Per la rubrica Madri/Non madri, dopo il contributo di Ivana Margarese del 18 settembre “La vulnerabilità come etica”, in risposta al testo di Gisella Modica “La potenza nutritiva del corpo materno”, riflessioni a partire dal libro di Adriana Cavarero Donne che allattano cuccioli di lupo. Icone dell’ipermaterno (Castelvecchi 2024), del 9 settembre, pubblichiamo le risposte di Luisa Vicinelli. Vicinelli organizza alla Casa delle donne di Milano, insieme al suo collettivo di autocoscienza “Le Matriarcali” le “Fiere del libro matriarcale” il 25/26/27 ottobre 2024.
Di Luisa Vicinelli
Gisella Modica: Mi chiedo se attribuendo all’esperienza della maternità la“conoscenza viscerale” intesa sia come esperienza vissuta del “corpo gravido”, cioè del parto, delle doglie, della nascita e dell’allattamento, sia come esperienza della sua “potenza nutritiva” definita “ontologica partecipativa” capace di contrastare il dominio antropocentrico, non si rischia di discriminare le donne che per scelta, per costrizione o per età non attraversano tale esperienza.
Luisa Vicinelli: Non si rischia perché è una conoscenza che si trasmette da donna a donna e si mantiene viva con l’esperienza anche per chi non la fa, che la riceve in eredità, così come i maschi hanno ricevuto in eredità biologica dalle madri il linguaggio e la facoltà di pensare (vedi “Il corpo pensa” di Angela Giuffrida).
G. M. : Attribuendo un valore positivo all’ “ipermaternità di stampo arcaico” definita “un delirio” non si rischia di ricacciare le donne nella corporeità e nella zoe favorendo il dualismo corpo-mente?
L. V. :Un appunto sul termine arcaico: il tempo che si srotola su una linea è invenzione degli uomini. La maternità definita “un delirio”, un valore positivo, lo è stata per tutti i millenni patriarcali altrimenti senza marito e senza figli eri alla mercè di tutto il branco di maschi. Che poi oggi non si riesca più a vedere al di fuori del delirio imposto è dove si deve lavorare di femminismo. Il dualismo corpo mente non si risolve rifiutando l’una o l’altra parte: noi non solo diamo fisicamente la vita ma abbiamo creato la coscienza umana (cfr. “Il sangue, il pane e le rose. Come le mestruazioni hanno creato il mondo” di Judy Grahn) e la cultura umana (“Le società matriarcali. Studio sulle culture indigene del mondo” di Heide Goettner-Abendroth). Il dualismo nasce in chi ha una visione del mondo molto parziale (gli uomini) però è così stupido da volerla imporre.
G. M: In che modo, attraverso quali passaggi e quali pratiche politiche la “confidenza del corpo materno con la materia corporea dell’origine”, e con l’animalità/bestialità, può condurci a una visione biocentrica se è vero, come afferma Haraway e come io credo, che lotta per la natura e per la giustizia sociale sono inscindibili?
L. V. : Mi fa piacere che Haraway sia addivenuta dopo il “Manifesto cyborg”, ma non ho letto il nuovo libro con le attuali questioni, troppo fuoripista il primo. La domanda che poni ha già risposta in parte nel mio commento precedente: se la nostra esistenza è guidata da individue che conoscono la vita e la morte (conoscenza cellulare della materia corporea dell’origine) va da sé che ci sarà anche giustizia sociale. La giustizia sociale è una questione di intelligenza come il fatto che senza questo pianeta noi non viviamo. Sul “come fare” sicuramente è necessaria un’operazione come quella fatta per rendere le donne consapevoli della loro condizione e cioè trovarsi, parlarci, riprendere l’autocoscienza che è stata dismessa per seguire la fascinazione della “cultura” maschile, convinte di essere ormai accettate nel loro mondo. La forza delle donne è sempre stata la cooperazione, il gruppo: come animali ai tempi hanno fatto una scelta evolutiva sociale.
G. M. : È sufficiente partorire, fare figli, nutrirli, allattarli per cambiare prospettiva, assumere uno sguardo capace di andare “oltre il consentito”?
L. V. : Abbiamo già detto che non serve partorire. Propongo in alternativa la convivenza con amiche e parenti che lo hanno fatto e il ripristino della vera libertà sessuale con compagni (visto che c’è fede in un’ancora non dimostrata volontà di cambiare dei millennial) che fanno lo stesso con le parenti femmine, abitando e sostenendo i loro bambini.
G. M. : Perché Cavarero trascura di soffermarsi invece sulla potenzialità creativa e immaginifica delle Baccanti; sul loro posizionamento in quell’ altrove “inappropriato” del Citerone, non-luogo fantastico o fantascientifico?
L. V. : Non saprei, azzardo. Forse ha già iniziato a dismettere le dicotomie, quella tra banale, quotidiano e potenzialità creativa e immaginifica?
G. M. : Perché Cavarero trascura di “vedere” nella “follia”, in quello “stato di trance” “dove è più facile abbandonare l’io e connettersi all’Altro e ad altro”; nella forza del perturbante che le Baccanti scatenano nell’immaginario collettivo; nella loro capacità di contaminarsi che gli permette di compiere azioni prodigiose “difficili da immaginare” in questo mondo, i dispositivi oggi più adatti dal mio punto di vista ad abbattere i dualismi umano/non umano, mente/corpo e a lottare per la giustizia e la sopravvivenza della terra?
L. V. :Anche qui azzardo, non sono la Cavarero. Forse perché è così che in tante descriviamo l’incontro col femminismo che non cede a patti con gli uomini?









Luisa Vicinelli

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