“In mezzo c’è the border”: silvia b con i suoi testi originali e le sue immagini ci porta nei luoghi di migrazione più attraversati da chi tenta il game: la rotta balcanica, il Mediterraneo, l’isola greca di Lesvos, Trieste dove un’umanità solidale si scontra con il razzismo, come a Ventimiglia, Milano. Ascolta, riflette, racconta, traduce alcune parole che sente…
Di Chiara Cremaschi
“In mezzo c’è the border” è un libro da leggere centellinando. Semplicemente perché ti prende a pugni, ti accarezza, ti fa ridere, piangere e urlare. Tutto questo insieme è difficile da sopportare, per chi legge, ma è quello che vive quotidianamente chi affronta the game.
silvia b scrive un testo di osservazioni, pensieri, esperienze, propositi. Inizia con una dedica molto chiara: «a voi che resistete costrettx ai margini e ci mostrate lo schifo che facciamo, Mananà, tara mananà!»
L’autrice ha l’esperienza per sapere che, chi sfida “the game” deve superare “the border”, cioè un’estenuante serie di confini, discriminazioni, ostacoli. Lo sa perché lei va lì, con loro.
E, con i suoi testi e le sue immagini, ci porta nel mezzo di alcuni dei luoghi di migrazione più attraversati: prima la rotta balcanica, tra Serbia e Croazia e Serbia e Ungheria, poi il Mediterraneo, sull’isola greca di Lesvos, poi a Trieste dove un’umanità solidale si scontra con molteplici forme di razzismo quotidiano, così come a Ventimiglia, Milano. E Bologna, dove insegna e si sforza di ascoltare, anche lì.
Il testo è organizzato in: breve legenda, in cui vengono spiegati e tradotti vocaboli in lingue diverse, come il “Mananà. Tara mananà” della dedica: molte grazie, in pashtu, oppure “omid varam kidar arzu tan birasid”: che il game vi vada bene, che arriviate sani e salvi dove desiderate arrivare, in pashtu traslitterato. O, più semplicemente, per chi non sa di cosa si sta parlando, il termine game: così è chiamato dalle persone in movimento il tentativo di passare ogni singolo confine sulla rotta balcanica. Ci sono poi i testi dalla Serbia, da Lesvos, e dall’Italia (non è terra per migranti) e le appendici 1 – diario di inizio agosto 2017 scritto sul confine italo francese, a Ventimiglia e 2- violenza e abusi sul confine di Ventimiglia intervista per Radio città fujiko a cura di Anna Uras.
silvia b si muove con estrema apertura e umanità, dichiarando a chi vorrà leggere il suo testo: «molte parti in corsivo esulano dal racconto. Sono mie riflessioni, congetture, connessioni, spunti, che ho inserito perché la neutralità non esiste e ciò che vediamo ci porta a riflettere, seppur entro i limiti del nostro orizzonte personale e attuale. Non sono il fulcro del discorso: se disturbano, inquinano la tua percezione, si possono tralasciare. Alcuni errori sono voluti: minuscole, ripetizioni, generi. È una scrittura che andrebbe forse letta ad alta voce».
E io sono d’accordo con lei, perché la sua scrittura è quella di una Erodoto in viaggio, che guarda, ascolta, si fa raccontare e riflettere.
È così che possiamo immaginare Ahmed e Ibraheem «fratelli il cui cuore batte in un luogo lontano, certamente pieno di affetti, dove forse non potranno mai tornare. Così belli e vicini i loro sorrisi che sembravano due amanti. Con loro, una cinquantina di persone, quasi tutte siriane, di cui circa la metà giocava una partita a pallone, ridendo, scivolando sulle pozzanghere gelate, senza scandalizzarsi se giocavano femmine, chiamando la palla e lanciando in aria a inseguirla scarpe troppo affaticate per restare attaccate ai piedi.»
Oppure Achraf, «che è stato respinto otto volte lungo il fiume che segna il confine greco-turco prima di riuscire a passare e proseguire attraverso la Bulgaria. Dentro quel confine, tanti migranti sono morti annegati. All’inizio di questo febbraio, diciannove ragazzi sono stati respinti e spogliati di quello che avevano. Sono morti congelati. Abbiamo visto le foto: erano sdraiati in mezzo alla strada o alla campagna, alcuni in pantaloncini e t-shirt, altri con le braccia allargate: alcuni sembrava li avessero ammazzati, altri che dormissero. In dicembre, una bambina di dieci anni è morta annegata, strappata dalle braccia della madre, nel fiume Dragogna, che separa Slovenia e Croazia. Invece Achraf si è salvato».
O ancora le ragazze e le donne del campo di Lesvos, che l’autrice cerca di imparare a massaggiare:
«Di cosa ha bisogno qualcuno che non conosci ma che puoi facilmente immaginare abbia subito dei traumi? Da noi si direbbe di terapia, di psicoterapia, e le nostre immaginazioni cominciano a sguazzare nell’ambito della nostra attuale e personale interiorizzazione di concetti psicoanalitici. La psicoanalisi con i lapsus, l’ego, l’io il super-io, il rimosso, l’analista. Sono sfuggita al desiderio di unire con i due punti l’ultima e la penultima parola: forse lo stesso psicoanalista e la sua cultura potrebbero essi stessi costituire il rimosso della cura psicoanalitica. E se Freud ha sdoganato il peso della sessualità, di certo non ha superato più di tanto i pregiudizi di genere. La psicoanalisi con la riproposizione del trauma. Ma è lo stesso concetto di trauma ad essere stato inventato da neurologi e psichiatri europei, all’interno di una cultura borghese di meno di centocinquant’anni fa. Prima, c’erano il dolore e la sofferenza, il male e la follia. La psicoanalisi utilizzata oggi con le persone migranti, con mediatori e traduttori e tutti i passaggi inconscio-coscienza-bocca-spazio-orecchie-coscienza- inconscio di diverse persone, di diverse culture, in un senso e nell’altro, mi sembra un te-le-fo-no-con-trop-pi-fra-gi-li-fi-li.
Perché non la cura dei corpi?
Perché le parole sgorgano dai corpi
Persino il cervello è parte dei corpi
Quel cervello che chi soffre sogna di staccare, di farne a meno,
perché il corpo mente di meno
perché curare il CORPO cura anche l’anima-
per questo forse si fa in genere
all’inizio e alla fine della vita»
“In mezzo c’è the border” è un libro che ci interroga e non ci lascerà mai più. Un libro che dai margini denuncia violenze e contraddizioni, in una visione femminista e anti patriarcale, critica e autocritica sullo sguardo eurocentrico e le politiche di esclusione europee: «Penso alle parole di bell hooks, che ci suggerisce un’altra strada, chiedendoci dove vogliamo posizionarci. Ci domanda se davvero vogliamo raggiungere il centro, condividere e aspirare a quel tipo di potere, fino ad oggi egemonico, che ha prodotto questo sistema. O se vogliamo piuttosto scegliere di abitare i margini, continuando ad esercitare la nostra capacità di resistenza per produrre un discorso controegemonico, condividendolo con quelle donne e quelle soggettività che di aspirare al centro non hanno neanche la possibilità e che, se scegliessimo la prima strada, resterebbero ai margini da sole»
silvia b, In mezzo c’è the border, Capovolte 2024
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Chiara Cremaschi
Ultimi post di Chiara Cremaschi (vedi tutti)
- Che il game vi vada bene - 13 Dicembre 2024
- Storia di un’artista famosa - 7 Novembre 2024
- Le case di Marguerite - 7 Ottobre 2024
- Leone d’argento a Maura Delpero - 8 Settembre 2024
- Alice Rohrwacher premiata a Venezia - 30 Agosto 2024