Due sindaci nello stesso paese, dove serbi e kosovari non hanno mai chiuso davvero con la guerra e il passato. Elvira Mujčić ancora una volta sa scrivere una tragicommedia dal finale folgorante e con due figure di donne indimenticabili
Di Silvia Neonato
Grazie a Leggendaria – Libri, Letture e Linguaggi per averci ceduto l’articolo che si trova sul numero 159 della rivista. Potete acquistarla o abbonarvi on line.
Arguto, affilato, impeccabile nella trama e nella lingua italiana: e pensare che l’autrice, Elvira Mujčić, è bosniaca, nata a Srebrenica 43 anni fa. È quasi un thriller politico La buona condotta, l’ultimo romanzo di un’autrice che scrive in italiano fin dal primo testo, del 2007, Al di là del caos. Cosa rimane dopo Srebrenica, narrando le guerre balcaniche degli anni Novanta e la migrazione di tanti, ma anche la propria, quella di sua madre, dei suoi fratelli, che nel 1992 salutarono il padre per non vederlo mai più.
Ora affronta la vicenda, che si rivelerà paradossale, di un paesino serbo situato all’interno del Kosovo, dove si elegge un nuovo sindaco. La storia prende spunto da fatti veri, come lei stessa scrive in fondo al testo. Più nazionalisti dei concittadini della madre patria che peraltro venerano, gli abitanti di questa piccola enclave serba ortodossa non riconoscono lo stato autonomo del Kosovo popolato da albanesi musulmani, esattamente come non lo riconosce la Serbia, con la differenza che loro con gli albanesi sono costretti a convivere, li hanno intorno ogni giorno. E li odiano, potentemente ricambiati. La guerra ufficialmente è finita, ma resta una tensione palpabile, nonché la paura della piccola minoranza ortodossa di perdere lingua, storia, tradizione. Un medico serbo, Miroslaw, si candida appoggiato da un partitino locale di moderati, convinti che sia assurdo non provare a convivere in pace. L’anti eroe Miroslaw (il nome significa “colui che onora la pace”) vince, anche se lo votano in pochissimi: qualche albanese perché è il medico condotto di tutti, e pochi serbi, la maggioranza dei quali lo ritiene un traditore della patria, perché accetta le elezioni di un paese che misconoscono. Il sindaco è un debole, peggio, un vile, secondo i suoi concittadini serbi, uno che negli anni della guerra è scappato con la moglie Nada in Germania.
È a questo punto che il partito, nella lontana Serbia, pensa di inviare lì e imporre un sindaco patriota, un eroe di guerra, uno che è anche finito in carcere, il virile Nebojsa (il suo nome significa “colui che non ha paura”). In una atmosfera che si fa sempre più truce, i due sindaci ovviamente si incontrano. La sorpresa è che non riescono a detestarsi veramente, perché entrambi consapevoli che la bellicosità quotidiana è insensata. Ma la storia li tritura e nessuno dei due si sottrae; il sindaco scelto a Belgrado detronizza Miroslaw, il quale comunque, angosciato e stravolto, ogni mattina va in Comune, dove nessun cittadino né impiegato gli si rivolge mai, mentre tutti inneggiano al nuovo eroe. Tanto più che proprio in quei giorni il loro cimitero risulta violato e non possono che essere i rozzi albanesi del Kosovo…
Sarebbe un peccato svelare come prosegue la vicenda e ancor più il finale fulminante, ma va detto che il libro è una storia approfondita e godibile su cosa è stato il comunismo e su come è fatto l’animo umano. L’eredità del passato è ormai travolta dai nazionalismi, si era jugoslavi per decenni e ora si è diventati nemici e attori tragici di una memoria divisa, furiosa, straziante.
Eppure Elvira Mujčić, scrittrice, traduttrice, insegnante, dal ’94 in Italia, sa vedere ancora una volta gli aspetti patetici, ironici di luoghi che ha lasciato da bambina ma in cui sono cresciuti i suoi parenti tutti. In Dieci prugne ai fascisti (Elliot, 2016), descrivendo la vita dei suoi nonni bosniaci, faceva affiorare per intero il Novecento, la prima guerra mondiale e l’invasione delle truppe italiane nei Balcani. Qui racconta di nuovo la tragedia mescolata alla vita quotidiana e ci strappa diversi sorrisi, senza dimenticare la disperazione degli ultimi e dei truffati dai potenti di ogni risma, l’aspetto tragicomico delle debolezze umane e della falsa coscienza.
Nel libro anche due figure femminili, importanti e ben delineate: Ludmila, la folle solitaria, che conserva memoria di ogni nato, ogni morto, ogni dettaglio della vita di tutti i suoi concittadini perché non si perda e Nada, la moglie di Miroslaw, compagna di vita e madre proba e perfetta, che va in crisi quando il marito diventa sindaco. Nada sa immaginarsi il futuro, come Ludmila, senza impantanarsi nel passato.
La buona condotta racconta di politica, di amore, di storia, di uomini e donne, della casualità della vita, un testo denso che non si riesce ad abbandonare. Con un finale che lascia stupiti e ammirati.
Elvira Mujčić, La buona condotta, Crocetti, Milano, 2023. Pag. 230, 18 euro

Silvia Neonato

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