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  • Stefania Aphel Barzini, scrittrice, giornalista e autrice televisiva, è innamorata di Alicudi: ha scritto ritratti sensoriali su FB finché Cristina Palomba, editor di Ponte alle Grazie, non l’ha contattata per scrivere un libro. Da quello scambio nasce “L’Isola che mi amava. Nell’abbraccio di Alicudi”. Nell’intervista parla della sua scrittura, dell’ispirazione e delle isole

Di Ivana Margarese

Ivana Margarese: La prima domanda riguarda la genesi di questo libro. Da quanto tempo accarezzavi l’idea di scrivere un libro su Alicudi e quanto tempo ci hai messo a considerare finito quello che si presenta anche come un viaggio sensoriale tra i luoghi dell’isola?

Stefania Aphel Barzini: Ci pensavo da molto ma alla fine mi dicevo anche che un libro così avrebbe interessato solo me e pochi altri. Poi mi ha scritto Cristina Palomba, editor di Ponte alle Grazie. Leggeva su FB i miei post sull’Isola, è da sempre che ne scrivo ogni volta che arrivo qui, non ne posso fare a meno, e mi ha chiesto se fossi interessata a scrivere un libro su Alicudi perché i miei post le piacevano molto. Ho colto la palla al balzo e mi sono buttata. Sì il mio libro è un viaggio sensoriale, un po’ perché raccontare attraverso i sensi è sempre stato il mio modo di raccontare storie e un po’ perché non volevo fare il solito libro di viaggi.

«Isole. Da sempre un rebus, un incantesimo da decifrare, un indovinello da risolvere. Le ho sempre amate le isole, sin dall’infanzia. La mia era una famiglia numerosa, cinque figli, quattro maschi e una femmina. Io, la più grande. Avere uno spazio, un momento solo mio, era un’operazione difficile. Avevo dunque inventato una stanza tutta per me: la lettura. I libri erano la mia isola portatile, mi permettevano di tenere lontano il resto del mondo, il rumore della mia famiglia. Erano il mio rifugio, la mia via di fuga. Quando leggevo (e potevo farlo per ore) ero impenetrabile, chiusa nel mio bozzolo protettivo, lontana dalla gente, irraggiungibile. Ero uno scoglio e non c’erano venti o tempeste che potessero distrarmi. Le isole, dunque, sono state il mio imprinting».
Con questo legame tra isole e lettura si apre L’isola che mi amava e ritengo che molte di noi ami leggere non possa che riconoscersi in queste tue parole.

Non so se sia così per tutti i lettori ma nel mio caso davvero la lettura è un’isola preziosa. Ogni avvenimento della mia vita è stato accompagnato dalla lettura e ho sempre avuto la consapevolezza che la lettura può far volare. Ricordo che da bambina, avrò avuto sette anni, mia madre mi regalò i 4 volumi di Mary Poppins. Era estate ed ero al mare. Mi rinchiusi in garage, con una sedia messa di fronte alla parete e non mi mossi da lì finché non li ebbi finiti tutti quanti. In tutto quel tempo avevo vissuto in un’altra dimensione. Leggere fa questo, ti protegge dal mondo esterno, proprio come accade sulle isole. Tutti i traumi della mia vita li ho affrontati e superati soprattutto grazie ai libri. E alle Isole.

«Alicudi è un’isola di femmine, le donne che ci vivono e che qui sono nate, e coloro che ci arrivano, magari per periodi brevi e poi restano incagliate tra queste rocce nere. Quelle che ci arrivano e scelgono di restarci sono spesso donne sole, un po’ maghe e un po’ fattucchiere, che non temono i grandi spazi né gli assordanti silenzi. Donne che forse hanno rimpianti alle spalle o brutti ricordi da dimenticare. O più semplicemente, che sono rimaste invischiate dalla ragnatela magica di quest’Isola.
Le isolane invece sono donne toste, non hanno paura di niente, non del fuoco, non del mare, non del buio o della luce troppo forte. Camminano dritte come fusi, sfidando il mondo. Non sono donne, sono dee primordiali. Mi hanno sempre fatto pensare a Circe, la maga potente, e come con Circe, bisogna fare attenzione a non provocarle, perché le collere che le afferrano possono essere tremende, definitive.
(…) Hanno furori improvvisi e violenti che noi stentiamo a capire, ma che assomigliano alle tempeste che si abbattono sull’Isola, che si fermano qualche giorno e poi spariscono. Chiedono, per potersi finalmente fidare e abbandonarsi a te, una dedizione costante, uno sforzo che non ammette distrazioni, e comunque non si arriva mai a toccarle, le si sfiora con rispetto, coscienti e ammirati di trovarsi al cospetto di antiche divinità».
Ancora prima che tu nominassi Circe, ho sentito che prendeva forma tra le pagine del tuo libro. Un’isola difficile, oscura, e assoluta che permette di sperimentare potenza e abbandono. Quanto è stata presente questa immagine di Circe e le sue varie declinazioni e metamorfosi nella scrittura di questo testo?

Circe è stata un mio riferimento costante, ho iniziato a scrivere il libro dopo aver letto Circe di Madeline Miller. Il libro mi aveva affascinato proprio per quel suo mescolare il magico e l’umano, il mistero e la vita quotidiana. E in Circe riconoscevo le donne di Alicudi, così forti, passionali, anche distruttive a volte, ma sempre potenti. D’altronde queste isole sono intrise di miti e di leggende. L’Odissea è ancora viva qui, con tutti i suoi Dei e i suoi demoni.

L’isola, scrivi, ha reso «i miei sensi più acuti, più pronti a registrare la vita, a vedere, annusare, toccare, ascoltare, gustare». Un posto d’onore inoltre attribuisci al silenzio, un silenzio che definisci pieno di presenze tanto che alcuni visitatori lo trovano insopportabile. Ritorno dunque sulla scrittura e ti chiedo quanto vivere l’isola abbia modificato il tuo modo di scrivere e raccontare?

Alicudi regala proprio questo, la vita qui è talmente ridotta all’osso, niente svaghi o distrazioni, nessun tipo di inquinamento visivo o acustico, che i tuoi sensi si risvegliano e si acutizzano, tutti, è un grande dono questo, la possibilità di vivere ogni cosa con grande intensità. E il silenzio è forse l’aspetto più importante di quest’Isola. È un silenzio denso, in cui si può affogare e infatti ho visto gente arrivare qui e ripartire con il primo aliscafo mormorando che qui c’era troppo di tutto, mare, sole, natura, e soprattutto silenzio. Non è facile da gestire il silenzio, soprattutto nel mondo di oggi così pieno di rumori. Ti ritrovi ad un tratto di fronte a te stesso, non senti più nemmeno la tua voce, ma se hai pazienza impari a sentite la voce interiore, e quella ha tante cose da dirti. È una grande pulizia del cuore, della mente e dell’anima il silenzio. E se lo si usa bene diventa un’arma rigenerante, potentissima. Contro le chiacchiere insulse dei nostri tempi.

Vorrei sottolineare poi lo spazio che dai ai sogni: «Perché nell’Isola si è sempre sognato moltissimo, forse perché è così piccola e remota che attira come una Circe vogliosa solo chi è in grado di sognare, a occhi chiusi o aperti, di notte o di giorno».
Potresti dirmi qualcosa su questo e sull’isola come possibile ponte tra il mondo reale e quello invisibile?

Qui è facilissimo percepire che il velo che ci separa da una realtà altra ma parallela alla nostra è sottilissimo. Accade nei sogni ma anche nella vita reale. Qui gli Isolani (ma anche chi viene qui e ci passa lunghi periodi) raccontano sempre fatti misteriosi, senza spiegazione razionale, e non li raccontano come si trattasse di leggende ma di cose assolutamente vere e realmente accadute, parte del loro quotidiano come l’andare a pesca o badare ai muli. Proprio perché i sensi sono tanto acuti è possibile avvertire anche il più piccolo, impercettibile cambiamento del mondo intorno a noi. Soprattutto di notte, di fronte alla natura silenziosa. A me è accaduto più di una volta di sollevare questo velo impalpabile e ogni volta ho sospeso il giudizio, quello razionale. Qui ho imparato ad accettare il mistero e la magia. Il ponte tra i due mondi, se ti apri e accetti senza giudicare, senza paure, con mente e cuore aperti, sei proprio tu.

Ripenso a Hillman e alla sua teoria che gli antichi Dei oggi si siano reincarnati in forme animali e che non ci siano altre spiegazioni al fatto che gli animali tornino a visitarci di notte, nei sogni, proprio a noi che abbiamo trascorso «gli ultimi due secoli a sterminarli regolarmente, a un ritmo sempre più rapido, senza pietà, specie per specie, in ogni parte del mondo. Animali che ora balzano fuori dalle gabbie degli zoo, dalle lontananze dei parchi naturali, dalle foto patinate dei safari e dei leziosi film sulla natura, per ritrovarsi ogni notte nel nostro letto al buio». Non sei, almeno da quello che ho letto, un’animalista tuttavia qualcosa evocato dalla tua scrittura mi ha ricordato il mondo misterioso e sacro di Anna Maria Ortese e Elsa Morante.

Sì, hai ragione, amo molto gli animali ma diffido di chi ama più gli animali degli esseri umani. Anna Maria Ortese e Elsa Morante sono forse le scrittrici che amo di più. Della Ortese amo la sua furia passionale che la porta ad affrontare il mondo da guerriera, della Morante amo proprio il suo senso del magico e del sacro. Nei suoi libri c’è sempre un mistero, il pensiero che dietro alle apparenze si celi altro, e che questo altro debba essere vissuto non con la testa ma con il cuore.

Concludo chiedendoti una riflessione sul cedere e sull’abbandonarsi che insieme alla resistenza sono leggi non scritte del vivere in un’isola: «Avevo capito che la sofferenza e il dolore fanno parte della vita e sfuggirle, evitarle ad ogni costo, come ormai accade oggi, non aveva senso, che bisognava piuttosto accettarle e cercare di trasformarle in forza ed energie positive. Avevo finalmente compreso quello che scriveva Daniel Defoe: ‘Le isole sono luoghi dello spirito, che non sono né la via né la vita né la verità, ma sicuramente sono luoghi per incontrare Dio’. O gli Dei, i miti, la natura, l’universo, il mistero, la magia, chiamateli come volete. E avevo ritrovato il tempo. Il tempo per avere tempo. Insomma, ero stata curata dai miei dolori, dai miei affanni, da ansie e paure».

Tutte le Isole e questa in particolare, sono luoghi di sfide, più o meno estreme, basti pensare a Robinson Crusoe. Alicudi poi è così piccola, dura, selvatica che ti impone sfide quotidiane, siano esse fisiche, come affrontare salite sfiancanti, imparare a vivere con solo l’essenziale, costringerti a fare attenzione all’acqua che consumi. Ma anche sfide che riguardano l’anima, non è facile rimanere isolati e, se vivi in alto, non vedere nessuno per giorni. Ma l’Isola sa anche che non si può sempre guerreggiare, che c’è sempre il momento della resa, del ritiro. Dunque sa anche che bisogna imparare a cedere e abbandonarsi, laddove combattere è inutile. Ho visto gente perdere la testa perché internet, che qui arriva un po’ a singhiozzo, non funzionava, smaniare perché per l’appunto si può restare isolati anche per settimane, soprattutto in inverno. Gente innervosita dalla «mancanza» di ristoranti, di negozi, di bancomat, di giornali, di farmacia. Gente insomma in preda all’ansia. Ma qui si diventa zen, e se non si è in grado di farlo è meglio non venirci affatto. Si impara che in fondo internet, telefonini, ristoranti, boutiques, discoteche non sono affatto necessari e allora si sposta lo sguardo su ciò che realmente conta. Lo sguardo invece che viaggiare in orizzontale, come accade quasi sempre, impara a viaggiare in verticale, in profondità e vi assicuro che le scoperte che si fanno possono essere meravigliose.

Stefania Aphel Barzini, L’isola che mi amava. Nell’abbraccio di Alicudi (Ponte alle Grazie, 2024)

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Ivana Margarese

Ivana Margarese, direttrice editoriale della rivista “Morel, voci dall’isola”, insegna filosofia e scienze umane. Ha conseguito un dottorato e un postdoc in Studi culturali e di genere sui temi del cinema documentario ed è stata docente a contratto di Teoria della letteratura all’Università degli Studi di Palermo. Ha curato “Ti racconto una cosa di me” (Edizioni di passaggio 2012), “I miti allo specchio” ( Mimesis 2022) e “Tra amiche” (Les Flaneurs, 2023). Ha pubblicato racconti in antologie.

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