Il passato è presente

Amanda Rosso, 11 febbraio 2025

Una misteriosa lettera che non è mai stata consegnata. Tre personaggi le cui vite si intrecciano nei meandri del passato e un incidente che ha cambiato le loro vite. Un matrimonio impellente che li obbligherà a fare i conti con i loro silenzi. L’ottuagenaria Jane Campbell torna con un romanzo sulla memoria, la famiglia e le idiosincrasie della borghesia inglese

Di Amanda Rosso

«Filosoficamente parlando, gli stati di felicità umana e di buona sorte possono in generale essere paragonati a certi gruppi di alberi: visti da lontano sembrano belli, ma se ci sali sopra o ti metti sotto, la loro bellezza scompare e non hai più modo di vederla».
«Chi l’ha detto questo?».
«Qualche vecchio filosofo»
Jane Campbell, Interpretazioni dell’amore

Se c’è una cosa che ci hanno insegnato i racconti di Spazzolare il gatto, l’esordio dell’allora ottantenne Jane Campbell, è che questa autrice sa come raccontare la vecchiaia senza sconti, ipocrisie e manipolazioni. Le sue donne si guardano allo specchio con disgusto, faticano a emanciparsi da una cultura misogina che addita la vecchiaia femminile come un morbo di cui le sue vittime non possono parlare, se non per rinnegarlo. Allo stesso tempo, Campbell infonde nelle sue protagoniste una vitalità, un’ironia e una passionalità che raramente si vedono attribuite a personagge letterarie mature. La visibilità e la complessità femminile che ha fatto della raccolta di Campbell un caso letterario, si accompagna a un altro elemento stilistico cruciale della sua scrittura: la sottilissima ma efferata critica alla media borghesia britannica.
Campbell, che ha trascorso l’infanzia in Inghilterra per poi trasferirsi in Sud Africa, salvo tornare fra le nebbie di Oxford dove risiede tutt’ora, sa come intessere con maestria la trama intricata di passioni, lutti e alleanze che coglie le sue protagoniste al crocevia fra età, genere e classe.
Nel suo recente romanzo, Interpretazioni dell’amore, tradotto da Federica Bigotti per Edizioni Atlantide, l’ottuagenaria scrittrice affronta non solo i delicati equilibri famigliari di un variegato clan borghese e intellettuale dell’Inghilterra odierna, ma con un esperto gioco di rimandi e citazioni, inserisce le loro dinamiche in un tempo e un universo preciso, quello della Gran Bretagna post-bellica.
Il romanzo, narrato in prima persona da tre personaggi, il professore in pensione Malcolm, lo psicoterapeuta Joe e l’accademica Agnes, sin dall’inizio palesa la sua impronta filosofica e psicoanalitica, e si snoda attorno a una lettera che Malcolm ha ricevuto dalla sorella cinquant’anni prima, e che non è mai stata consegnata al destinatario a causa di un incidente che ha sconvolto le parentele e gli equilibri della famiglia. Il matrimonio di Elsie, la più giovane della famiglia, sarà l’occasione per i protagonisti di sbobinare e riannodare i fili della storia, e rielaborare i traumi e i silenzi che caratterizzano la beneducata borghesia inglese.
Se nella sua raccolta Campbell prestava voce a personagge di diversa estrazione sociale e storie di vita differenti, nel romanzo l’autrice si concentra sui complessi equilibri famigliari di una generazione, nata a cavallo fra le due Guerre Mondiali, che ha plasmato la propria esistenza nelle teorie psicoanalitiche di Freud, il boom economico, e le atmosfere rarefatte delle biblioteche di Oxford. Campbell, come Jane Austen, Barbara Pym e A. S. Byatt prima di lei, osserva con sagacia e umorismo le idiosincrasie della classe media inglese di provincia, il trauma intergenerazionale spazzato sotto un interminabile tappeto di convenevoli e chiacchiere oziose e i segreti e le incomprensioni che costellano una società delimitata da implicite regole di comportamento.
Il sesso e le sue conseguenze, continuano a popolare le pagine di Campbell, che dipinge senza manierismi le remore e i giudizi che caratterizzano una donna di mezza età che manifesta desideri sessuali:

«Dimostrerò a Freddie e a me stessa come sono assennata e ragionevole e poi ho ricordato con incredulità di aver deciso che era giunto il momento della castità e della continenza, e che avrei fatto di me stessa una serena e amabile donna matura; completa nella mia vita da nubile, intellettualmente e spiritualmente appagata dal mio lavoro, dai miei pensieri, dai miei libri. Ma la solitudine è un’arte, ho ribadito a me stessa, ed è un’arte che io non ho ancora acquisito nonostante una vita di apprendistato.»

Il passato, un personaggio a sua volta, acquista una forza centrifuga e centripeta allo stesso tempo: il trauma originario a cui le vicende ritornano ciclicamente, un momento sospeso da cui si dipanano le scelte più o meno oculate di Malcolm, Agnes, Joe, i mariti e le mogli che come in una sala da ballo si alternano amari, infedeli o disperati, nella danza impeccabile della borghesia annoiata.
La svolta drammatica implicita in questa particolare forma di promiscuità, che si manifesta nel romanzo come un continuo vorticare di tradimenti e infelicità coniugali, non si traduce però in uno stile smaccatamente lacrimevole. Al contrario, Campbell si fa forza del milieu accademico dei suoi protagonisti per sviscerare quelle stesse ipocrisie e manchevolezze con la prosa pungente della psicoanalista. La pulsione sessuale, quella di morte, la moralità, la verità e il decoro si combinano all’ironia affilata che caratterizza la prosa dell’autrice. Lungi dall’aspettarsi comprensione ed empatia per i suoi personaggi, Campbell non li rende nemmeno irredimibili. Se nelle nostre esistenze, sembra suggerire l’autrice – sulla scia di Freud – esistono moti incontrollabili dell’animo, passioni e desideri le cui radici affondano nel limo dell’infanzia, è certo che possiamo e dobbiamo trattarti come provette da laboratorio, esporli alla luce del sole per analizzarne le sfumature, le irregolarità, i contorni.
La maternità, che a tratti si rivela un gioco al massacro, altre assume caratteristiche salvifiche, è una pietra grezza incastonata al centro di questo romanzo di divagazioni e ricordi, che tuttavia non smette mai di tornare alla fonte delle sue peregrinazioni.
La memoria quindi si fa palpabile, ruba la scena al presente, ai sentimenti e le vicissitudini che, a confronto con una notte trascorsa sotto i bombardamenti, un viaggio in macchina da cui i loro cari non sono mai tornati, appare smunto e insignificante, mero territorio di nostalgia e rimpianti. I ricordi diventano quindi più necessari della realtà, le ferite del passato più cruciali di quelle del presente; le decisioni prese durante la guerra più rilevanti di quelle di oggi. Le sfumature impercettibili dei ricordi che si affastellano nel presente rimangono inconfondibili eppure inaffidabili, allo stesso tempo fari di speranza e baratri di confusione.

«Il professor Freud, quello scaltro stregone viennese, ora è negletto e sottovalutato ma a suo tempo certamente un paio di cosette le sapeva, e una di quelle che sapeva bene è che non è semplice lasciare il passato dov’è, perché tende a colare nel presente in ogni momento.»

I personaggi di Campbell, uomini e donne di cinquanta, sessanta, ottant’anni, rimangono in vita per portare a termine una missione, abbandonano le loro esistenze monotone per raddrizzare i torti e pacificare i morti, eppure nel farlo appaiono fragili, quasi comici nei tentativi abbozzati di avvicinamento e confronto.

«Ci eravamo ormai imbarcati senza indugi nell’avventura di crearci a vicenda che è la base di tutte le vere storie d’amore.»

Con lo stesso candore e la stessa maestria che ha caratterizzato Spazzolare il gatto, Jane Campbell ritorna a sviscerare i tumulti di donne e uomini che la vecchiaia non ha trasformato in modelli di virtù e saggezza, relegati ai ruoli marginali di confessori o patriarchi benevoli. Al contrario, l’autrice riesamina la nostalgia come un fenomeno sociale, e non personale, offrendo uno sguardo obliquo sulla nostra relazione con il passato come entità socialmente costruita a cui i personaggi si aggrappano per trovare un’identità rassicurante che non scuota le loro certezze.

«Mi spoglia della mia identità, il mio nome, il mio passato, e so che qualcosa che non posso definire è stato recuperato da questa visita alla mia vecchia casa. Siccome non posso definirlo non posso condividerlo e quindi posso, forse, anche non perderlo; è adesso una parte di quell’incomunicabile senso di me stessa tanto costitutivo di questa giornata.»

Jane Campbell, Interpretazioni dell’amore, trad. Federica Bigotti (Edizioni Atlantide, 2024)

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Amanda Rosso

Amanda è nata e cresciuta nell'entroterra ligure. Si è laureata in Comunicazione all'Università di Pavia e ora vive e lavora a Londra, dove ha conseguito un Master of Arts in Modern Languages and Comparative Literatures alla Birkbeck University. I suoi racconti sono apparsi su "Narrandom", "Quaerere", "Malgrado le Mosche", e in alcune antologie online e cartacee, fra cui “Musa e getta. I racconti delle lettrici e dei lettori” (Ponte alle Grazie, 2021) e “Il corpo c'è” (Vita Activa Nuova, 2023). Ha co-tradotto la raccolta di racconti "Donne d'America" (Bompiani, 2022) a cura di Giulia Caminito e Paola Moretti. Fa parte dell'attuale direttivo della Società Italiana delle Letterate.

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