Anita mente sul cibo da quando ha 12 anni e lo fa anche ora da studentessa universitaria. Continua a sentirsi pesante, ingombrante anche se è pelle e ossa e i suoi l’hanno ricoverata in una casa di cura. In trasparenza l’anima è l’esordio promettente e sconvolgente di Beatrice Sciarrillo, che scrive di anoressia, relazione coi familiari e disagio. E poi ci sono le altre pazienti, descritte in pagine indimenticabili
Di Silvia Neonato
«È da quando avevo dodici anni che mia sorella non ha più fiducia in me. Dice che la malattia mi ha fatto diventare bugiarda, dice che giorno dopo giorno mi sta divorando. Non solo lei, tutti in famiglia dicono che il mio corpo sta scomparendo, che si è ridotto a un misero pugnetto di ossa sempre in movimento. Dove loro vedono le ossa, io vedo la carne, una carne viva e pesante. (…) Vedo tutto, non vedo la malattia. Non oso neanche nominarla. Non si nomina ciò che è sacro».
Anita, studentessa universitaria, mente sul cibo e lo fa da quando aveva 12 anni. E naturalmente continua a sentire il proprio corpo pesante, ingombrante, ma a suo parere sano. Già dalla prima pagina di In trasparenza l’anima (riportata sopra) si capisce che l’autrice ci racconterà di anoressia, corpo, relazione coi suoi familiari e con il mondo, di una malattia che solo gli altri vedono. Ci conduce nella casa di cura in cui è ricoverata insieme ad altre donne e ragazze con gli stessi suoi disturbi o altri disagi: Giovanna è bipolare e autolesionista, Flavia è ormai una malata cronica con molti disturbi, Sonia è anoressica come lei… Un universo parallelo, popolato di scheletri-donne che camminano come pazze, trascinando con sé le flebo con le ruote a cui sono attaccate, inciampando in corridoio, per smaltire lo yogurt che l’infermiera ha fatto loro mangiare con mille sforzi e che non sono riuscite a vomitare come desidererebbero con tutte se stesse. Neppure l’acqua vogliono inghiottire e la tengono in bocca sperando di poterla sputare appena possibile. Svengono, hanno caviglie gonfie e doloranti, perdono i capelli, barcollano, ma non cedono.
È un esordio molto convincente quello di Beatrice Sciarrillo, che collabora con il Letterate Magazine e che si è messa alla prova con un testo crudele, spietato ma dal quale è davvero impossibile staccarsi. La lingua corre elegante e incisiva mentre i capitoli, spesso brevi, si susseguono implacabili. Quale malattia? Anita sente che l’unica cosa forte e bella che ha è la sua capacità di digiunare, non sopportava già prima che la madre le desse della malata e ore ascolta di malavoglia la psichiatra che prova con pacata competenza a curarla. Come annuncia fin dalle prime righe si sente capace di agire un rito sacro in cui il cibo non esiste e lei può gestirne l’assenza, è un bisogno che non la riguarda. Come le sue compagne di malattia che vomitano nei cassetti, nascondono in tasca il trancio di nasello e lo buttano poi nel water, si accaniscono a non fermarsi mai per smaltire, evaporare, sparire. E se le infermiere chiudono il bagno che ogni stanza ha e pure gli armadi, loro scovano altri luoghi in cui buttare il cibo.
La lotta contro il cibo è descritta con una minuzia ossessiva, che non annoia mai, proprio per come l’autrice la sa allineare in pagina, gesto dopo gesto, terapia dopo terapia, colloquio con medici, infermieri e assistenti dopo colloquio. Se non fingono di mangiare qualcosa, se non nascondono il cibo sputato, verrà loro inserito un sondino nel naso che arriva allo stomaco, attraverso il quale scende il nutrimento e dunque si finge di ingerire ma non lo si fa.
Niente genitori in visita perché in famiglia si annida il tremendo malessere. Viene l’amata sorella Marta, disperata e impotente. Solo quando Anita esce per dare un esame all’università rivede la mamma, che insieme alla sorella, l’accompagna. «Sei abbastanza coperta? Hai fatto colazione», chiede la madre impietrita. E Anita riflette che per una madre come la sua «è molto più facile agire che parlare». Saprebbe prepararle qualunque pranzo, cercare in ogni supermercato l’unica marca di yogurt che forse lei un tempo mangiava, cedere il materasso per dormire se ce ne fosse uno solo, ma non le chiederebbe mai come sta. «Perché sa che se io le rivelassi la verità – se le dicessi che l’unica cosa che voglio è sparire – lei non sarebbe in grado di aiutarmi e soffrirebbe della sua impotenza».
La relazione più forte di Anita è con una paziente più anziana, Flavia, ormai anoressica cronica appunto, che la struttura tenta di tenere distante dalle pazienti più giovani perché teme una influenza negativa. Le due invece si capiscono, Flavia le racconta che lei ormai non esce più, passa da una casa di cura all’altra da anni e all’inizio la spaventa. Poi, a modo suo, cerca invece di aiutare l’amica perché non arrivi al suo stadio di malattia, le lascia biglietti affettuosi, la aspetta in corridoio, le offre piccoli doni. Questo affetto e quello della sorella intaccano la “sacra” corazza di cui la protagonista si veste e lasciano a chi legge qualche speranza.
Beatrice Sciarrillo, In trasparenza l’anima, 66THAND2ND, 2024
Silvia Neonato
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