Permette al singolo di varcare confini e scegliere altre patrie, altri approdi. La traduzione non è mai ferma, vibra come la musica. Può essere riscritta e modificata a seconda degli interpreti, delle situazioni e dei contesti, può mescolare linguaggi. Un convegno a Trieste e l’intervento di una redattrice (e traduttrice) di Letterate Magazine
di Loredana Magazzeni
Solo pochi giorni fa a Verona si apriva il Seminario della Comunità filosofica Diotima dal titolo L’arte delle pratiche politiche: un’invenzione del femminismo. Ne faccio il punto d’inizio della mia riflessione, poiché, riprendendo Carla Lonzi quando diceva che “il femminismo è la propria pratica artistica”, si può affermare «oggi che l’azione politica femminista è stata, in tutti questi anni, tessuta di tante diverse pratiche, ognuna delle quali è un processo creativo». Pratiche che nascono da un desiderio, tengono conto del contesto e della volontà di trasformarlo dall’interno per fare spazio e far esistere ciò che ci guida profondamente, ma senza conoscere in anticipo quale sarà il risultato. Ecco, direi che la traduzione è essa stessa una pratica politica del femminismo.
Come sappiamo, la traduzione mette in relazione idee, scritture, culture, ma anche singole soggettività che attraverso l’atto del tradurre vengono indagate diciamo dall’interno, dalla parte più profonda del nostro essere. Scrive la giovane studiosa Laura Fontanella in “Perdere il filo” (Meltemi, 2025), libro sulle «esperienze collettive di traduzione transfemminista», che la pratica della traduzione di gruppo assomiglia all’autocoscienza. Perdere il filo del discorso genera domande, ci pone di fronte alla necessità di comprendere su che base effettuiamo le nostre scelte linguistiche quotidiane, al bisogno di capire perché selezioniamo alcune parole mentre ne scartiamo altre. Perdere il filo ci consente di esplorare un silenzio denso, generativo, di portare a galla questioni che riguardano il modo in cui parliamo, scriviamo, traduciamo.
Laura Fontanella ha tenuto a Bologna un Laboratorio di traduzione, a partire dal testo “Girl, Woman, Other” di Bernardine Evaristo (“Ragazza, Donna, Altro”, traduzione di Martina Testa per Sur) in cui ha lavorato sul potere trasformativo della traduzione. Scopo del laboratorio era non la traduzione esatta del testo, ma il processo che si compie insieme nell’atto del tradurre.
Negli anni Settanta furono proprio studiose e pensatrici femministe che portarono in Italia, traducendolo, il pensiero di poete, critiche e filosofe, come Luce Irigaray, di cui Luisa Muraro tradusse Speculum nel 1976 per Feltrinelli. Un sapere, quello femminista, che nasceva già in relazione, come sottolinea Alessandra Pigliaru in un articolo sul Manifesto, riferendosi all’ultimo libro di Muraro, Esserci davvero, a cura di Clara Jourdan, edito nei Quaderni di via Dogana.
Come non ricordare oggi le prime traduzioni in Italia di Adrienne Rich, Esplorando il relitto (Savelli 1979) e Lo spacco alla radice. Source (Estro 1985), volute da Liana Borghi. Nel 1977 era stato tradotto per Garzanti il saggio Nato di donna, e nel 1978 Nadia Fusini e Mariella Gramaglia avevano incluso nella loro antologia La poesia femminista angloamericana, Adrienne Rich, assieme a poete come Sylvia Plath e Anne Sexton. Su Adrienne Rich, tradotta in Italia per Crocetti da Maria Luisa Vezzali, poeta lei stessa, si è tenuto un importante convegno a Bologna, i cui atti sono stati pubblicati dall’editrice VAN in un corposo volume ricco di fonti e prospettive interpretative.
Innanzi tutto è stata Rich, donna, bianca, ebrea, madre, lesbica, poeta e pensatrice a introdurre nel pensiero femminista radicale statunitense e nel lesbo-femminismo alcuni paradigmi che restano fondamentali anche oggi per noi: la poetica della relazione, la politica del posizionamento, il concetto di continuum lesbico, il pacifismo, l’antirazzismo e la scoperta della pluralità delle oppressioni che sono all’origine di quello che oggi chiamiamo femminismo intersezionale. Ma soprattutto che la poesia, l’arte, la traduzione sono atti politici e come tali possono generare cambiamento.
La traduzione non è mai ferma, vibra come la musica. Può essere riscritta e modificata a seconda degli interpreti, delle situazioni e dei contesti, può giocare con altre pratiche, può svelarci qualcosa di nuovo di noi. Essa permette all’esperienza del singolo di varcare confini e scegliere altre patrie, altri approdi. Di mescolare linguaggi, di portare voci, ad esempio, lontano dal contesto d’origine e dal momento generativo iniziale, per generare altre connessioni.
La traduzione è l’arte del connettere, è un filo che unisce e crea legami, amicizie per la vita, circoli di autocoscienza e interrogativi filosofici. Ed è generatrice di contesti, di pratiche trasformative.
Il mio racconto tenterà di ripercorrere le tappe di tutte queste possibilità della traduzione, possibilità che mi hanno arricchito nel tempo di incontri, saperi, affetti e connessioni.
All’interno della Società delle Letterate c’è una potente anima traduttiva femminista, e mi riferisco a studiose come Marina Vitale, Serena Guarracino, Marta Cariello, autrice di Corpi migranti tra le sponde delle lingue (Aracne, 2006) e Scrivere la distanza. Uno studio sulle geografie della separazione nella scrittura femminile araba anglofona (Liguori, 2012), a Francesca Maffioli, che ha appena tradotto e pubblicato per Feltrinelli Il riso della Medusa. Manifesto femminista, testo classico di Hélène Cixous e le intense poesie della poetessa quebecchese Joséphine Bacon, (Innue, Interno Poesia 2025), che dà voce alla lingua e alle narrazioni della nazione Innu. Francesca Maffioli sarà a Bologna il 20 novembre prossimo presso il Centro di documentazione delle donne, ospite del gruppo Immaginarie.
«La traduzione – scrive Marta Cariello – ci getta nella pluralità dei significati», in uno spazio di continua differenza, dove «le lingue si rimandano continuamente l’estraneità e l’affinità. Là, nel mezzo e anche all’interno di reticoli di potere, lavora chi traduce». E soprattutto nella traduzione di testi multilingue, come le poesie da lei tradotte di Nathalie Handal (Le vite della pioggia, Iacobelli, 2018), poeta franco-americana della diaspora palestinese, i continui rimandi dall’una all’altra vibrano, si moltiplicano.
Faccio un esempio di buone pratiche ormai divenute generi traduttivi: la riscrittura del mito e delle fiabe, come volontà per le donne di rifondare un nuovo immaginario e un nuovo canone, argomento dell’antologia Il petalo e la spina. La fiaba nella poesia femminile (Le Lettere 2025), a cura di Sabrina Foschini e Andrea Sirotti, anche loro a Bologna presso il Centro documentazione il 23 ottobre prossimo. Pratiche della riscoperta di autrici anglofone forti, poco conosciute in Italia: nel 2022 è uscito per Bompiani Donne d’America. Diciotto scrittrici raccontano gli Stati Uniti del secolo scorso, a cura di Giulia Caminito e Paola Moretti, traduzione di Amanda Rosso e Paola Moretti.
Le curatrici e traduttrici si raccontano su Letterate Magazine (Sulla creazione. Donne d’America, 1 febbraio 2024), il periodico online della Società Italiana delle Letterate: «il processo di reciproca lettura e ascolto è servito loro per sintonizzarci sulle voci delle scrittrici. Il loro obiettivo era restituire al testo quella specifica “grana della voce” di cui parla Roland Barthes, e prima di tutto hanno dovuto imparare a riconoscerla l’una nell’altra». È spesso presente, nella vita quotidiana di queste scrittrici americane dimenticate, da Djuna Barnes a Kate Chopin, da Charlotte Perkins Gilman a Edith Wharton, alle afrodiscendenti come Zora Neale Hurston, un elemento «di negoziazione con una realtà mai davvero progettata per accoglierle, che rimane sempre estranea e quietamente minacciosa».
Altro esempio è stato il successo del genere della letteratura distopica in Italia: scrive Marta Olivi, dell’associazione Spazio letterario di Bologna, che «va considerata sia la grande influenza della situazione politica in cui si vive, sia il circolo virtuoso che le pubblicazioni di un certo tipo innescano, perché più si creano dibattiti al riguardo, più si tradurrà da quello specifico genere di narrativa».
La traduzione come storia di incontri. Uno dei primi incontri per me, attraverso la traduzione, è arrivato dalla poeta e traduttrice Rosaria Lo Russo, che ha portato in Italia le poesie di Anne Sexton, con una precisa volontà tematica e traduttiva: farci conoscere una delle più originali e trasgressive poete americane; rendere viva la sua voce con una particolare traduzione creativa, infedele: cioè a partire dalla traduzione letterale, ma riscrivendola con la propria voce creativa.
Corporea. Il corpo nella poesia femminile di lingua inglese, (Dot.Com Press, 2010) ad opera di un team di traduttrici, Fiorenza Mormile, Anna Maria Robustelli, Brenda Porster e me, è un’antologia nata da un incrocio di vite, un «luogo ideale dove si sono incontrati la nostra formazione umanistica comune, la nostra pratica di poesia, la comune esperienza femminile/femminista, il bisogno di comparazione fra lingue e culture, la necessità di evocare e risvegliare un nuovo immaginario».
Il pericolo era che il solo parlare di “corpo” nella poesia dei “poeti-donna” potesse apparire datato, connotato a un femminismo di maniera, ormai “superato” nello stesso sentire delle giovani generazioni. Ci siamo invece rese conto che la stragrande maggioranza delle autrici antologizzate non erano mai state tradotte in Italia, pur essendo notissime e molto amate nei paesi d’origine, e il rischio vero era che i loro testi venissero archiviati senza mai essere stati letti fuori confine e senza mai aver avuto diffusione dalle nostre parti.
La questione della sessualità è una questione fondamentale che ci attraversa e che lascia le sue scomode tracce anche in poesia, in una poesia, come quella della autrici contemporanee di lingua inglese (ma, a ben guardare, nelle autrici contemporanee e non, di ogni lingua, compresa la lingua italiana) che nasce dall’esperienza quotidiana, dalle note e praticate parole che raccontano il nascere, crescere, morire e che sono state spesso considerate troppo sporche, troppo macchiate di sangue e di liquidi corporali, per avere diffusione letteraria. La lingua che le rappresenta, le parole umorali, è una lingua materna, la lingua dell’esperienza, che pure sa essere formalmente alta, come nelle scelte stilistiche di Marilyn Hacker, che racconta in sonetti il suo cancro al seno, o mimeticamente aderente al soggetto, come nelle ninne nanne di Eavan Boland e nei distici di Maxine Kumin.
Scrittura ed esperienza in queste poesie si intrecciano, la psicanalisi conserva i suoi echi, l’importanza delle figure parentali e della maternità è ribadita con forza, c’è il ricordo degli anni in cui negli Usa si pubblicava il manuale “Noi e il nostro corpo” e in Italia le femministe mettevano al centro la salute delle donne, i gruppi di auto-aiuto, il principio di autodeterminazione. Temi caldi della letteratura femminista erano il rapporto con la tradizione canonizzata, la presenza quasi invisibile della scrittura femminile come modello, la ricerca di un’identità di genere, la liberazione del corpo, la violenza insita nei rapporti familiari e di potere, l’utilizzo di un nuovo linguaggio per esprimere questi concetti. Ma, soprattutto nelle scrittrici di ultima generazione, come Kate Clanchy, Eavan Boland, Moniza Alvi, Sujata Bhatt, Vicky Feaver, per fare alcuni nomi, sembra già assorbita e metabolizzata quella lezione del femminismo (americano prima, europeo poi) che aveva tra le sue parole-chiave la riappropriazione del corpo, l’autodeterminazione, la rivendicazione del diritto a una sessualità piena e consapevole, il rifiuto dell’adeguamento ai canoni di genere.
Nella seconda antologia tradotta dal nostro team di appassionate, “La tesa fune rossa dell’amore. Madri e figlie nella poesia femminile contemporanea di lingua inglese”, (La Vita Felice, 2015), erano raccolti sessanta testi di quaranta poete di lingua inglese di varia nazionalità, in prevalenza compresi nell’ultimo trentennio-quarantennio. I testi trattavano il rapporto madre-figlia, un rapporto complesso e sfaccettato, da varie angolature, illuminandone aspetti inediti in positivo e in negativo. Raccogliendo testi nell’arco di più anni abbiamo individuato temi e atteggiamenti ricorrenti che hanno costituito l’architettura dell’antologia, formata da tre parti suddivise in nove sezioni. Si va dal particolare della vita quotidiana all’universale del mito smarrendo il filo del discorso in una navigazione che andava dall’una all’altra, dalle figlie alle madri, come una vera tesa fune rossa dell’amore.
Per finire, l’ultimo lavoro di traduzione di gruppo, di cui vi voglio parlare, frutto di un team di traduttrici, che si sono autodenominate WIT (Women in Translation), è stata la traduzione delle poesie di Audre Lorde, nell’antologia, edita da le Lettere, “D’amore e di lotta. Poesie scelte”, uscita nel 2018.
Perché è stato importante per noi tradurre le poesie di Lorde, dopo che sono stati tradotti in Italia i saggi politici “Sorella outsider”, ora ristampati da Meltemi, sempre per la traduzione di Margherita Giacobino e Marta Gianello Guida, e l’autobiografia “Zami. Così riscrivo il mio nome”, a cura di Grazia Dicanio e Liana Borghi. Il pensiero e la poesia di Audre Lorde oggi più che mai ci sono necessari come seminali nella lotta alle discriminazioni basate su razza e genere, per l’azione anticipatrice che Lorde portò avanti per tutta la vita a sostegno della ridefinizione delle identità, della trasformazione del silenzio in azione e della parola collettiva in solidarietà e amore per l’altro/a.
La donna è stata il soggetto imprevisto, come teorizzava Carla Lonzi negli anni Settanta, ma la donna nera lo è stata ancora di più. Infatti, scrive Lorde, non era previsto che potesse sopravvivere ed affermarsi. Che potesse fare ed insegnare a noi la differenza. A teoriche come bell hooks e a poete e attiviste come Audre Lorde dobbiamo oggi nuovi orizzonti di lotta.
Nella poetica di Lorde c’è al primo posto la consapevolezza dell’identità fortemente razzializzata, e l’identità poetica è un corpo in cui arte e politica fanno tutt’uno e sono il cuore pulsante della madre, Nera, lesbica, poeta, guerriera, come amava definirsi.
Secondo Gajatri Spivak, la traduzione è uno dei più importanti strumenti dell’impegno femminista nella solidarietà fra donne. Anche l’atto del tradurre è un atto etico ed erotico, nell’ottica di Lorde che parla di erotismo come agente di cambiamento.
Le sue poesie parlano al singolo e alla collettività attraverso l’amore, la rabbia, l’erotismo, la solidarietà. Per questo abbiamo ritenuto importante tradurre Audre Lorde in modo collettivo, come collettivo di traduzione WIT, operando una selezione di testi dalle varie raccolte, che ricalca un po’ le scelte operate dalla stessa Lorde per una analoga antologia uscita nel ’94 in Germania, “Die quelle unserer macht” (Orlanda, 1994).
Ricerca e valorizzazione delle origini, amore per le genealogie materne e lo stesso amore fra donne si collocano all’interno di quel continuum lesbico di cui parla Adrienne Rich, capace di cambiare il mondo. E l’erotico è capacità generativa di sorellanza e superamento della rabbia, nell’ottica della solidarietà (solida e instabile insieme, come scrive Rita Monticelli nella postfazione), la stessa in cui ha operato il collettivo di traduzione.
Dunque auguriamo, anche grazie a eventi che connettono, come questa Fiera dell’editoria frontaliera e del Mediterraneo, una lunga e crescente vita politica alla pratica della traduzione, e in particolare della traduzione di opere di donne da parte di altre donne perché, da pratica secondaria, sottopagata e anonima, come era agli inizi del diciannovesimo e poi del ventesimo secolo, si trasformi in azione di empowerment individuale e sociale, capace di generare trasformazioni e metamorfosi.
Info
Dal 4 al 6 ottobre 2025 si è svolta a Trieste, nella Sala Xenia della Comunità Greco Orientale, la seconda edizione della Fiera dell’Editoria Transfrontaliera e del Mediterraneo “Parole tra i luoghi”, sul tema della traduzione. Erano presenti case editrici italiane, come QUDUlibri e Vita Activa Nuova, slovene, croate, cipriote e nel corso delle giornate si sono avvicendate tavole rotonde, talk e letture poetiche, che hanno indagato il tema della traduzione da diversi punti di vista.
La manifestazione é stata ideata e organizzata dalla casa editrice Vita Activa Nuova, con il patrocinio della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, dell’Università degli di Trieste, dell’associazione Ciprioti in Italia e della Società Italiana delle Letterate. Questo pubblicato è il testo di Loredana Magazzeni, in rappresentanza, della SIL, sul tema Forme della traduzione femminista: una storia di incontri
Loredana Magazzeni
Ultimi post di Loredana Magazzeni (vedi tutti)
- Spaesata in Australia – 29 Novembre 2025
- La traduzione (femminista) è politica – 8 Ottobre 2025
- Blessing è memoria di futuro – 14 Giugno 2025
- La saggezza all’indietro è un cerino bruciato – 10 Aprile 2025
- Le cose chiedono di non morire – 14 Febbraio 2025


