Leggere Simone de Beauvoir mangiando una bistecca significa tradire la causa? E poi: bisogna accumulare denaro, non grasso. Nora Bouazzouni ha scritto Faminismo. Il sessismo è in tavola edito da Le plurali per spiegare che non siamo così liberi quando scegliamo un cibo. Ed è questione di ecologia, classe e luogo di appartenenza, neoliberismo, salute… Dal 27 l’autrice è In Italia *
Di Chiara Cremaschi
Nora Bouazzouni è giornalista (Ocs, France TV info, Libération, Slate) e traduttrice. “Faminismo- il sessismo è in tavola”, edito da Le plurali, è il suo primo libro, a cui è seguito, “Steaksisme. En finir avec le mythe de la végé et du viandard”, non ancora tradotto in Italia. “Faminismo”, tradotto da Roberta Cecchetto, è un’analisi che parte da istanze antropologiche e sociologiche. Dal campo al piatto, passando dalle riviste femminili e dai fornelli dei migliori ristoranti, l’autrice denuncia il patriarcato che gravita intorno al cibo e alla discriminazione nutrizionale.
Da dove nasce il suo interesse per l’alimentazione?
In Francia siamo indietro sia negli studi di genere, che negli studi sul cibo. Entrambi i campi mi aiutano a capire perché ci comportiamo come ci comportiamo. Perché reagiamo in un certo modo? Perché certe cose sono considerate tradizioni? Perché gli stereotipi? Perché la violenza? Per il cibo è ancora più interessante perché è universale. È qualcosa che facciamo tutti, tutto il giorno. Pensiamo sempre al cibo, sia perché possiamo permetterci di andare in un bel ristorante o di spendere 100 euro in un negozio di formaggi, sia perché non abbiamo abbastanza soldi per arrivare a fine mese, sia perché non abbiamo abbastanza soldi per mangiare come vorremmo, sia perché abbiamo un problema di percezione del nostro corpo, sia perché abbiamo una malattia. Mi interessa, quindi, capire perché mangiamo come mangiamo, quali sono le influenze esterne, ma soprattutto come negoziamo con noi stessi, con le tradizioni, con tutto ciò che significa mangiare. E vorrei cercare di far capire – per renderlo più chiaro a me stessa – che mangiare non è un atto così banale come a volte vorremmo pensare o far credere. Mangiare, nutrire noi stessi, nutrire gli altri. Coinvolge tante questioni personali, intime, politiche, economiche e fisiche. Vorrei che capissimo che c’è molto in gioco anche solo nella decisione di mangiare lasagne vegetariane, bistecca e patatine, un’insalata piccola senza condimento o non mangiare affatto.
Nel suo testo, cita l’eco-femminismo.
Trovo importante, come scrive Françoise d’Eaubonne nel suo libro “Femminismo o morte”, che è essenziale essere femministi, perché è una questione di vita o di morte, come l’ecologia. Oggi i Paesi occidentali stanno scoprendo le conseguenze delle loro azioni, dei loro consumi, della sovrapproduzione, dell’inquinamento legato ai Paesi ricchi che, in realtà, ha già da tempo conseguenze sui Paesi poveri. I Paesi del Sud del mondo non hanno aspettato che i bianchi cominciassero a preoccuparsi dello stato della natura, delle falde acquifere, della vangatura, della deforestazione, della neo-colonizzazione dei loro territori da parte di imprese industriali e agroalimentari che ne fanno scempio e non hanno avuto bisogno di aspettare i rapporti scientifici per vedere fino a che punto si stava sconvolgendo il loro stile di vita, le loro tradizioni, le loro culture, il loro modo di mangiare.
Lei sottolinea come i marchi facciano appello alla tradizione e al sapere incarnato da anonime ambasciatrici – madri, nonne, zie – ridotte al loro genere, alla loro capacità riproduttiva e, in particolare, al loro ruolo di nutrici. Il cosiddetto “istinto materno” è un formidabile strumento di marketing?
L’ “istinto materno” è un universale strumento di marketing, è lo strumento per far sentire in colpa le donne. I marchi si dicono: se ho una testimonial donna, il mio prodotto sarà considerato buono per la salute, perché la gente penserà che sia stato fatto senza coloranti o conservanti. L’idea di naturalità, autenticità e innocuità, crea fiducia. Ci si fida della nonna, della mamma, della zia, non solo perché sono garanti di una tradizione, ma anche perché ci danno cose che fanno bene al corpo e scaldano il cuore. Al contrario, ad esempio, il caffè, viene commercializzato parlando di forza, parlando di soldi. Lo si vede nelle pubblicità con George Clooney: “Che altro?” Nespresso parla di potere economico e maschile, di uomini che attraggono le donne bevendo caffè perché hanno potere. Inoltre, a differenze delle mamme, delle nonne e delle zie, gli uomini – testimonial lavorano: Capitan Findus è un pescatore, Giovanni Rana un imprenditore: hanno un nome, un cognome, una professione retribuita. Gli uomini ricavano denaro e capitale economico, culturale e sociale. Le donne, invece, non ricavano nulla, se non il ringraziamento quando abbiamo mangiato la loro torta di mele. Questo è l’“istinto materno”: per istinto, le donne daranno da mangiare agli altri gratuitamente. Perché – dicono – hanno il desiderio naturale di prendersi cura di tutti ed è così naturale che non meritano di essere pagate per questo. Ci viene fatto capire che gli uomini hanno investito il loro denaro per apprendere competenze, per avviare un’attività e che ci deve quindi essere un ritorno sul loro investimento.
Questo rende “normale” anche che gli chef siano principalmente uomini?
In “Faminismo” cito frasi di uomini che dicono che la cucina delle donne non è tecnica, non ha valore, non è professionale. Si cerca di far credere alle donne che non hanno la stessa capacità degli uomini di imparare e di restituire, che non hanno la stessa creatività, le stesse competenze tecniche, che sono nel regno del sensibile, che non sono capaci di rivoluzionare. In pratica, sono eterne bambine, eterni minori. In Francia, Napoleone lo decretò per legge riportandole tutte allo stato di minorenni, negando loro l’autonomia, l’indipendenza finanziaria. Di nuovo c’è l’idea di essenzializzazione: “le donne sanno innatamente come nutrire le persone, ma questo impedisce loro di sapere come nutrire le persone”. Tutte sono madri in divenire e questo destino biologico e sociale è anche un ostacolo naturale all’apprendimento, alla carriera, all’audacia. Ci sono persone che fingono di essere dalla loro parte: “Non è colpa delle donne se ci sono più chef stellati uomini, è che non siete tagliate per fare carriera, per essere ambiziose e competitive. A voi donne non piace combattere. Non vi piace schiacciare gli altri”. Come se l’unico modo per avere successo nella vita fosse schiacciando gli altri! Questo “istinto materno” permette anche agli uomini di crogiolarsi nell’incompetenza nell’ambito famigliare. Perché, se le donne sanno innatamente come nutrire un bambino, gli uomini dovrebbero preoccuparsi di imparare? E non si tratta solo dei bambini, le donne devono tenere conto delle diete di tutti – anziani, malati, allergici – rispettando il budget, senza sprecare cibo e, accontentando tutti. È una disciplina olimpica, a cui gli uomini non partecipano, adottando strategie di evitamento. Oppure partecipano, e, facendo quello che tutte facciamo normalmente, vincono immediatamente la medaglia dell’uomo femminista dell’anno.
Mi ha colpito scoprire che esiste una forma patologica che porta alla ricerca spasmodica di cibo “puro”, l’ortoressia.
L’ortoressia è un’ossessione: certi alimenti sono cattivi o buoni anche in senso etico, scegliendo quelle buone saremo persone virtuose. Quindi, anche se si hanno molti soldi e si è privilegiati, non si mangia quello che si vuole, perché si deve apparire come una brava persona. Ecco perché mi interesso di cibo, e torniamo alla prima domanda, perché, in realtà, siamo molto meno liberi di quanto pensiamo. Vogliamo sempre proiettare una certa immagine di noi stessi. Siamo arrivati alla grassofobia. Perché dietro la grassezza c’è l’idea che queste persone non siano abbastanza virtuose, siano persone in eccesso, incapaci di limitarsi, di controllarsi. La magrezza è uno dei pilastri del capitalismo e del neoliberismo, perché è legata all’autocontrollo e al superamento di sé stessi. La grassofobia è una forma di discriminazione che esclude le persone dal mercato del lavoro e dal “mercato” della vita sentimentale. Sovrappeso e obesità colpiscono più le classi lavoratrici che le classi dominanti, l’anoressia colpisce maggiormente le classi dominanti. Ogni classe sociale ha le sue malattie o patologie, che la contraddistinguono.
Nora Bouazzouni, Faminismo. Il sessismo è in tavola, traduzione di Roberta Cecchetto, Le plurali 2023
Mercoledì 27 settembre a Firenze all’Institut Français, l’autrice dialoga con Camilla Lattanzi, autrice e attivista antispecista e Isabella Mancini dell’Associazione Nos Otras. Giovedì 28 a Bologna alle Serre dei Giardini Margherita, con Giulia Paganelli, alias @evastaizitta. Venerdì 29 a Torino alla libreria Nora Book &Coffee con Annarella Koson, attivista e antispecista, alias @feminoska. Sabato 30 settembre alla Cascina Nascosta, l’autrice dialoga con Victoire Gouloubi, chef e autrice della prefazione.
Chiara Cremaschi
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