Svuotare le case che ereditiamo può essere doloroso e a volte molesto. Maria Luisa Bompani trasforma questo lavoro in un’occasione di poesia, di conversazione con gli assenti, creando uno spazio intimo in cui ciascun lettore/lettrice possa ritrovarsi. Il suo nuovo romanzo “Quello che le cose chiedono”
Di Loredana Magazzeni
Questo è un romanzo di cose e sulle cose. Un’epopea del calzino, degli stracci e della falciatrice elettrica, l’epopea malinconica dello svuotamento delle case e cose ereditate, e del non riuscire a staccarci da loro. Perché ci chiedono, le cose, di non morire, di custodire il ricordo di coloro cui appartenevano e a cui sono servite in vita per la vita stessa. C’è dentro certamente la lezione di Perec, il lungo apprendistato con la Bottega della Narrazione di Giulio Mozzi, precedenti romanzi altrettanto belli e innovativi, come Infanzia dea, ora ripubblicato dalla collana Laurana online, diretta da Demetrio Paolin.
Parliamo di oggetti o parliamo di ricordi? Maria Luisa Bompani ha scelto la strada del protagonismo degli oggetti, cui dedica meticolosi e buffi micro-capitoli e capitoli dai titoli ammiccanti e bellissimi (Bisogna togliere il cibo, subito; Siete lontane, nella casa irraggiungibile; Fuori tutte, ultime cose; La casa vuota se ne va; Cose che non stanno zitte; Far durare le cose).
È la durata che regala, alle cose da tenere, buttare, regalare, mentre intreccia con loro, con gli oggetti, un dialogo in presenza, fatto di rievocazione, assenza, ricordo. Quello dello svuotamento delle case ereditate è un rituale spesso molesto, faticoso, difficile, per ciascuno di noi. Perché si tratta di un lavoro a perdere, un girare il coltello nella piaga della morte, dell’assenza, della perdita. Bompani è riuscita a rendere questo lavoro doloroso un’occasione di poesia, di scrittura, di conversazione con gli assenti, creando uno spazio intimo e universale in cui ciascun lettore/lettrice possa ritrovarsi. Una nicchia di consolazione e dolore e poi di nuovo di ironia e risata.
Perché non è la malinconia il sentimento generale di questo romanzo, quanto l’ironia, la comicità delle nostre vite quotidiane, il loro aver costituito un universo di realtà per coloro che vi erano immersi, naturalmente i figli, allora giovani ora non più, alle prese con i rituali di allora.
Bompani sceglie un tema originale e profondo, in cui mescola alto e basso, fa dialogare la radiolina del Mulino Bianco con la camera della nonna, la fiaba del portagioie con le reliquie.
Perché di reliquie si tratta, come gli oggetti dei malati di Covid, regalati dall’Azienda sanitaria di Piacenza nei casi di impossibilità di farli riavere ai familiari. Bompani elabora così un libro-saggio sul valore della memoria, mettendo in comunicazione altri scrittori (Raffaello Baldini, Lydia Flem), con altri studi, istituzioni e musei, come quello creato da Ettore Guatelli a Ozzano Taro, in provincia di Parma. E si chiede se “la fragile eternità che insieme abbiamo dato alle cose”, attraverso la scrittura, non sia essa stessa “precaria, come tutte le eternità che gli esseri umani inventano e desiderano abitare”.
Maria Luisa Bompani, Quello che le cose chiedono, Sassuolo (Modena), Incontri Editrice, 2024
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Loredana Magazzeni

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