Il ricordo dell’editrice scomparsa che con La Tartaruga per prima tradusse tante autrici straniere e scoprì tante italiane. Tra cui l’autrice di questo ricordo che pubblicò il suo primo romanzo con Laura e la ricorda schietta, curiosa, disponibile all’ascolto e libera nel giudizio
di Pina Mandolfo
Mi accade ancora la mattina, rigenerata da un buon sonno e senza aver guardato allo specchio i miei segni del tempo, di ritornare, per la centesima volta, a progettare “battaglie” con l’illusione di prolungare all’infinito quella giovinezza di “guerriera” che ha segnato la mia vita e quella di molte donne della mia generazione e come anche quella di Laura Lepetit Maltini. Ma un giorno qualcosa, non senza malinconia, mi ha restituita alla realtà. La notizia della sua morte. Laura Lepetit era di quelle personagge che si pensa debbano restare sempre sulla terra.
Abbiamo il dovere di ricordarla e ancora ricordarla perché la grandezza della sua impresa editoriale non cada nelle scorie della storia delle donne. Come dimenticarla in un tempo in cui, ormai, troppi eventi della nostra vita vengono ceduti all’oblio? Come dimenticare chi ha fornito all’editoria italiana il coraggio di attraversare i confini ristretti del nostro paese? Quante grandi autrici forse non avremmo mai conosciuto senza la Tartaruga?
La piacevolezza dello “spirito” di Laura e la sua straordinaria avventura editoriale resteranno tra noi se in tante e tanti la raccontano. Ricordarla con la nostra esperienza, il nostro corpo a corpo, materiale e ideale, vissuto con lei come donna e come editrice. Sarà questo il modo più naturale perché dalla nostra coscienza entri in quella di altri e altre e poi altre ancora nel tempo. Raccontarla è come seguire la sua lezione, quella di chi è stata narratrice attraverso la “voce” delle sue grandi autrici. Scrittrici note e meno note, che da lei hanno poi arricchito, talvolta impunemente, i cataloghi di molti editori italiani.
Mi chiedo frastornata se sia proprio passato così tanto tempo da quando per la prima volta l’ho incontrata fisicamente, nel 1995. E così tanto ancora da quando, negli anni ’70, avidamente cercavo e ammiravo quelle copertine così particolari, quei nomi, alcuni noti altri no, dei libri de La Tartaruga. Tanti piccoli volumi preziosi che colpivano la nostra immaginazione in quella stagione felice del femminismo. E il ricordo mi è caro, quello di ogni copertina, ogni nome che cercavo puntuale sul grande tavolo di una libreria, approntato in bella vista dal libraio, allo scopo di dare evidenza su quanto delle donne si dava alle stampe, e quanto avidamente noi donne cercavamo. La varietà di un incanto culturale per la mia generazione e un buon profitto per lui. Tra quei tesori La Tartaruga era il più prezioso.
Quelle edizioni e la sua creatrice furono, allora, per noi il mito di un tempo straordinario. Il coraggio di una donna che aveva deciso quella piccola ma grande impresa per valorizzare la creatività femminile, quasi a voler mettere in piedi una storia alternativa, un canone alternativo e forse così è stata la volontà di Laura Lepetit.
Il mio incontro con lei, con la timidezza dell’età, l’impaccio di una neofita della narrativa e l’imbarazzo di chi stava per presentarsi ad un personaggio immaginato autorevole e inavvicinabile, fu improvviso, inaspettato, semplice e così diverso da quello supponente e impossibile degli editori italiani. Le avevo proposto la mia creatura, Desiderio, e accettò subito di incontrarmi invitandomi a raggiungerla nella sua casa in Maremma per consegnarle il “manoscritto”. Fu così che mi trovai al cospetto della famosa Lepetit. Fu un incontro fugace e, in quell’occasione, privo di qualsiasi forma di “confidenza” e non ricordo se un po’ maldestro, da parte mia, di fronte a quella che vissi come una gentilezza asciutta che può suscitare imbarazzo. Ma presto imparai a conoscerla. Compresi come lei fosse diretta, schietta e, se necessario, anche irriverente. Ma non le mancava il garbo deciso di chi ha il coraggio di parlare quando è necessario o anche di tacere soprattutto del suo privato. Solo qualche rara volta, ma sempre con elegante distacco, l’ho ascoltata accennare a qualche pena della sua esperienza di vita.
Il suono della sua voce al telefono, solo un mese dopo aver ricevuto il mio libro, ancora mi risuona. Disse senza giri di parole di aver letto, apprezzato e che andassi, quindi, a Milano a firmare il contratto. In soli tre mesi Desiderio era nelle librerie e presto anche in quelle tedesche e svizzere, con tre edizioni in un anno, tramite l’acquisto della editrice Piper. Fu un successo. La mia riconoscenza, ancora oggi, è di chi è posta davanti a qualcuno che crede in te. Lei lo faceva con l’onestà, la cortesia, la complicità di chi è disposto a fidarsi. Questo era anche il suo pregio. Con il timbro inimitabile della sua voce e con una sottile ironia, a volte anche dissacratoria, riusciva a dare valore alle cose e alle persone senza fronzoli o compiacimenti.
Più volte mi sono sentita imbarazzata di fronte a lei. E soprattutto in quel primo ingresso in via Turati, un piccolo ufficio da dove si muoveva tutto ciò che per anni mi aveva arricchita e incuriosita. Una di fronte all’altra, lei e Rosaria Guacci, e tanti libri. Vedendomi guardarli con avidità, Laura, con un sorriso, mi disse di scegliere e prendere ciò che volevo. Incredula uscii carica di quello che per me è un bene prezioso per la prima volta senza esborso monetario. Un regalo ineguagliabile.
La firma del contratto, la scelta del titolo, ogni altro accordo, anche monetario, pian piano produsse in me l’agio di trovarmi al sicuro in un rapporto di integrità. Sono quei momenti in cui non ci si sente sole. Mi ospitò, mi organizzò presentazioni alle quali spesso era presente. Non eravamo amiche, ma la sentivo vicina e così la sentii sempre negli anni, anche dopo l’onda del successo editoriale del mio primo libro. Lo scorso giugno le parlai del mio ultimo libro e lei ne fu curiosa, mi invitò a raggiungerla in Maremma. Ma poi le cose sono andate diversamente. Ed eccomi qui a ricordarla.
Nel tempo della vita de La Tartaruga, mentre la produzione femminile, figlia del femminismo, si faceva accademica e carsica, Lepetit la laicizzava con il racconto, la voce del vivere delle sue autrici. A partire da quell’impareggiabile Le tre ghinee, che chi sa quando sarebbe arrivato qui, il catalogo de La Tartaruga è stato un progetto verso il quale noi donne mai saremo grate abbastanza.
In questo oscuro presente in cui tutto è apparenze, falsi riconoscimenti di una editoria miope, respingente, affannata e reticente, bisognosa di “salvacondotti” per scegliere le opere da attenzionare, Laura Lepetit Maltini ci lascia, oltre ad una grande lezione di vita, un prezioso catalogo, che si spera venga usato, rispettato e mai abusato.
PASSAPAROLA:








Pina Mandolfo

Ultimi post di Pina Mandolfo (vedi tutti)
- STRENNE IN REDAZIONE/Laura Lepetit, vita e ricette ironiche - 21 Dicembre 2021
- Indimenticabile Laura Lepetit - 9 Novembre 2021
- «Scrivo per trattenerti sull’orlo di questo mondo» - 23 Maggio 2021
- Né partito, né marito - 10 Marzo 2021
- Il coraggio di Emma Dante - 1 Ottobre 2020