. Mi chiama Ally-Pally e io lo chiamo Danol: pronunciava il suo nome così da bambino. Non ho mai avuto figli. Non è stata una decisione, solo che non ho avuto figli. Ma avevo Daniel, ed era tutto ciò di cui avevo bisogno».
Il filo rosso magnifico del libro è l’amicizia tra Alison e Tessa: «Tremo al pensiero che, se fosse stato per me, io e Tessa non saremmo mai diventate amiche. Ero così giovane e così sicura di essere la persona più fuori luogo in quella stanza, in qualsiasi stanza. Non mi ero accorta che pure Tessa, che appariva disinvolta e brillante come tutti, era fuori posto. Per forza. Sono stata fortunatissima a ricevere poi il suo invito per fare una passeggiata e per un caffè. Ci siamo catapultate in un’amicizia che è diventata una lunga storia di intimità».
In una delle ultime tavole del libro, Alison e Tessa, giovani e squattrinate, si danno la buonanotte dicendosi: «Ti adoro, Tess…Li batteremo tutti, un giorno». «Sì, lo faremo. Ti adoro anche io».
Lizzy Stewart, Alison, traduzione di Claudia Durastanti, Coconino press, 2024
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Chiara Cremaschi
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