«Nella letteratura italiana non trovavo una famiglia marocchina stabilita in Italia da oltre vent’anni. Così ho voluto scriverne io». Amal Oursana, figlia di genitori marocchini, ora residente in Italia, parla del suo romanzo “Il segreto nel nome”. Com’è essere “nuovi italiani”, portatori di più culture e lingue?
Di Chiara Cremaschi
«È la tua strada, e la tua solamente. Gli altri possono camminare con te, ma nessuno può camminare per te». Con queste parole di Jalal ad-Din Rumi si apre Il segreto nel nome, il romanzo d’esordio di Amal Oursana. Ed è davvero una frase illuminante, che accompagna mentre affrontiamo un viaggio profondo e intimo, in cui l’autrice racconta cosa significhi crescere sospesi tra più mondi, più culture.
Con una prosa asciutta ma musicale, Oursana ci invita a riflettere sull’importanza delle radici, sul valore della memoria e sulla bellezza delle identità multiple. La sua scrittura mostra quanto possa essere ricca, seppur faticosa, la convivenza di più appartenenze dentro di sé, ma anche quanto sia possibile trasformare quella complessità in consapevolezza.
La prima scrittura che porta al romanzo è il racconto Fatna e Rahhal, con cui Amal Oursana ha vinto nel 2023 il Premio Speciale Giuria Popolare del XVIII Concorso Lingua Madre. Proprio da quella storia è nato il romanzo Il segreto nel nome, pubblicato un anno dopo, per le edizioni Capovolte. Un testo che approfondisce la vicenda familiare già tracciata nel racconto, arricchendola con dettagli autobiografici e una riflessione lucida sull’identità.
L’autrice nasce in Francia da genitori marocchini, cresce in Marocco e durante l’adolescenza si trasferisce in Italia con la famiglia. Diventa medica e agopuntrice, unendo medicina e spiritualità in una ricerca che attinge sia al sufismo che al taoismo. Ma accanto alla cura del corpo e dello spirito, non ha mai smesso di coltivare anche la scrittura: poesie, racconti e ora questo romanzo.
Durante un’intervista al Salone del Libro, lo scorso maggio, Oursana ha spiegato così il suo rapporto con la scrittura: «Quando andavo a scuola, non c’era nulla che parlasse di me. Ho cercato nella letteratura francese qualcosa che somigliasse alla mia esperienza. Nella letteratura italiana non trovavo una famiglia marocchina stabilita in Italia da oltre vent’anni. Così ho voluto scrivere una storia che fosse come una telecamera puntata sulla quotidianità, fatta di dialoghi e di problemi a cui, a volte, non c’è risposta».
Il romanzo nasce proprio da questo desiderio: raccontare la complessità di essere “nuovi italiani”, portatori di più culture e lingue. Un’identità stratificata che richiede uno sforzo continuo per trovare un equilibrio, per sentirsi “a casa”.
La storia comincia nel Marocco degli anni Cinquanta. Hadda, una donna forte, dà alla luce un bambino: Rahhal, che in arabo significa “viandante, viaggiatore”. Il padre, Haj Al Kabir, sceglie per lui un nuovo cognome: Ibn-Mashish, come il grande maestro spirituale marocchino. Una scelta necessaria, in risposta al censimento imposto dal Protettorato Francese, che obbliga le famiglie a semplificare i loro nomi, cancellando così secoli di genealogia patrilineare.
Ma come spiega l’autrice, “il nome contiene la memoria degli antenati”. E quando si perde un nome, si rischia di perdere anche la voce di chi è venuto prima di noi.
Rahhal cresce nella città di Khouribga – nota come la “capitale mondiale dei fosfati” – poi si trasferisce in Francia, e infine in Italia, a Modena, dove inizia una nuova vita con la moglie Fatna e i figli Tarik, Assìa e Iman. La loro è una famiglia sospesa tra lingue e culture: parlano arabo, mantengono vivo il francese, imparano l’italiano e persino l’inglese. Ma non sempre sentirsi ricchi di tutto questo basta a sentirsi davvero parte di qualcosa.
I figli Ibn-Mashish crescono con la consapevolezza di essere “fuori posto”: non completamente italiani, non più del tutto marocchini. Questa tensione si fa più forte in Assìa, la figlia inquieta e creativa, che decide di intraprendere un viaggio alle origini, alla ricerca di un senso di appartenenza e di spiritualità. È proprio il suo percorso interiore il cuore pulsante del romanzo. La ricerca di Assìa la porta a scoprire il sufismo, la corrente mistica dell’Islam, e a riabbracciare le proprie radici: «Una forza esterna la induce a restare ferma, senza voltarsi, come avrebbe fatto normalmente. La presenza alle sue spalle fa le veci di Abdassalam Ibn-Mashis o del nonno, non lo sa, ma la spinge ad abbracciarsi, ad avere fiducia. Come nasce la nascita? Come inizia un inizio? Si abbraccia come non ha mai fatto prima, senza paura di essere giudicata».
Il titolo Il segreto nel nome non è solo simbolico, ma rappresenta una vera chiave di lettura. Quel “segreto” è ciò che ci lega alla nostra storia, alla nostra famiglia, alla nostra identità più profonda.
Ed è proprio partendo da un nome – scelto, imposto, tramandato – che i personaggi trovano il coraggio di affrontare il presente e immaginare il futuro.
Amal Oursana, Il segreto nel nome, Capovolte, 2025
Chiara Cremaschi
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