La vendetta di Libbali

Maristella Lippolis, 5 novembre 2024

Ci sono diversi modi di raccontare un libro, ma alcuni elementi sono imprescindibili: luogo e tempo dell’azione, i personaggi e le personagge, gli elementi salienti della storia, il significato più o meno nascosto che l’autore ha voluto svelare o nascondere. Più o meno si fa così. Con il libro di cui mi accingo a scrivere tutto questo risulta piuttosto complicato, perché le storie che si intrecciano sono molte, e i personaggi sono una folla, se volessimo parlare di tutti e di tutte.  Allora potrei iniziare dicendo che si tratta di un gioco di specchi, di rimandi, di storie che nascondono e svelano altre storie. Ma la cosa più importante da dire è che l’autrice, Antonella Cilento, ha edificato un castello di narrazioni che ci tiene avvinte/i lungo e dentro 370 pagine e scavalcando secoli con una maestria stupefacente. Mescolando vero e verosimile, realtà e finzione.

Detto questo provo a seguire lo schema classico, partendo dall’inizio: da Ninive, la grande capitale assira di cui parla la Bibbia, città sacra alla grande Ishtar, dove nel VI secolo a.C. regna Assurbanipal, sovrano potente e crudele. Ha una moglie, Libbali (che viene ritratta seduta ai suoi piedi), e quando a corte arriva un giovane prigioniero ebreo dagli occhi color lapislazzulo tra i due scoppia una passione irrefrenabile e funesta. La relazione viene scoperta e la vendetta del re è spietata: il giovane viene decapitato e le quattro figlie di Libbali uccise. Anche per lei si prepara la morte nella stanza imbiancata a calce, ma…compare la giovane figlia del suo amante che la prende per mano illuminando il cammino con una lucerna accesa, e insieme svaniscono nel nulla. «E a se stessa promette: io tornerò. Quattro volte o quaranta volte quattro, se serve. Una per ogni mia figlia. Una per ogni occhio e ogni dente».

Da qui in avanti la narrazione prosegue in luoghi e tempi diversi: eccoci a Londra nel 1848, dove Henry Layard, scopritore di Ninive (personaggio realmente esistito, come gran parte di quelli che animano la storia) scavando tra le rovine della mitica città aveva trovato una misteriosa tavoletta raffigurante una divinità femminile con le zampe d’uccello e una bambina armata di lucerna. Ed ecco che gli sembra di vederla, insieme a una strana bambina bionda, e di sentire la sua voce irata che ripete: Come hai osato violare la mia casa. Come hai osato uccidere le mie figlie. La vede e quasi esce di senno. Ma gli incontri, le visioni, le allucinazioni si ripetono e si incarnano in nuove forme, lo inseguono e lo perseguitano. E arriviamo nella Napoli del 1656, e poi in quella del 1683 e del 1881. A questo punto noi che leggiamo possiamo già immaginare che ci aspettano altre coincidenze misteriose, e altri crocevia tra passato e presente: ecco il pittore Aniello Falcone, detto il Velasquez di Napoli, che incontra una misteriosa maga di nome Albalì, che gli parla di come «le anime si inseguono per cicli così lunghi che tu nemmeno immagini», e riesce a ritrarla in un disegno prima di perderla per sempre; lo stesso disegno che riapparirà altre volte nel romanzo per arrivare fino ai nostri giorni nelle mani dell’ultima protagonista.

In queste parti ambientate a Napoli spiccano alcune figure femminili, capaci di sparigliare le carte ma grande protagonista è anche la lingua napoletana: una girandola di parole che fanno a gara con l’italiano per precisione e capacità significanti, un mondo affascinante di suoni in cui si cammina e ci si perde, come accade dentro la città. Tra le figure femminili giganteggia Filomena Argento, raccontata in un modo che la rende indimenticabile. Si fa il tifo per lei, quando perde e quando trionfa, quando piange e quando gode, e arrivando al finale che Antonella Cilento le inventa ne siamo felici assai.

Alla fine della lettura possiamo chiederci cosa abbiamo letto: una storia che parla di come alcune forze vitali possano attraversare i secoli e ripresentarsi sotto altre forme? di come certi misfatti non si possano cancellare ma cerchino vendetta per potersi dare pace? Forse, ma io credo che conti solo aver letto uno di quei romanzi dove ci si può perdere e incantare e perdersi di nuovo. Inseguendo Lillibai e Albalì. E la bambina bionda con la lucerna in mano.

 

La Babilonese, Antonella Cilento. Bompiani, 2024

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Maristella Lippolis

Maristella Lippolis ha esordito nella narrativa pubblicando racconti sulla rivista Tuttestorie diretta da Maria Rosa Cutrufelli. Nel 1999, con la raccolta di racconti La storia di un’altra, ha vinto il Premio Piero Chiara. Seguono i romanzi Il tempo dell’isola, Ed. Tracce; Adele né bella né brutta, Piemme, finalista al Premio Stresa 2008; Una furtiva lacrima, Piemme 2013; Raccontami tu, L’Iguana, Editrice 2017; Non ci salveranno i Melograni, Ianieri Edizioni 2018; Abbi cura di te, Ianieri 2021. È stata componente del Direttivo nazionale della Società italiana delle Letterate nel biennio 2000/2022. Collabora con la rivista Leggendaria, con il Magazine on line della Società italiana delle letterate, con il Magfest (Festival di donne nel teatro). Dal romanzo Raccontami tu è stata tratta una riduzione teatrale. È stata finalista del Premio Urania 2020 con il romanzo Oltre Tauersiti, in pubblicazione nel maggio 2022 da Vallecchi con il titolo La notte dei bambini. Organizza laboratori di scrittura narrativa e autobiografica. I suoi racconti e romanzi sono abitati in prevalenza da donne che non rinunciano a desiderare di essere se stesse, universi femminili in movimento. Ligure per nascita, giovinezza e nostalgia, vive a Pescara con due gatte, ha due figlie e una nipotina. Sostiene di voler smettere di scrivere romanzi, perché la vita reale li contiene già tutti, ma poi non resiste alla tentazione di ricominciare. www.maristellalippolis.it

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