Christine de Pizan, chi era costei?

Gabriella Musetti, 4 luglio 2022

Sono usciti recentemente, nel 2022, due libri che hanno a che fare con il “canone occidentale”, in particolare nel campo italiano, che sembrano dialogare a distanza tra di loro. Il primo è di Daniela Brogi, docente all’Università per Stranieri di Siena, “Lo spazio delle donne”, già ampiamente dibattuto in diverse sedi e recensito su Letterate Magazine da Elvira Federici in maggio; il secondo di Federico Sanguineti, “Per una nuova storia letteraria”, uscito a fine aprile.

Federico Sanguineti, ordinario di Filologia dantesca all’Università di Salerno, è figlio del grande poeta Edoardo, che curò la famosa antologia “Poesia italiana del Novecento” nel 1969, poi più volte ristampata, senza neppure inserire in essa una donna, togliendo, dunque, “spazio” poetico alle poete. Eppure l’antologia del ‘69, curata da un valente poeta e critico militante, nonché accademico, è tutt’altro che una mera compilazione di nomi autorevoli, c’è una scelta precisa, una guida ideologica, direi, nel far emergere dall’ombra numerosi autori poco frequentati dalla critica e portarli finalmente in primo piano. Dunque un lavoro di scavo critico di chi cerca una precisa rotta da seguire, che non riguarda per nulla le opere delle donne.

Perché metto in collegamento i due volumi recenti, di Brogi e di F. Sanguineti? Perché il concetto di “spazio”, presente in entrambi i casi è produttivo, ricco di aperture e prospettive. È vero, come sostiene Elvira Federici su LM, che il tema del “canone letterario” e della esclusione della presenza delle donne è un luogo critico affrontato da tempo negli studi femministi e in Italia la Società delle Letterate ha prodotto numerosi studi e ricerche, puntualmente editi, basti ricordare il grande lavoro curato da Anna Maria Crispino, “Oltrecanone. Per una cartografia della scrittura femminile” (manifestolibri 2003, poi ristampato da Iacobelli).

Il lavoro di Brogi ha il pregio di spostare lo sguardo, uno sguardo da lettore/lettrice comune, in un volume agile e svelto, destinato a una lettura «durante una vacanza, nel giardino di una biblioteca, in metro, in un sabato pomeriggio…», perché l’obiettivo è quello di raccontare, tenendo conto del «potere che hanno le storie», come mai «il lavoro materiale, culturale, creativo» delle donne sia stato tanto oscurato nel corso della storia, e come mai questi silenzi siano «ancora troppo distanti dal discorso comune».

Non entrerò nel merito dei diversi aspetti del libro, già evidenziati da Federici, ma un tema mi pare rilevante e produttivo, quel concetto di “fuori campo attivo” che viene a delineare, secondo l’autrice, nella storia della cultura lo “spazio” delle donne: essere inevitabilmente “fuori” dal canone, quindi dai circuiti ben sorvegliati del valore e del potere, estromesse da confronti e relazioni pubbliche, fuori dal campo della visibilità e dell’azione, ma non “assenti” in toto dalla vita comune, perché il luogo situato nel contesto cinematografico del concetto è quello che sollecita domande su ciò che accade nel “fuori campo” e non si vede, e tuttavia è implicato nella costruzione della scena, quindi apre prospettive diverse e nuove di osservazione e lettura della realtà nella sua complessa disposizione.

Diverso dal “fuori campo” passivo dove non sono sollecitati la curiosità e l’interesse a capire. E tutto questo condotto a interrogativo posto in un ambito non specialistico o accademico (che pure sono di rilevanza fondamentale come apripista di indagini e studi), come anche, in altro contesto, ci ricorda bell hooks quando rileva che spesso «non ci si preoccupa di inventare forme di scrittura capaci di raggiungere non soltanto il piccolo gruppo degli addetti ai lavori, ma anche il cosiddetto lettore comune. Quasi che, a muoversi in tale direzione, si temesse di venire automaticamente screditati, di finire in una sorta di serie B accademica»[1].

Da qui in Brogi l’uso rilevante dello sguardo, del confronto con le immagini a contrasto (anche l’elefantessa nella stanza, che vediamo nella lezione in live streaming tenuta per Mondadori Education il 19 aprile scorso, ora reperibile in: https://www.youtube.com/watch?v=T3Jxt0ozDoQ), o i continui riferimenti al campo cinematografico, di cui l’autrice si occupa specificamente.

Lo spazio (negato) corrisponde alla indisponibilità a discutere in merito, ed è un concetto produttivo di facile osservazione per tutti, se si allena l’occhio, in quanto è presente (: assente) in molti luoghi, ambivalente, ambiguo, di molteplice consistenza e figurazione, trasversale, visibile e invisibile, concreto e immaginario, simbolico, terreno di creatività e di invenzione di altre abilità, come è stato storicamente, osservando i diversi percorsi e le storie messe in campo dalle donne.

Quanto a Sanguineti, il suo libro ha il merito di ripercorrere succintamente, a fini didattici soprattutto, la storia della letteratura italiana dai suoi esordi indicandone le assenze femminili, e di rivisitare gli studi e gli approcci ad alcuni autori fondamentali per la nostra letteratura, come Dante, Boccaccio, Tasso, Machiavelli, fino ad alcuni scrittori del Novecento, scelti come esempi di dibattito e confronto.

Sanguineti parte da una polemica con Harold Bloom, proprio sul canone, contestando che «Contrariamente a quanto affermato da Bloom, professore di Yale University (“The Wester Canon”, 1994), secondo cui – insieme al multiculturalismo – il femminismo costituirebbe una “Scuola del risentimento” intenzionata a distruggere il cosiddetto “Canone”, è la storiografia borghese ad attuare un vero e proprio femminicidio culturale». Ed è proprio con De Sanctis, autore della “Storia della letteratura italiana” del 1870, nonché ministro della Pubblica Istruzione del neonato Regno, che inizia quell’opera di smantellamento progressivo della presenza delle donne nella cultura italiana, per cui, da protagoniste reali e concrete presenti in precedenti studi, ad esempio nella “Storia della letteratura italiana” dell’abate gesuita Girolamo Tiraboschi, (in nove tomi, 1772-1787), diventano delle “figure letterarie”, perdendo la propria soggettività e ruolo protagonista, a uso e idealizzazione concettuale degli stessi uomini.

Con il piglio scrupoloso del filologo medievale e umanistico Sanguineti mette in fila le autrici italiane presenti nelle opere medievali, umanistiche e rinascimentali, fino, appunto, al ruolo direttivo che la borghesia assume nella cultura italiana e al totale cambiamento di rotta. Anche per la contemporaneità i libri di testo compilati dai critici italiani in uso nelle scuole sembrano riprendere le indicazioni che cancellano o limitano assai la presenza delle donne, mentre gli studi più interessanti che l’autore cita sono in campo internazionale, alcuni mai tradotti in Italia. Ad esempio Sanguineti si dichiara incredulo che nei testi italiani a uso didattico non sia dato spazio alla italiana Christine de Pisan (1364 -1430 circa) che ha avuto due capitoli nel lavoro di Tiraboschi, è stata ricostruita la sua biografia già nel 1736 da Jean Boivin e che «nel “Dictionnaire historique, ou Mémoires critiques et littéraires” (1758-1759) di Prosper Marchand, non manca una voce dedicata “principalmente alle opere da lei composte”». Un’autrice, sottolinea il critico «studiata e tradotta in quasi ogni angolo del mondo, a cui è intitolata, a parte Christine de Pizan Database on line dell’Università di Edimburgo, una istituzione internazionale ubicata in due sedi: Stati Uniti (International Christine de Pizan Society, North American Branch) e Francia (Société Internationale Christine de Pizan – branche européenne). Almeno nella cultura cosiddetta occidentale, il suo nome appare legato alla circostanza, fino ad allora senza precedenti, di essere donna in grado di condurre esistenza autonoma in virtù esclusivamente della propria attività intellettuale; inoltre, restando all’Italia, è la prima scrittrice migrante, vissuta lontano dalla patria non meno di Dante e, al pari di quest’ultimo, letta più all’estero che nel paese d’origine».

Anche qui è dunque una questione di spazio negato, sottratto, manipolato, oscurato, inquinato da altro intendimento che prevede non la restituzione di una realtà storica che ancora fatica ad emergere nei testi a uso scolastico, nella consapevolezza generale e comune della storia della nostra cultura.

Interessante è poi che questo volume esca per una casa editrice piuttosto particolare, Argolibri, nata da pochi anni da un gruppo di poeti e intellettuali giovani (uomini e donne) ben presenti sulla scena critica e di discussione culturale nei social e attraverso una rivista militante, Argo Rivista d’esplorazione. Questo fa ben sperare in un cambiamento di mentalità di chi si occupa di questioni di cultura e società.

 

 

Daniela Brogi, “Lo spazio delle donne”, Einaudi, Torino 2022.
Federico Sanguineti, “Per una nuova storia letteraria”, Argolibri, Ancona 2022.

 

 

[1] bell hooks, “Elogio del margine”, traduzione e cura di Maria Nadotti, con intervista a hooks, “Scrivere al buio”, Tamu edizioni, Napoli 2020, p. 26.

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Gabriella Musetti

Gabriella Musetti Nata a Genova, vive a Trieste. E’ socia della Società Italiana delle Letterate. Ha fondato, insieme ad altre, la casa editrice Vita Activa Nuova (www.vaneditrice.it), di cui è direttrice editoriale Collabora a riviste letterarie. Ha curato numerose pubblicazioni narrative e saggistiche tra cui: Sconfinamenti. Confini passaggi soglie nella scrittura delle donne (2008); Guida sentimentale di Trieste (2014), Dice Alice (2015), Oltre le parole. Scrittrici triestine del primo Novecento (2016), 15 racconti + 5, scritti a Trieste e luoghi del nord est (2019). In poesia ha pubblicato: Mie care (2002), Obliquo resta il tempo (2005); A chi di dovere (2007), Premio Senigallia; Beli Andjeo (2009), Le sorelle (2013), La manutenzione dei sentimenti (2015), Un buon uso della vita (2021).

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